Giorgio Gulmini

Re Sereno (una favola)

Nel proprio regno sua Maestà Re Sereno trascorreva delle tristi giornate perché il suo unico figlio era stato addormentato con una pozione fattagli bere con un inganno da una strega terribile e che gli era stata offerta in un calice d’oro durante un ricevimento al castello.
Il re non sapendo più come fare per svegliare il proprio figlio, pensò di andare a cercare per le vie del paese oppure tra i boschi e le campagne del suo regno,qualcosa o qualcuno che lo aiutasse a risolvere il grande problema. Si travestì come un uomo qualsiasi ed iniziò la sua ricerca.
S’imbatté dapprima in un viaggiatore che si stava riposando seduto su una pietra al bordo della strada e, nella speranza di ottenere un primo aiuto, gli spiegò il suo guaio.
L’uomo, che aveva girato il mondo in lungo ed in largo, si ricordò di aver conosciuto un grande mago nel paese vicino ed indicò al re la via per giungere alla casa di questo grande signore .
Ringraziato il viaggiatore, egli riprese il cammino con rinnovata energia.
Camminò alcune ore e finalmente, stremato, giunse alla mèta indicatagli. Bussò con energia e dopo qualche istante la porta s’aprì ed apparve di fronte a sua maestà una fanciulla bionda, talmente bella che il re restò per qualche istante ammutolito,finché, raccolte in qualche modo alcune parole, iniziò ad esporre la ragione per cui voleva parlare al grande mago. Purtroppo l’allegria della giovane si trasformò in una enorme tristezza quando dovette dire che il mago, grande curatore e grande amico di tutti, aveva lasciato da alcuni anni la Terra, per raggiungere in Cielo il Signore che lo aveva richiamato a sé. Triste e sconsolato, il sovrano si sedette pesantemente su uno scalino dell’abitazione e scoppiò in lacrime.
La giovane, mossa dalla commozione, lo invitò in casa; cercò di consolarlo e gli spiegò che il mago una volta le aveva detto che, tra le colline a nord del paese, viveva un nano di nome Bimbo che era a conoscenza del rimedio per tutti i mali e che sicuramente lo avrebbe aiutato a risvegliare suo figlio. Dopo aver ringraziato Quella divina creatura, s’incamminò per la via, nella speranza di riuscire a rintracciare in fretta questo omino eccezionale.
Di strada ne aveva percorsa parecchia, per cui, dovendo dare retta anche alle sue non più giovani gambe, decise di fermarsi alla taverna del paese per mangiare qualcosa e riposarsi. Sedutosi al primo tavolo, ordinò all’oste del cibo abbondante e del buon vino; chiese poi la migliore stanza per poter riposare tranquillamente, al fine di partire l’indomani per la colline a nord del paese con rinnovate energie. Intanto erano entrati nel locale tre ubriaconi che gridando e cantando a squarciagola, avevano trasformato una tranquilla taverna di paese in caotico locale cittadino di bassa levatura. L’oste cercò di calmarli, ma essi, facendosi avanti minacciosi, imposero all’uomo di servirli al più presto e di ritirarsi in cucina, altrimenti avrebbero combinato qualche guaio. Entrò poi un uomo che purtroppo era diventato pazzo a causa di una disgrazia successagli in famiglia qualche anno prima. Usava parlare da solo, canticchiare qualche frase senza senso ed importunare i passanti, pretendendo di accompagnarli sottobraccio verso”il paese della felicità” che solo lui conosceva.
Alla vista di questo infelice, i tre ubriaconi iniziarono a canzonarlo, a spingerlo contro il muro ed a versargli persino del vino sui vestiti fino a che, stanchi del loro folle gioco, lasciarono il disgraziato semisvenuto a terra e se ne andarono cantando canzoni ignobili e oscene.
Il re, visto quanto era successo e non appena i tre furono usciti, corse verso lo sventurato, sollevandolo, cominciò ad asciugargli il volto ed a pulirgli i vestiti. Quando l’uomo si svegliò, lo affidò alle cure dell’oste, lasciando sul tavolo anche una buona manciata di denari affinché gli fosse acquistato un vestito nuovo e fosse rifocillato a dovere.
