copertina libro


La vicenda, avvenuta nel 1553, narra del tentativo, quasi riuscito, di conquistare la capitale del ducato che, a causa di una grande e lunga campagna militare francese, era stata spostata da Torino a Vercelli. Morto il vecchio duca Carlo II senza esercito e nelle più grandi ristrettezze finanziarie, tutte le speranze della Savoia erano state riposte temporaneamente nel fedelissimo Renato di Challant, valdostano. L’unico erede rimasto, Emanuele Filiberto, stava invece combattendo lontano da casa, nelle Fiandre. Se fosse caduta Vercelli, credo che la Savoia si sarebbe dissolta e gli equilibri italiani si sarebbero modificati restituendoci un’Italia sicuramente diversa da quella attuale [...] I francesi per un soffio non presero Vercelli e i pochi piemontesi e spagnoli che la difesero resistettero nella cittadella che fortunatamente non fu conquistata. Da questo punto, da quest’unico appiglio geografico, partì la riscossa della Savoia che, accusando il colpo, seppe però ricominciare con fatica e diventare, secoli dopo, un vero e grande stato.


Indice

  • Introduzione - pag. 5
  • L’idea - pag. 7
  • Primo viaggio - pag. 17
  • Merlo - pag. 24
  • Trattative - pag. 33
  • Di nuovo in viaggio - pag. 40
  • Brissac - pag. 47
  • La riunione - pag. 54
  • Verifiche - pag. 62
  • Il rientro - pag. 68
  • L’anticipo - pag. 75
  • Carlo II - pag. 83
  • Tregua - pag. 91
  • Ultimi ritocchi - pag. 100
  • Spostamenti - pag. 108
  • Si parte - pag. 116
  • Dentro la città - pag. 124
  • Al castello - pag. 133
  • Altri scontri - pag. 142
  • Gli Spagnoli - pag. 150
  • Rinforzi francesi - pag. 158
  • La cittadella - pag. 165
  • Prigionieri eccellenti - pag. 174
  • Artiglieria - pag. 182
  • Saccheggi - pag. 190
  • Nel duomo - pag. 198
  • Senza Sindone - pag. 210
  • Partenza - pag. 217
  • Epilogo - pag. 225
  • Spigolature finali - pag. 229

Lunghezza: 230 pagine
Pubblicazione: ottobre 2021

Disegni di Ruggero Marchesi


[...] Dalla fortezza di Verrua
La fortezza era stata costruita sopra una delle ultime colline del Monferrato che davano a nord verso la Pianura Padana, appoggiata a uno spuntone di roccia che le aveva dato il nome. Vista dal basso era un luogo strategico e imprendibile da cui si poteva sorvegliare ogni movimento sospetto fin dove l’occhio poteva vedere, fino alla corona delle Alpi che, in fondo in fondo, con un filo di neve racchiudevano quello spettacolo come dentro un recinto. [...] Raimondo era governatore solo da un anno, da quando nel luglio 1552, con un abile colpo di mano, aveva catturato Verrua insieme al comandante Ludovico Birago. L’aveva strappata a una guarnigione di centotrenta spagnoli privi di paga e senza vettovaglie da giorni. Era stato un gesto epico. Il piano aveva previsto il trasporto di sei cannoni e due colubrine via fiume da Chivasso. Dopo averli scaricati e sistemati a sud su una collina di fronte alle mura, avevano aperto un fuoco martellante fino a quando, il giorno dopo, non venne aperta una breccia. La presero quindi d’assalto cinquecento uomini che entrarono come delle furie, seguiti da una riserva di altri cinquecento. Massacrarono i difensori senza risparmiarne nemmeno uno. La conquista però era finita lì. Senza altri uomini e mezzi, in un territorio meno importante rispetto alle Fiandre, i francesi non erano riusciti ad allargare così tanto i confini fino a entrare in contatto diretto con nemici del ducato di Milano sotto il controllo di un Viceré di Spagna [...]



