Nel 1960 il periodico diocesano 'L BURNELL dedica un numero speciale in occasione della consacrazione della Chiesa Nuova del Santuario di Oropa.
In questa pagina ne proponiamo un estratto, a ricordo dei fatti che portarono alla sua costruzione e del modo di raccontarli.
La storia millenaria di Oropa ci dice che il Santuario si è sviluppato come il buon seme evangelico, che il Santo Vescovo Eusebio depose, nel IV secolo, nell'aspra conca montana. E la Chiesa Nuova ne è l'ultimo lento e grandioso sviluppo. La storia quindi di quest'ultima è legata a quella del Santuario e principalmente al di lui cuore, che sono le chiese ivi sorte nei secoli.
Il primitivo SacelloS. Eusebio di Vercelli deponeva, fuggiasco dalla sua sede, la lignea Statua ch'aveva portato dall'esilio in Palestina sotto i massi erratici attualmente facenti parte della cosiddetta “Cappella del Roc”, ad oriente della Chiesa Nuova. A far fede sulla data ivi incisa, era l'anno 369 dopo Cristo. Poi la trasportò al di qua del torrente accanto ad altro masso, i cui resti sono ancora visibili sul fianco nord della attuale antica Basilica. Quivi sorse quello che le antiche carte chiamano “il gisietto di prima devocion”, cioè l'attuale Sacello, i cui inizi risalgono allo stesso vescovo Eusebio e la di cui struttura attesta la veneranda antichità. I padri nei secoli l'ornarono di soavi affreschi. Fu esso la prima piccola Chiesa, racchiudente il tesoro di Oropa e la sua unica ragione d'essere: il Simulacro della Vergine Bruna.
Le Chiese del XIII secoloVerso la fine del 1200, precisamente nel 1294, il Vescovo di Vercelli, Aimone di Challant, «In segno di venerazione alla gloriosa Vergine ed a conforto degli abitanti» consacrava una nuova Chiesa ad Oropa. Essa era più grande del Sacello, costruita davanti ad esso a guisa di vestibolo, che i fedeli — così 1 documenti — percorrevano sovente ginocchioni onde portarsi «in fondo» alla cappelletta della Madonna. Tre secoli all’incirca durò quella chiesa, durante i quali fu arricchita all’intorno, via via, di varie cappelle: del Sepolcro, di S. Grato, ecc.
L'attuale Basilica del Seicento
I grandi prodigi ottenuti dai biellesi dalla loro Madonna per la liberazione da varie pestilenze nel 1400, nel 1522, nel 1599, da siccità e carestie determinarono, quale segno perenne di riconoscenza, l’erezione di una nuova, più grande e più degna Chiesa. E’ l’attuale Basilica antica, a tre navate, dalla deliziosa lapidea facciata e dal regale portale; essa conserva ancora alcune parti della Chiesa trecentesca. Lo storico biellese Carlo Antonio Coda nella sua opera: «Nobiltà e tombe di Biella - Storia del Convento di S. Domenico, 1649», dice che fu iniziata su progetto di architetti biellesi; ma il primitivo progetto venne trasformato dall'architetto ducale Capitano Marcantonio Toscanella, che può dirsi il costruttore della Basilica e l’autore della forma definitiva della Sua facciata. La lapide d’erezione, in fondo alla Chiesa, reca in latino, la seguente iscrizione: "Alla Vergine Madre di Dio, presso la cui Immagine conservata nell'antico Sacello il Beato Eusebio menando vita celeste coi digiuni e con le preghiere combatteva contro gli Ariani, per la pestilenza allontanata da Biella e dai luoghi finitimi, Giovanni Stefano Ferrero vescovo di Vercelli, i Canonici ed il popolo di Biella, memori dell’antica devozione e del recente beneficio, per voto e spesa comune, offrono, dedicano questo Tempio, costruito dalle fondamenta, l'anno del giubileo 1600 essendo pontefice Clemente VIII (e regnando il serenissimo Carlo Emanuele Duca di Savoja)".
Fu questa la Chiesa che i padri nostri pensarono dovesse essere per lunghi secoli decoro del Santuario e sufficiente per la devozione dei biellesi, dei pellegrini vicini e lontani. Invece ben presto molti degli stessi che la videro e fecero sorgere dovettero constatare ch’essa, pur già grande e bella, monumento di fede e di riconoscenza, non riusciva più in certi giorni e solennità a contenere la folla dei devoti che ogni anno più accorrevano ad Oropa a venerare ed invocare la Vergine Madre di Dio.
Già in un Breve di PP. Clemente VIII è accennato che fin d’allora in alcune feste d’estate pellegrinavano ad Oropa "più di quattromila persone" provenienti anche "da lontane e remote regioni e patrie". Ma dopo la inaugurazione della nuova Basilica successero dei fatti grandiosi che accrebbero ancor più il richiamo dei devoti al Sacro Monte di Oropa.
La nuova strada
L'antica mulattiera da Biella ad Oropa "sempre mai lutosa - dice la vecchia ”Historia” - e scabrosa et anco in alcuni luoghi strabocheuole per le continue salite e discese, seminate di grosse pietre ed acuti selci" venne tra il 1616 ed il 1619 sostituita con una nuova strada più larga e più agevole. Il Comune di Biella nel 1610 l’aveva proposta al Capitolo di S. Stefano offrendo il passaggio gratuito sui terreni di proprietà comunale e dichiarandosi disposto ad acquistare quello attraverso le proprietà private interessate al nuovo tracciato. I preventivi fatti per questa opera, nonostante le offerte comunali dei terreni, salivano a dodicimila scudi, somma che la Congregazione amministratrice di Oropa era impari a sostenere.