Salì poi nella stanza e senza riuscire a svestirsi completamente, cadde in un sonno profondo e pieno di sogni. Forse era le stanchezza o l’aver mangiato troppo, oppure la terribile scena alla quale aveva assistito, che uno di questi sogni fu molto triste.Un uomo era morto dopo un duello con un crudele cavaliere, perché non aveva tolto il cappello al passaggio del nobile guerriero e questi si era offeso al punto di sfidare l’uomo fino a troncargli la vita con un colpo al cuore. Svegliatosi di soprassalto, il sovrano non riuscì più a riprendere sonno e decise pertanto di partire alla volta delle colline, anche se era più stanco della sera precedente.
Lungo il cammino incontrò una signora trasandata nel vestire che sembrava povera nel suo portamento. La viandante, nonostante il suo aspetto dimesso, s’avvicinò al re offrendogli un semplice sorriso non difficile da interpretare in quanto esprimeva la sua voglia di parlare e di confidarsi.
Arrivarono al punto che sua maestà cominciò a nutrire fiducia per questa zingara, nonostante l’avesse conosciuta da così poco tempo, che la volle come compagna di viaggio alla ricerca di quel rimedio che facesse tornare suo figlio tra gli esseri viventi. Finalmente, dopo alcune ore, I due giunsero alle colline a nord del paese ed iniziarono a guardarsi intorno per potersi orientare e stabilire quale percorso intraprendere per trovare il nano chiamato Bimbo.
Ad un tratto il re si ricordò che la giovane fanciulla bionda aveva parlato di un bellissimo stagno nel quale si riflettevano con grande vanità gli alberi che lo circondavano; il loro riflesso era talmente insistente ed importante che esso era denominato”Stagno Verde”. Neppure l’autunno, con quella capacità di spogliare gli alberi del loro manto, riuscivano a cambiare il colore dell’acqua tanto era il suo potere di conservare gelosamente il prezioso colore che la naturale aveva concesso in don.
Sorpresi da questa eccezionale visione, il re e le zingara arrestarono i loro passi per qualche istante, senza notare che qualcuno aveva spiato le loro mosse ed i loro atteggiamenti. Coloro che osservavano i due viandanti non erano altri che il nano Bimbo e la sua inseparabile lucertola parlante. Costoro, nascosti tra la folta vegetazione, controllavano i movimenti dei due estranei che, impudentemente, senza nulla chiedere, erano entrati nel loro territorio.
Riavutisi dalla splendida visione del lago, il sovrano e la zingara decisero di riposarsi per qualche ora. Vollero sedersi ai piedi di un albero che, per chissà quale ragione, presentava una cavità che più che stranezza suscitava curiosità.
Aveva una forma talmente strana che invitava più che a osservare la sua figura a curiosare all’interno del suo antro.
Sua maestà e la donna volevano, a tutti i costi, prima di rifocillarsi, sbirciare all’interno dell’albero per placare la loro comprensibile curiosità dovuta al fascino emanato da quella strana opera della natura. Quando il nano e la lucertola videro che stava per succedere l’irreparabile, si precipitarono di corsa verso l’albero cavo ed impedirono in tutti i modi la sua profanazione.
Urlarono frasi incomprensibili. La lucertola, con enorme sorpresa dei due profanatori, inveiva con insulti terribili; il nano, esaltato all’inverosimile dalla presenza di questi due stranieri, era arrivato al punto di minacciarli con un bastone. Il re, stanco per il lungo viaggio, sconfortato dai continui insuccessi della sua ricerca e privo della capacità necessaria a reagire, in quanto non amava alcun tipo di violenza, cadde a terra e cominciò a piangere come un bambino, tremando come una foglia. La zingara, che ormai gli si era affezionata come una sorella, cercò di calmarlo e, accarezzandogli amorevolmente i capelli, lo pregava di non abbattersi in quel modo, che tutto non era perduto e che c’erano ancora molte speranze per salvare suo figlio. Intanto, qualche passo più in là, i due custodi e difensori dell’albero cavo, calmati i bollenti spiriti, alla vista di quella triste scena, si sentirono colpevoli per aver agito in così malo modo di un essere umano. A testa bassa si avvicinarono allo sventurato e gli chiesero scusa per il loro comportamento; utilizzarono frasi talmente sincere che al re non restò altro che perdonarli; arrivò persino a raccontare loro la sua grande sventura.