Luca Revello
È nato nel 1964 a Venezia. Biellese di adozione, si è laureato in Economia e Commercio a Torino nel 1990. Da sempre è appassionato di storia, di sport, di giochi di ruolo e da tavolo. Dopo il 2013 si è avvicinato alla scherma e alla rievocazione storica, che pratica tutt’ora.



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Vercelli capitale

pag. 9


[...] La guerra in Italia aveva preso infatti nuovo vigore da quando Re Enrico II aveva nominato maresciallo di Francia Carlo I di Cossé, signore di Brissac, e l’aveva incaricato di iniziare una nuova campagna partendo proprio dal Piemonte. Lui con altri nobili aveva fatto parte della spedizione e aveva combattuto senza tregua gli spagnoli e i suoi alleati. A farne le spese finora era stato però il buon Carlo II, cacciato da Torino e ormai da anni asserragliato a Vercelli, quella capitale in miniatura. Non era un mistero che Raimondo pensasse in continuazione a un’azione epica, degna di fama e onore. La sua era diventata quasi un’ossessione, un tarlo. Quella città, laggiù in fondo a destra, custodiva quel che restava della corte Sabauda con tutti i suoi tesori, Casale a qualche miglio di distanza sul fiume era invece un diretto dominio spagnolo [...]“Dunque, Pietro, come vi ho detto, fra tutti i soldati della guarnigione siete il più fedele e mi fido di voi. Quelle parole che mi avete detto poco prima sulla piattaforma mi hanno incuriosito. Ditemi: in che modo avete idea di poter fare un buon servizio al nostro Re?”. Pietro, ancora più a disagio per il luogo in cui era seduto e la situazione creatasi, nel frattempo aveva comunque affinato l’idea pensata qualche tempo prima. “Prendiamo Vercelli” rispose con il cuore in gola. Un timido sorriso di soddisfazione apparve sul volto di Raimondo. Sollevò un cavallo nero verso di lui e disse: “Pietro, Pietro… Non pensate che io e tutti i comandanti francesi non abbiamo già provato diverse volte a elaborare un piano fattibile per fare cadere i Savoia per sempre?” [...]

L'osteria di Tricerro

pag. 20


[...] Dopo aver camminato per miglia e miglia, giunse accaldato ben dopo mezzogiorno a Tricerro, in pieno territorio nemico. Spinto dalla fame entrò in un’osteria sulla via principale. Tenendo il cappello in testa per restare in incognito, si sedette nella penombra su una panca dietro un tavolaccio in fondo alla stanza. L’osteria era deserta. Ordinò qualcosa da mangiare e un ragazzo gli servì subito in una ciotola di legno della zuppa di cavolo e del pane di frumento. Una rarità.
“E il vino?” chiese quasi deluso.
“Il vino? Eccolo” disse l’oste da dietro il bancone con una brocca di ceramica in una mano e un bicchiere di legno fra le dita unte e grasse dell’altra. Giungendo dal fondo gli si piazzò davanti, con atteggiamento indagatore. Aveva il fisico piuttosto rotondo, in barba alla condizione media del popolo. “Non siete di queste parti, vero?” sussurrò, appoggiando il tutto sul tavolo.
“Sono di Pontestura, qui vicino, ma vado a Vercelli per alcuni affari” rispose Pietro in modo confuso e impastato, mangiando con voracità la zuppa e mordendo un pezzo di pane.
“E che ci andate a fare? Si dice che il buon Carlo, sempre più malaticcio, sia incapace di governare e abbia i giorni contati. La sua corte vivacchia delle poche cose che riesce a raccogliere in giro e pare che nessuno, ma proprio nessuno sia interessato a fare dei veri affari a Vercelli”.
“E voi, di grazia, come fate a sapere queste cose?” chiese Pietro, ingollando dal bicchiere di legno un vino denso, acido e rosso ma molto nutriente e in grado di far digerire anche le pietre.
“Dimenticate che è un’osteria” replicò l’oste. “Qui passa chiunque. Dai soldati ai contadini, dai preti ai commercianti. Tutti dicono più o meno: Vercelli sta morendo, il ducato sta morendo. La Francia è padrona di Torino da ormai quasi vent’anni e a poco a poco sta conquistando tutte le terre circostanti. Il ducato di Milano, oltre il Sesia, non ha grande interesse a far prosperare i Savoia. Il viceré Don Ferrante avrebbe potuto in qualche modo farci fuori tutti e invece siamo ancora qui, fedeli sudditi. Il buon vecchio duca Carlo ci tiene insieme più per fedeltà che per vero interesse. Quindi alla fine che vi porta a Vercelli?” [...]