Invece d’affidarla ad imprese, l'opera venne fatta ad economia con la prestazione gratuita della mano d’opera da parte delle popolazioni circonvicine. Fu una dimostrazione d’amore al Santuario che, oggi, ha dell'incredibile. Centinaia di operai ogni mattina s’avviavano spontaneamente al lavoro, ognuno recando con sè, oltre agli strumenti del mestiere, la frugale provvista da i cibo, ad eccezione del vino che loro veniva somministrato, in segno dì gratitudine, dall’Amministrazione del Santuario. In tre anni la colossale opera fu sostanzialmente compiuta e vi si spesero soli 2500 scudi. Ebbe poi bisogno di ulteriori migliorie, aggiunte ad un riassetto totale un secolo dopo. Ma fu da allora enormemente facilitato al pubblico l’accesso al Santuario.
La nuova strada era stata preparata in vista di un avvenimento religioso, il più grande nella storia di Oropa: l’incoronazione del prodigioso Simulacro avvenuta l’ultima domenica di agosto del 1620. In quel giorno la statua della Vergine Bruna fu trasferita nel prato antistante alla Chiesa, su un palco appositamente preparato e colà incoronata dal Vescovo di Vercelli Mons. Giacomo Goria, mentre "risuonava nell'aria d’ogni intorno - descrive B. Gatti nella sua ”Historia” del. 1621 - un grido festevole del... popolo unanime ed acclamante ". Esso era composto di circa cinquantamila persone. Si contarono presenti ad Oropa per quel giorno più di 2000 cavalli; il Duca Carlo Emanuele di Savoja aveva persino concesso l’esenzione d’ogni gabella per i viveri da consumarsi durante quei festeggiamenti.
La fama si sparse ovunque nel Piemonte ed oltre assieme a quella dei prodigi che s’avverarono in quella circostanza. Li elenca C. A. Bonino nella sua storia del 1659: la liberazione d’una donna ossessa, la parola ridata ad un fanciullo muto dalla nascita e ad una donna donna muta da sei anni, ecc. Eventi e grazie che furono di potentissimo richiamo a folle ben più grandi di quelle che fino allora erano affluite al Santuario.
Ormai, di qui in avanti, i fedeli accorrenti aumentavano ad ogni stagione estiva e la Chiesa, pur così recente, dimostravasi d’anno in anno, sempre meno capace di accoglierli. Non fu il primo ad interessarsi a questo problema il piissimo Vescovo di Vercelli (allora il Biellese faceva parte di quella Diocesi) Vittorio Agostino Ripa. Sedette sulla cattedra di S. Eusebio dal 1679 al 1791. Predilesse Oropa presso la cui Madonna Bruna amava ritirarsi in meditazione e preghiera. Colassù scrisse infatti i «Soliloquii da meditarsi in ogni giorno della novena avanti al SS. Simulacro di N.S. di Oropa», stampati a Biella da Giov. Giacomo De-Giuli nel 1687. Morendo lasciava erede universale del suo patrimonio il Santuario di Oropa, valutato a L. 53.000 circa.
Orbene tra le sue disposizioni testamentarie vera anche quella «di aggiungere una Arcata alla Chiesa, verso la Piazza». Onde attuare la volontà dell’illustre Benefattore nel verbale dell’adunanza della Amministrazione di Oropa del 21 luglio 1692 è detto testualmente che il capomastro del Santuario G. B. Negro riferì «di essersi portato nel S. Monte di Oropa in compagnia del M. R. Padre Salvatore della SS. Trinità, agostiniano scalzo, ingegnere... con il P. Carlo di S. Antonio, ambedue intendenti di fabriche e di disegno, per studiare il modo d’eseguire la mente di detto Prelato; haver però li detti Padri ritrovato per varie ragioni non essere ben agiongere detta Arcata, la quale porterebbe difformità non ordinaria e tutto l'ordine di Architettura sì della Chiesa che come della fabrica. Sopra la quale si può esseguire intieramente l'intenzione del defunto Prelato con un maestoso ingrandimento ed abbellimento di quella Chiesa, qual disegno qui sì presenta a loro Signori a ciò si risolvino quello meglio stimeranno per il servizio di detta Chiesa et honore della SS. Vergine».
Non se ne fece nulla, ma il problema di accogliere le folle sempre crescenti in una Chiesa capace perdurò vivo. Ci si rivolse persino al più celebre architetto del tempo in Torino, il Guarini, autore colà della Cappella della Sindone, della Chiesa di S. Lorenzo e del palazzo Carignano. Ed il suo responso, dopo vari studi fu che «quella Chiesa (la Basilica di Oropa) non sì poteva rammodernare».
Il pensiero dei responsabili veniva rivolto alla costruzione di una nuova Chiesa. Dove?
Bisogna giungere sino alla metà del settecento per trovare memorie di un primo concreto progetto della Chiesa Nuova.
I progetti Gallo (1740)
I primi prolungamenti a sud del Santuario, ai lati dello scalone, quelli in cui sono ora i ristoranti della Croce Bianca e Croce Rossa, sorsero fra il 1740 ed il 1750 su progetti dell'ing. Francesco Gallo di Mondovì. L’ing. Gallo era salito in quel tempo in grande fama come architetto, avendo egli innalzato la gigantesca e stupenda cupola
ellittica del Santuario di Vicoforte sulla chiesa costruita dal Vittozzi. L’Amministrazione di Oropa se ne assicurò la collaborazione non soltanto per i prolungamenti suddetti, ma anche per il problema della nuova Chiesa.