Anche per la zingara ebbero parole di scusa ed ella ringraziò con un semplice sorriso. Il nano disse di chiamarsi Bimbo, grande amico del mago scomparso, il quale mago era talmente buono che, per aiutarlo a combattere la solitudine degli interminabili giorni trascorsi a custodire il segreto dell’albero cavo,aveva compiuto il grande miracolo di offrire il dono della parola ad una lucertola, cosicché egli non si sentiva più solo ed aveva qualcuno con cui parlare, discutere e magari bisticciare.
Il segreto dell’albero cavo era il suo contenuto. In esso era stato depositato, molti anni prima, un campanello d’argento; uno strano aggeggio che aveva, secondo colui che lo aveva posseduto, la capacità di guarire con il suo suono, qualunque malattia ed ogni maleficio. Affinché il suo potere fosse efficace, esso doveva essere scosso da una persona gentile d’animo, buona di carattere, ricca di fede e amante del suo prossimo. Il nano e la lucertola parlante si congedarono momentaneamente dalla compagnia e s’inoltrarono nel bosco. Avevano deciso di comportarsi così perché erano tentati di far provare a suonare il campanello al re; però dovevano correre un grande rischio per compiere una simile azione. Infatti, se avessero affidato il campanello d’argento in cattive mani e questo non avesse il suono giusto, essi sarebbero stati castigati in maniera terribile da colui che aveva affidato loro il prezioso strumento. Sfidando la sorte, tornarono dai due stranieri. Il nano infilò la mano nella cavità dell’albero ed estrasse il campanello e lo consegnò al re che lo scosse con speranza.
Ciò che tutti sentirono furono le note melodiose d’una musica tranquilla; in un momento l’aria si riempì d’una pace fantastica e sul viso dei presenti si disegnò un sorriso dolce e calmo. Il nano interruppe il trascorrere di questi piacevoli istanti e, riportando tutti alla realtà, disse al re di tornare a casa velocemente perché una voce gli aveva detto che era successo un fatto straordinario al castello e pertanto doveva riprendere al più presto la via del ritorno. Il sovrano raccolse in fretta e furia la sua roba, aiutò la zingara a prepararsi e si volse per salutare e ringraziare sia bimbo che la lucertola parlante: con meraviglia s’accorse che non c’era più nessuno. Dopo qualche istante raccolse un ramo e scrisse per terra “GRAZIE”. Accompagnato dalla donna, si diresse verso casa felice e pieno di speranza.
Non impiegò molto tempo per arrivare al suo maniero, tanta era la voglia di scoprire questo fatto straordinario di cui il nano aveva fatto menzione. Appena varcata la soglia del castello, i suoi occhi s’illuminarono in un modo incredibile, tanta era la felicità di vedere il proprio figlio che con le braccia aperte, lo stava attendendo.
Il sovrano gli corse incontro e lo strinse a sé quasi a soffocarlo; alcune lacrime di gioia gli luccicarono sulle guance e finalmente sentì il proprio cuore calmarsi, l’agitazione scomparire e la felicità ritornare.
Non dimenticò colei che lo aveva sostenuto in quegli ultimi giorni di ricerca, colei che non aveva preteso nulla in cambiò per le sue parole di conforto e che gli aveva offerto aiuto senza chiedere chi fosse.
Le chiese di restare al suo fianco come una sorella affinché potessero trascorrere gli anni futuri in compagnia, senza solitudine e noia. La donna accettò volentieri l’offerta, intanto, sbucata da chissà dove, una lucertola osservava di nascosto, pronta a riferire ad un certo Bimbo quanta bontà e amore erano sbocciati in un certo castello in un certo regno.

Giorgio Gulmini