Bandiera bianca

pag. 185


[...] “Non sarà mai che gli offriamo un po’ di piombo senza averli avvertiti prima” esordì nervoso una volta fattosi largo fra gli uomini. Intorno a lui era tutto un movimento di gente indaffarata.
“Capitano Ceretto, cerchi una trombetta per fare un’offerta di resa prima di aprire il fuoco”.
A spintoni tirarono fuori un meschino che parlava spagnolo. Era un soldato mingherlino, sporco, armato solo di spada e non aveva alcuna intenzione di farsi ammazzare per portare un messaggio del governatore. Quando fu davanti a Raimondo, lo guardò con sguardo impaurito. Aveva gli occhi cerchiati perché era stato impegnato anche lui tutta la notte in scaramucce contro gli spagnoli.
“Tu” esordì lui con voce suadente accarezzandogli il bavero con un dito, “ora andrai verso di loro con una bandiera bianca e griderai di offrire loro salva la vita se la cittadella si arrenderà senza sparare un colpo”.
“Devo?” domandò il soldato titubante.
Raimondo allargò le braccia dai fianchi. “Ma ti pare?” rispose con un tono canzonatorio. Riprese ringhiando: “Ora vai subito verso di loro e fai quello che ti ho appena detto. Stai sicuro che non si è mai sentito che una trombetta sia stata ammazzata per il fatto di portare un messaggio. Pusillanime!”. Il poveretto prese una bandiera bianca che gli era stata preparata da qualcuno insieme a una tromba che serviva per annunciare l’offerta verbale e si avviò a passi poco sicuri verso il nemico. Nelle poche centinaia di metri che lo separavano dalla cittadella, si voltò spesso indietro per chiedere una conferma visiva e ogni volta Raimondo lo scacciò in avanti con una mano. Giunto quasi sotto le mura, davanti alla casamatta, prese la tromba e tentò di suonare prima di parlare. Una scarica di archibugi partì dall’alto. Gli spagnoli lo avevano aspettato in silenzio bene acquattati e avevano obbedito a un ordine perentorio di un certo capitano Pagano di Trino. Per la rapidità nessuno però fu così preciso da ferire il messaggero. Alcuni pallini rimbalzarono a terra vicino a lui sollevando qualche nuvoletta di polvere.
“Questo non è che l’inizio!” urlò il capitano.
Il disgraziato fuggì a gambe levate perdendo la tromba. Fu bersaglio di una seconda scarica di archibugi e preso in giro da una risata generale condita da numerose urla. Occhi esterrefatti di fanti tedeschi e italiani lo stavano guardando da lontano in perfetto silenzio. Questi arrivò trafelato al punto di partenza dove lo aspettava un iracondo Raimondo. [...]

Epilogo

pag. 225


Era l’alba. Si allungarono subito lungo la strada che attraversa la pianura Padana verso Crescentino. La testa della compagnia prese subito qualche decina di metri di distanza senza aspettare il suo comandante. [...] Vercelli non era caduta, il ducato non era caduto, il buio che era calato sui Savoia si sarebbe diradato presto. O almeno questo era quello che speravano i piemontesi che avevano vissuto in quel tempo l’esperienza di questo terribile fatto d’arme. E gli altri? Vi basti sapere che l’esercito francese comandato da Carlo di Cossé signore di Brissac si salvò con pochissime perdite, complice la proverbiale lentezza del solito accidioso esercito imperiale. Le speranze di Don Ferrante di vedere la fine della Savoia anche stavolta andarono deluse. Dopo qualche giorno i due marescialli arrivarono a Torino, ma questa è un’altra storia.



Pagina realizzata il 28 gennaio 2022

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