Nel verbale del 12 aprile 1740 è testualmente detto: «Il sig. Can. Martinelli presenta una lettera dell’ill.mo Reggio Ingegnere Gallo, il quale ha mandato tre piante di disegno della Chiesa nuova di Oropa che questa Congregazione intende fare acciò una di esse piante scielga indi la trasmetta al medesimo sig. Ingegnere per continuarvi il disegno delle Alzate ed ornamenti per 11 completamento del medesimo». L’Amministrazione prega il Can. Martinelli di recarsi personalmente a Torino coi disegni e «presentarli ai più rinomati architetti del luogo onde scelgano». Colà l'ing. Gallo gli disse di voler fare «un quarto disegno per avere migliore scelta». Son quindi ben quattro i progetti Gallo, ora conservati negli archivi del Santuario.
Il progetto Vittone (1760)
L’architetto Bernardo Antonio Vittone (1702-1770) è troppo celebre perchè qui occorra parlare distesamente di Lui, tanti sono le chiese ed edifici che portano la sua firma. Pochi anni dopo il Gallo, presentava un progetto «per la rinnovazione del famoso Santuario della Vergine SS.ma del Sacro Monte di Oropa» che poi inserì nel suo «Corso di Archtitettura Civile», stampato a Lugano nel 1760 [...]
Il progetto Galletti (1774)
[...] Una tradizione locale dice che il Galletti si recasse ad Oropa convalescente da una malattia ed avuto grande vantaggio da quel soggiorno sì sia messo a studiare il progetto della nuova Chiesa e del compimento del Santuario, che, riconoscente per l’ospitalità ricevuta, offerse poi all’Amministrazione. Della Chiesa da lui progettata — poichè sarà quella che andrà in esecuzione - riporteremo più avanti ampia descrizione. Ci preme qui subito rilevare un dato della massima importanza, il quale presiedette a tutta la impostazione gallettiana. L’autore, partendo dal concetto che il Sacello Eusebiano doveva essere rimosso dal millenario suo posto e ricostruito come cuore nella nuova Chiesa, gli «disegnava attorno, come un “grandioso scrigno, una rotonda, cui ne premetteva, per il pubblico, una ancor maggiore sormontata da grande cupola. Che quella del trasporto nella nuova Chiesa del Sacello, anzi dell’abbattimento completo della Chiesa vecchia, fosse una idea assai corrente a quei tempi, sì che il Galletti vi si uniformò nei suoi progetti, lo rileviamo dal fatto seguente. Nell’agosto del 1780 i reali di Savoja, Vittorio Amedeo III con la Consorte, il principe Carlo Emanuele ed altri Principi visitarono il Santuario. Ora in un verbale amministrativo del 2 settembre seguente si legge: «Durante l'udienza le Loro Maestà si fecero recare i disegni delle fabbriche del Santuario e quelli della Nuova Chiesa e dopo averli esaminati con attenzione espressero la loro volontà che non venga trasportata la presentanea Chiesa e Cappella (il Sacello Eusebiano) per avere l'una e l’altra riconosciuta assai devota e raccolta e per non raffreddare nei popoli la devozione... La Congregazione con a capo Monsignore (Mons. Viancini, primo Vescovo di Biella) sì fece dovere di assicurare le LL. MM. che appunto più non sì pensava nè al trasporto della Chiesa nè della Sacra Cappella riputandosi troppo orgogliosa di secondare in ogni tempo le regie intenzioni». Questa non fu certo l’ultima ragione per cui il progetto Galletti fu archiviato e dimenticato al punto che in progresso di tempo non si seppe più della sua esistenza e quando, un secolo dopo, riaffiorò, fu come si trattasse di una scoperta.
Il progetto Stratta (1819)
La rivoluzione francese, il periodo napoleonico coi rivolgimenti amministrativi, che provocarono ad Oropa, arrestarono il problema della Chiesa nuova. Degli ultimi anni di sua vita è Il progetto dell’architetto Stratta, nato a Ronco Biellese il 20 luglio 1756 ed ivi morto il 9 aprile 1825. Egli, compiuti gli studi a Torino, visse a Roma tra il 1781 ed il 1784, lavorò anche a Bologna ed a Firenze. Tra i molti disegni e progetti conservati dalla famiglia venne trovato anche un progetto per la Chiesa d’Oropa.
Quando nel 1834 venne Vescovo a Biella Mons. G. Pietro Losana, Oropa non tardò a sentirne il vigoroso impulso. Nel 1842 il lascito della signora Paola Marochetti Germano per la costruenda nuova Chiesa di circa L. 30.000 diede occasione all’energico Prelato di spingere l'Amministrazione del Santuario a riprendere seriamente l'annoso problema. Ma il Losana lo propose a nuovo; di affidare cioè lo studio dei progetti e la loro esecuzione ad un architetto allora di grande grido e suo personale amico: Luigi Canina.
L'architetto CaninaEra nato a Casale nel 1795. Compiuti gli studi d’architettura a Torino sotto i professori Ferdinando Bonsignore e Giuseppe M. Talucchi, ottenuto da Vittorio Emanuele I un soggiorno sovvenzionato a Roma, ivi, in breve tempo, tanto si distinse che il principe Borghese lo prescelse ad architetto della sua Casa. Fu al servizio dei Papi Leone XII, Gregorio XVI e Pio IX, assurgendo a chiara fama per la sua vasta competenza in archeologia e storia dell’architettura dei templi cristiani sia in Italia che all’estero. Morì a Firenze il 17 ottobre 1856.
Il bozzetto in legnoApprofittandosi del soggiorno alla Corte di Torino del Cav. Canina, Mons. Losana, a mezzo dell’amico conte Filiberto Avogadro di Collobiano, segretario di S. M. la Regina vedova M. Cristina, lo invitò ad un sopralluogo ad Oropa. Il Canina vi arrivò da Agliè il 19 agosto 1845 coll’aiutante architetto Zelloni. Frutto di questo sopraluogo fu la scelta precisa del posto ove sarebbe sorta la Chiesa nuova, il progetto della medesima e dei suoi collegamenti con gli edifici del Santuario che il Canina elaborò completamente in quello e nell'anno seguente. Come aveva proposto, il Canina curò personalmente l'esecuzione in legno del bozzetto della sua nuova Chiesa, in scala 1/60, in quattro pezzi, più l’altare. Venne eseguito a Roma e l'8 agosto 1874 fu portato in Quirinale, ove veniva benedetto da Pio IX è poi esposto al pubblico in una delle sale della Galleria Borghese. Portato quindi a Civitavecchia e di qui, via mare, a Genova, proseguì per Torino e quivi pure venne esposto pubblico (lo visitò anche il Re Carlo Alberto). Infine fu trasportato ad Oropa ove tutt'ora si trova. Questo bozzetto costò L. 15.104,52, che per due terzi furono pagati dalla Regina M. Cristina.
La Chiesa del CaninaConforme ai canoni da lui seguiti, strenuamente ed autorevolmente difesi, ch’egli riassumeva così: «L’architettura più propria dei templi cristiani è quella che venne determinata con la edificazione delle prime e più nobili chiese sotto l'impero di Costantino», cioè lo stile basilicale. Il Canina progettò una chiesa neoclassica che si richiama appunto alle basiliche romane e segnatamente a quella di S. Paolo fuori le Mura. L’area interna è divisa in tre navate da quattro file di colonne ioniche; sul fregio centrale una lunga teoria di tondi in mosaico come in S. Paolo a Roma; una solenne volta a botte trattata a cassettoni e sulla crociera una piccola cupola invisibile all'esterno e aperta in alto da un grande occhio. La facciata, scintillante di mosaici, chiusa ai lati da due potenti campanili. La decorazione in affresco od in mosaico è assai ricca. Le dimensioni: lunghezza m. 62, larghezza 34; altezza alla chiave di volta 20, al tetto esterno 26.
L'architetto Canina collocava la Chiesa a nord, ed oltre i fabbricati di S. Anna, all’altezza, quasi ed all’inizio dell’attuale piazzale della Chiesa Nuova. Preparati dagli studi dell'architetto Zeloni, aiutante del Canina, tra il 1848 ed il 1850 s’eseguirono importanti lavori di spianamento del terreno. Li diresse l’ingegnere del Santuario Tomaso Gavosto con la saltuaria collaborazione dell’ing. Gaspare Maggia. Ma una malattia del Canina fece ritardare l’inizio vero e proprio della costruzione; solo nel 1854 si potè procedere all'appalto dei lavori. Riguardavano la fondazione della parte anteriore del nuovo tempio e l’innalzamento dei muri sino ad una certa altezza [...] una spesa totale di L. 96.000. Lo spianamento dell’area fu fatto dall'impresa Giov. Antonio Gilardi e Giovanni Maria Ferrero. Gli altri lavori vennero eseguiti ad economia. Lavorarono la pietra i piccapietre fratelli Giov. Battista e Pietro Guglielminetti. Il 21 settembre 1855 la fondazione dei campanili era compiuta; il campanile di destra arrivò poi a m. 4,50 d'altezza, quello di sinistra a m. 0,79 ed il muro che doveva reggere le colonne della facciata a m. 0,76. Furono lavori che procedettero fra molte difficoltà: ad es. non si potè fare la cerimonia per la posa della prima pietra perchè in quegli anni serpeggiava il colera. Il Canina fece la sua ultima apparizione ad Oropa il 3 ottobre 1856; il 17 dello stesso mese moriva a Firenze. Fu un grave colpo per la Chiesa d’Oropa, cui altri si aggiunsero, specie la difficoltà dei tempi per le guerre d’indipendenza. Ma soprattutto fecero arrestare prima, abbandonare definitivamente poi, il progetto Canina le critiche insorte.
Le critiche alla Chiesa del Canina
Una critica, più aspra che autorevole, venne all’Amministrazione da un certo Francesco Gagna, professore di pittura a Vercelli, con lettera 8 novembre 1869. Una critica a fondo e ufficiale fece la Commissione nominata dall’Amministrazione nel 1877. Essa si componeva dei tre architetti: Cav. Camillo Boito della R. Accademia e dell'Istituto Superiore di Milano, Conte Carlo Ceppi della R. Università di Torino, Franco Giacomo della Accademia delle Belle Arti di Venezia.
Essi conclusero le loro critiche in una relazione, agosto 1877, che riassumiamo:
1) la Chiesa del Canina non tiene conto dell’architettura del Santuario di cui dovrebbe essere il compimento;
2) essa è all’interno così fitta di muri e di colonnati che d’un’area che potrebbe contenere circa 4000 persone, lascia spazio libero per sole 1574 persone;
3) la luce vi entra peggio che scarsa e ciò in luogo di montagna ben spesso nebbioso. E così è scarsissima la ventilazione;
4) la facciata è schiacciata dai due grandi e «gretti campanili»;
5) la scalinata avanti alla Chiesa «è immane». Misura 45 m. di larghezza, sale di m. 45, ha 129 scalini, che sommati assieme corrispondono a quasi 6 Km.! Chi la potrà salire, specie all'inverno con la neve ed ìl gelo?
Che pure a Biella e ad Oropa, fuori dell’ambiente degli artisti, si fosse perplessi sulla bontà della Chiesa iniziata del Canina, lo dimostrano i vari nuovi progetti, sollecitati da questo e quello in questo periodo di tempo. Il primo è quello di Giuseppe Locarni. [...] Recatosi casualmente ad Oropa ebbe vaghezza di conoscere i progetti che già esistevano del nuovo tempio, che l’On. Amministrazione intendeva di innalzarvi, e al Canonico Rettore di allora, Cav. Canonico Demarchi fece alcune considerazioni sui medesimi. Il Can. Demarchi, ben conoscendo la fama dell’uomo, si fece promettere che avrebbe raccolto in uno scritto queste osservazioni e presentato egli stesso un progetto. Il Locarni adempiva alla promessa inviando, nel 1875, una «Relazione» stampata ed un suo progetto.
Il progetto Terzaghi (1876)L'anno dopo era la volta del progetto dell’architetto Enrico Terzaghi, un architetto che si distingueva a Milano per l’ardimento e gusto artistico. Fu ingegnere di quella Città ed ivi costruì case di abitazione e qualche palazzo nobiliare.
Il progetto AntonelliE’ il celebre autore della cupola di San Gaudenzio a Novara e della «Mole» di Torino. Nacque a Ghemme nel 1808, morì a Torino il 18 ottobre 1888 e fu sepolto a Maggiora (Novara). L’Antonelli fece occasionalmente il progetto della Chiesa Nuova di Oropa. Un suo allievo stava occupandosi del progetto Canina ed egli prese a dimostrargliene le manchevolezze. Da ciò venne all’Antonelli il pensiero di formulare un progetto dimostrativo del suo modo di vedere e pensare quel Tempio. Non risulta come il suo progetto sia poi giunto ad Oropa.
Gli illustri componenti la Commissione nominata dall’Amministrazione, gli architetti Boito, Franco e Ceppi, non si limitarono alla critica a fondo del progetto Canina. Esaminarono tutti i progetti, antichi e recenti e tra essi ritrovarono il vecchio progetto del Galletti. Lo trovarono eccellente.
L'elogio del progetto GallettiNella loro relazione ne parlano in termini entusiastici: «La libertà dello stile si unisce alla logica dell’organismo... la ricchezza maschia della decorazione lascia dominare la semplicità delle masse. Il grande tamburo e la imponente cupola non sono sciupati al basso da nessuna concetto pettegolo. La parte sporgente è stretta; un portico di quattro colonne, tenuto in mezzo da due ali di ordine quasi più Romano che Barocco, nient’altro. Ma poi si solleva la mole nobilissima, con le volute, che sono dei veri contrafforti, con le colonne, che sono dei veri rinfianchi; con quei sodi costoloni della cupola e quei lucernari, che rompono in bel modo la uniformità delle curve, finalmente con quella lanterna, che è per se sola una meraviglia. Statuaria e ornamentazione s’immedesimano all'architettura in una potente unità. La pianta poi è singolarmente ingegnosa. Gli otto lati si svolgono in sfondi, in nicchie, in poligoni, in ordini secondari, dove non si sa se più sia la sottigliezza geometrica o l’artificio prospettico; ed il presbiterio, che s’arrotonda dietro la Chiesa, unisce l’ossatura di questa con ardita novità di concetto. Ogni cosa insomma è pensata nella mente alta dell’artista; e l’insieme del tempio, Severo e maestoso, sembra che viva e che parli. Codesta vita, codesto moto nell'Arte sarebbe cosa rarissima ai giorni nostri, in cui gli architetti parlano cento lingue, ma nessuna che abbiano succhiata col latte e che sia entrata nel loro sangue. Il Galletti operava d’arte, si valeva di essa in ogni caso e la piegava ad ogni bisogno, pronta ed efficace, come un vero e ricco linguaggio parlato... Ma il Galletti ebbe questa virtù tutta sua: nel disegno del tempio d’Oropa, invece di lasciarsi andare a quel Barocco, il quale verso la metà del Settecento, declinava nelle smancerie del Rococo e già si infemminiva, lo tirò anzi indietro ai tempi belli, emulando l’energia del Longhena. La Chiesa del Galletti non è inferiore all'ammirabile tempio veneziano di Santa Maria della Salute. Oltre ai pregi d’arte, questo progetto vecchio, ha quelli della distribuzione. Molti altari nobilmente collocati; moltissimi nicchioni nella chiesa e parecchi locali attigui alle sacrestie ad uso dei confessionari; ambulacri chiusi al popolo, per disimpegnare tutte le Cappelle e mettere in comunicazione diretta le sacrestie cogli altri; presbiterio grandissimo, che si presta ad ogni solennità di cerimonie. Tutti i servizi architettonici del culto sono, in conclusione, degni della importanza e della grandiosità del Santuario».
Le modifiche consigliate
I tre Consultori concludevano quindi che «... avendo la fortuna di possedere un ottimo progetto eseguito da uno dei vecchi architetti del Santuario, codesto progetto deve compiere gli edifici del Santuario medesimo assai meglio di qualunque altro disegno eseguito da qualsivoglia maestro moderno».
Consigliavano però due importanti varianti:
1) costruire la Chiesa ben più in alto di quanto il Galletti la prevedeva, ma ben più addietro onde crearle un piazzale vasto antistante, da contornare con edifici;
2) di conseguenza, per ragioni di prospettiva, il diametro del tamburo interno della cupola doveva essere aumentato a 32 m., col vantaggio della maggior capienza della Chiesa, ch’essi preventivavano in circa mq. 1400.
Chi elaborò, negli anni 1878-79 e segg. fu il biellese Giovanni Feroggio. L’architetto ing. Giovanni Feroggio nacque a Camburzano. Da questi anni in cui fu interessato alla Chiesa Nuova d’Oropa fu architetto del Santuario fino ai suoi ultimi anni per oltre otto lustri. Diresse i lavori alla Chiesa Nuova e preparò i disegni esecutivi delle parti che via via andavano costruendo fino all'arresto dei medesimi dopo il fervore costruttivo per la IV Incoronazione del S. Simulacro nel 1920 [...]
Proprio in questo tempo in cui la storia della Chiesa Nuova segnava una decisiva svolta, perveniva al Santuario un lascito di L. 100.000 dai fratelli Francesco e Caterina Bocca, da destinarsi alla costruzione della Nuova Chiesa, ma alla precisa condizione che i lavori venissero iniziati entro l’anno 1880; in caso contrario la somma avrebbe dovuto passare agli eredi. Pur essendo l’Amministrazione decisa ad eseguire il progetto Galletti, l'elaborazione del medesimo non era ancora pronta ed inoltre bisognava premettervi tutti i lavori di preparazione del terreno. Perciò l’Amministrazione chiese ed ottenne dagli eredi Bocca una dilazione di cinque anni.
La scelta del terrenoIl preciso luogo su cui far sorgere la Chiesa fu scelto a m. 245 a nord dell’asse della vecchia Basilica. Il pavimento di essa era previsto all’altitudine idi m. 1189,60 s.l.m., mentre quello della vecchia Basilica è a quota 1158,35. Ossia, la Chiesa Nuova sarebbe sorta a m. 31,25 più in alto di quella vecchia.
Il deviamento del torrente OropaMa colassù l’area della Chiesa veniva ad occupare il letto del torrente Oropa, il quale allora passava a ponente della collinetta su cui sorge la cascina Fornace, volgendo poi a levante dietro il boschetto di faggi che ancora c’è accanto alla casa Valfrè. Lo si deviò a levante della Fornace contro la collina su cui sorge la cascina Nocca. I lavori di arginatura costarono complessivamente L. 50.000. Furono pure creati canali di raccolta delle acque del sottosuolo per scaricarle nel torrente.
L'appalto dei lavori[...] Il criterio su cui il Consiglio di Amministrazione basò la condotta dei lavori fu quello di impiegare per la Chiesa Nuova soltanto i fondi straordinari provenienti dalle offerte a questo preciso scopo, non toccando quelli ordinari da servire per la manutenzione e gestione del Santuario. Il fondo straordinario all’inizio dei lavori ammontava, con l’eredità Bocca, a lire 140.217,15. I lavori, dopo regolare appalto, furono aggiudicati all'impresa Rosazza Alfonso Cesare e Rosazza Marlero Giusto fu G. Battista da Piedicavallo.
La posa della prima pietraQuesta cerimonia fu compiuta il 1° giugno 1885. Di essa fu redatto verbale in duplice copia, su pergamena, di cui uno si conserva inserito nel libro degli ordinati. In esso, dopo un riassunto di tutta la storia precedente della Chiesa Nuova [...] è detto testualmente: «Mons. Vescovo della Diocesi Basilio Leto, stato officiato dall'Amministrazione a voler impartire la Benedizione delegava il suo Vicario generale il M.R. sig. Can Prospero Calliano, Rettore della Chiesa di questo Ospizio stesso. Alle ore sei pomeridiane la prefata Amministrazione unitamente al Vicario generale col seguito del Clero dell’Ospizio, del Direttore di questo Cav. Maggiore Lazzaro Goria e degli altri impiegati si avviavano ordinatamente al luogo della funzione ove, ricevuto dall’impresario sig. Rosazza, il Delegato del Vescovo ha proceduto secondo îl Rituale ecclesiastico alla solenne Benedizione della pietra fondamentale, la quale fu poscia dal sig. Presidente dell’Ospizio cav. Maggia fatta posare nel sito destinato e quindi da lui murata esternando a nome dell’Amministrazione il voto perchè mediante nuove elargizioni l’opera ora ripresa possa senza interruzioni essere proseguita e condotta a compimento a decoro dell’Ospizio di cui sarà degno coronamento. Nella pietra anzidetta e nell’incavo appositamente formato vi furono dallo stesso sig. Presidente poste monete col conio del Re e col millesimo «84» a perpetua memoria del fatto. [...]».
I lavori, preventivati in L. 140.000, da eseguirsi dalla impresa Rosazza erano i seguenti: spianamento del terreno per la costruzione e di parte del piazzale antistante: scavi e fondazione dell’atrio e della facciata ed innalzamento delle colonne e muri dei medesimi sino all'altezza di m. 7,15. Una mole non indifferente, attesa anche la brevità dei periodi lavorativi annuali ad Oropa e l’inclemenza del tempo frequente anche nella buona stagione. Essi sì protrassero sino al 1891, anche per la lentezza con cui, oltre le cause suaccennate, procedeva l'impresa, della quale l’ing. Feroggio continuamente si lamentava. Ne nacque una lite che sì trascinò per vari anni, composta poi in una concordata liquidazione della impresa
Arresto dei lavoriL'esito poco felice dei lavori fatti dai Rosazza fece stagnare per alquanti anni il progresso della costruzione appena iniziata. A ciò concorsero però altre cause, tra cui una grave lite interna alla Amministrazione, intentata presso i competenti tribunali dal Vescovo Mons. Cumino e dal Capitolo per il ripristino della Congregazione Amministratrice secondo gli antichi Stabilimenti regi. Il Santuario onde fosse sottratto alle leggi d'incameramento dei beni della Chiesa nel periodo della formazione del Regno d'Italia, fu trasformato in Opera pia col nome di «Ospizio»; di conseguenza la sua amministrazione cambiò con prevalenza dei membri laici alla Presidenza e nel Consiglio (decreto 24-3-1878). L'azione di parte ecclesiastica di ritorno al regime amministrativo anteriore, dapprima respinta d Tribunale di Biella (sentenza 21-3-1899) fu invece poi accolta dalla Corte di Appello di Torino (24-4-1900) e confermata 9 Cassazione (5 ottobre 1902).
ll secondo lotto (1898-1903)Comprendeva la costruzione dalla prima metà della rotonda principale della Chiesa, dall’asse passante per il centro di questa all’atrio, compresi i corridoi affiancanti la Chiesa. Il preventivo di queste nuove opere era di L. 125.777. I lavori vennero eseguiti dall’Impresa Ramella Poia Giovanni. La costruzione di questa prima parte della Chiesa doveva salire sino all’altezza di m. 7,15 già raggiunta nel lotto precedente dai colonnati dell’atrio e dalla facciata d’ingresso.
L'eredità MaggiaCon suo testamento 10 sett. 1892 [...] l’ing. Andrea Maggia fu Giov. Batt. da Pettinengo chiamava suo erede il Santuario di Oropa. L'asse ereditario consisteva in casa con arredi, crediti e censi, azioni e rendite per un valore netto di L. 182.299,40. Doveva essere tutto destinato alla costruzione del Nuovo Tempio. La salma di questo insigne Benefattore fu tumulata nel Cimitero Bosco di Oropa, ove l’Amministrazione gli eresse riconoscente un monumento funebre dovuto all’arte dello scultore Edoardo Rubino.
Il terzo lotto (1905-1907)Il fondo Maggia permise agevolmente in prosecuzione dei lavori. Venne infatti affidata all'impresa Coda Zabetta Pietro la fondazione elevazione a m. 7,15 della seconda metà della rotonda maggiore e della parte di passaggio da questa alla rotonda minore, col proseguimento delle gallerie laterali.
Il quarto lotto (1907-1912)
Comprendeva l'elevazione delle colonne e dei muri sia della facciata che del vaso grande dell'altezza di m. 7,15 a quella sotto 1 cornicione, 8 circa 20 m. Questo lavoro fu affidato all'impresa Fratelli Perona, la quale attenderà all'opera della Chiesa Nuova sino all’arresto dei lavori, dopo la IV centenaria incoronazione.
[...]
Dal 1913 in avanti i lavori s’intensificarono. L’aspirazione era quella di arrivare al compimento della facciata ed alla costruzione della grande Cupola. Venne compiuta la seconda rotonda che fu poi coperta, dopo le feste centenarie, con una calotta di rame su armatura lignea [...] Venne costruito il retrostante campanile, sino alla base della cella campanaria. Fu quasi ultimata la facciata dalle poderose colonne e capitelli granitici a m. 25 di altezza e messa in opera l'architrave ed il fregio con la scritta: Reginae Montis Oropae. I blocchi in pietra lavorata per il cornicione rimasero a piè d’opera e furono collocati nella ripresa dei lavori nel 1938 [...] Venne anche in questo periodo formato il vasto piazzale antistante, al quale nel 1920 lavorarono per qualche mese circa 400 operai!
La grande cupola restò per allora ancora un sogno, cui le forze restarono impari Ma che quel sogno fosse stato accarezzato ne è documento la celebre lettera pastorale di Mons. Natale Serafino esortante i fedeli con espressioni d’intensissimo amore per i] Santuario, ad edificare quella che Egli definì «La Casa della Madre», cui donò, lasciando Biella a causa della malferma salute, quantunque povero, L. 10.000 [...]
Onde accelerare il proseguimento della costruzione per la scadenza delle feste del 1920, l’Amministrazione fu costretta ad abbandonare il criterio d’impiegarvi soltanto i fondi straordinari delle offerte allo scopo. Nel periodo 1915-18 contro L. 220.003 di offerte pro Chiesa Nuova, se ne spesero per la medesima L. 541.218,19. Il disavanzo doveva essere colmato anno per anno coi fondi della gestione ordinaria. A ridosso delle celebrazioni centenarie le spese si moltiplicarono. Per quanto riguarda la Chiesa Nuova abbiamo fatto cenno al grandi lavori; altrettanti, non meno onerosi, ne furono fatti nel riassetto e preziosa decorazione del millenario Sacello eusebiano e per il nuovo Altare maggiore della vecchia Basilica. S'aggiunga la propaganda e l'allestimento per le cerimonie grandiose del 1920 che riuscirono imponenti con la partecipazione d’oltre 150.000 fedeli e s'avrà un'idea del carico finanziario che venne a gravare sul Santuario, alleviato soltanto in parte dalla vendita della Cascina Tane o Bicocca che il Santuario possedeva in territorio di Santhià, fatta nel 1619 per L. 520.000; e dalla cessione al Comune del palazzo, ora municipale, di Biella per L. 1.200.000, avvenuto nel 1922.
Il primo prestito (1921)Era logico che, atteso al completamento dei lavori già iniziati e la cui interruzione avrebbe danneggiato il già fatto, l’opera della Chiesa Nuova subisse un arresto, e sì pensasse al risanamento del bilancio. Ad esso si provvide con l'emissione di obbligazioni, rendita 5% per complessive lire 3.000.000, ammortizzabili in 30 anni con estrazioni annuali. La sollecitudine dei devoti per il Santuario fu grande: il «Prestito Oropa» - come fu chiamato - venne ben tosto coperto.
Il secondo prestito (1925)Stabilizzata la situazione finanziaria la aspirazione a compiere il sogno dell’erezione della grande Cupola ritornò vivissima, sia in seno alla Amministrazione che nello zelantissimo Rettore di Oropa in quegli anni, il compianto Can. Dott. Alessandro Gromo. Scriveva infatti: «La spesa per la costruzione della grande Cupola è lo sforzo finanziario maggiore che si deve fare, perché è assolutamente necessario onde non correre un grave pericolo di danni rilevanti di deperimento, che in questo caso sarebbe pregiudizievole, non solo alle casse del Santuario, ma anche e soprattutto alla stabilità della Cupola stessa». La spesa era preventivata in circa tre milioni. Fu creduta opportuna l'emissione di un secondo prestito per detta cifra, sulle modalità del primo.
La sospensione completa dei lavori
Fatti indipendenti dalla vita del Santuario, ma interessanti in senso negativo sui fedeli della Diocesi, mutamenti di persone responsabili nel Consiglio di Amministrazione e ad Oropa, un clima, per così dire, di stanchezza e di perplessità s'andò diffondendo. Il secondo prestito fu lasciato cadere a neppure un quinto della sottoscrizione, non perché il pubblico non rispondesse, ma piuttosto perché venne a mancare convinzione e volontà. I due prestiti furono poi estinti al 31 dicembre 1945.
Furono quelli gli anni di aspre critiche ai lavori fatti e di forti dubbi sulle possibilità tecniche a riguardo della costruzione della grande Cupola. Circa le quali l’Amministrazione nel 1932 volle avere pareri da una Commissione appositamente nominata; ma anch’essa non esaurì il suo mandato.
Così la stasi dei lavori perdurava.
L'elaborazione di un progetto soddisfacente fu la prima difficoltà che si dovette superare. La prima idea fu di coprire con una calotta emisferica in cemento armato la grande rotonda e di innalzare una cupola su quella minore. Il secondo progetto invece modificava parte posteriore: manteneva la copertura in rame della rotonda minore, elevava il a campanile a torre, su cui doveva campeggiare una grande statua della Madonna d'Oropa. Evidentemente questi studi non soddisfecero.
Il terzo studio elaborato riprendeva il primo rialzandone assai la calotta e ponendole al centro una grande lanterna. Questo progetto venne sottoposto all'esame del Soprintendente ai Monumenti dei Piemonte arch. Comm. Aru, il quale, approvatolo in un primo tempo, lo bocciava in seguito inesorabilmente. Occorreva insomma non scostarsi dal progetto Galletti. E la quarta soluzione che venne studiata vi s'attenne: sulla grande rotonda essa prevedeva una cupola con lanterna che si slanciavano a circa 80 m.
Il Soprintendente accolse quest’ultimo progetto il quale ebbe pure l’approvazione a Roma della Commissione centrale per la tutela del paesaggio. Parrebbe a prima vista che questo avrebbe dovuto subito essere il progetto da allestire, ma va ricordato che il problema finanziario e le difficoltà tecniche derivanti da carenze originarie di costruzione, su cui inoltre avevano agito tanti anni di intemperie consigliavano di ricercare se fossero possibili soluzioni meno costose e meno impegnative.
Tenuto conto delle difficoltà tecniche surriferite, il progetto della cupola venne impostato non sui muri perimetrali, ma sulla linea delle otto colonne interne in conci di pietra da sostituirsi da altre in cemento armato robustamente fondate. Il Bonora disegnò la cupola attenendosi ad una linea assai classica: un ordine di colonne binate, di finestroni ed occhi al tamburo ed un cupolino al fastigio a riassumere le linee della cupola.
Il finanziamentoVenne stipulato un mutuo di due milioni al 5%, ammortabile in anni 39, presso la Banca Nazionale del Lavoro. Questo mutuo fu estinto dopo la seconda guerra mondiale.
La costruzione
[...] I lavori ebbero inizio nel giugno 1938 [...] La grande cupola è sostenuta da otto colonne di calcestruzzo di cemento armato del diametro di m. 2 e dell'altezza di m. 22 [...] Il diametro della cupola è di m. 33; la sua altezza è di m. 60,80 dal piano pavimento della chiesa. L’altezza totale alla sommità della croce del cupolino è di m. 78,64 dal piano pavimento e di m. 81,32 dal piazzale all’inizio della gradinata di facciata. [...] S. Ecc. Mons. Carlo Rossi, vescovo di Biella, benediceva la croce sul cupolino, al termine dell’opera, il 21 settembre 1941.
Il costo della costruzione s’aggirò sui tre milioni. Tra il 1948 ed il 1949 fu fatta la copertura (superficie cupolino e croce, mq. 112; cupola mq. 1945) in rame cotto dello spessore di 8/10. I fedeli offersero q. 500 di rottami dì rame. La spesa si aggiro sui 10 milioni. Il lavoro fu eseguito dalla Ditta Comm. Oreste Balagna di Biella. S. Ecc. per la solenne circostanza aveva convocato con nobilissima pastorale i fedeli della Diocesi ad inaugurare quella ch’Egli definì «La Reggia della Madonna».
Deliberati sul finire del 1955, vennero iniziati esattamente il 20 febbraio 1956, quando fu dato il primo colpo di piccone per la fondazione del grandi pilastri. Il 6 maggio seguente [...] in occasione dell'annuale processione votiva di Biella, S. Ecc. Mons. Vescovo Carlo Rossi murava ai piedi del primo sorgente pilastro l’astuccio con pergamena recante, in latino, la leggenda: «quest'aula minore del nuovo Tempio, da tempo al rustico, sì incominciò a completare [...] ». Il 9 dicembre del 1957 era completata la volta interna della cupola. Nell'autunno del 1958 anche l’esterno era terminato, mentre all’interno sì stendevano gl'intonaci e si calavano i ponteggi [...]
Il dislivello dall’una all’altra rotonda è di m. 1,05; è colmato da una gradinata convessa a 3 gradini e da altra, concava, a 5 gradini oltre l’ampio ripiano intermedio.
[...] L’opera, se non ha l’altezza del cupolone, è tuttavia di mole imponente ed ha richiesto un notevole sforzo finanziario che può essere riassunto in cento milioni [...]
Alla gloria della Regina del Monte di Oropa.
MARIO TROMPETTO
prevosto del Capitolo Cattedrale
26 luglio 2021 - Testi e immagini tratte dalla pubblicazione 'L BURNELL (1960)
Sito ufficiale: www.santuariodioropa.it
Questa pagina vuole essere un piccolo contributo per mostrare la storia, la cultura o le tradizioni del Biellese.
Il progetto di Biellaclub è la realizzazione di un grande archivio di facile e libera consultazione. L'inserimento del materiale sul sito www.biellaclub.it è aperto a chiunque voglia collaborare.
La capacità di provare piacere richiede cultura (Thomas Mann)