L’edificio cui ci riferiamo è forse uno dei più vecchi di Chiavazza, ha subito vari rimaneggiamenti nel tempo ed essendo connesso con la vicina chiesa, è presumibile che abbia la stessa età. La meridiana che esisteva sul prospetto verso la piazza ha ragionevolmente un’origine antica, almeno sei-settecentesca, a giudicare dall’unico reperto ancora esistente: lo gnomone.

Il metodo per misurare il tempo, oggi, è cosa scontata: troviamo orologi dappertutto, viviamo con l’assillo dell’orologio. Le ore sono quelle, misurate ed esposte da tutto quello che ci circonda. Ma il criterio per suddividere la giornata non è sempre stato quello cui siamo abituati, e non è stato uguale per tutti i popoli. Rimanendo al Piemonte e cercando di non andare troppo indietro, grosso modo dal XVI secolo si usava suddividere la giornata in 24 ore, come oggi, ma a partire dal tramonto. Nel momento in cui “andava giù” il Sole si cambiava la data. Questo modo rendeva facile la regolazione degli orologi; teniamo presente che bene che andasse, nei paesi l’unico orologio era quello pubblico, nel campanile o in una torre separata. Regolato quello, andava bene per tutta la comunità. Bastava quindi, di tanto in tanto, correggere le lancette in modo che segnassero 12 (che in realtà era la fine della 24a ora, o meglio l’ora zero del giorno successivo) al momento del tramonto del Sole. In molti luoghi, un poco importanti, vi erano appositi funzionari comunali, incaricati dell’operazione, che correggevano le lancette dell’orologio pubblico ogni cinque o sei giorni, per adeguarsi alle stagioni. Se poi la correzione non era perfetta, nessuno se ne lamentava. Con questo criterio, l’inizio del nuovo giorno va avanti e indietro durante l’anno di circa 4 ore: se lo confrontiamo con il nostro orologio moderno, intorno a Natale l’ora zero, il cambiamento di data, arriva verso le 5 del pomeriggio, mentre a fine Giugno è intorno alle 9 di sera. Questo uso era esteso all’intera Italia (con delle varianti, ma sostanzialmente identico) e ad una parte dell’Europa dell’Est, per cui esso veniva chiamato in Europa “ad ore Italiche” oppure “ad ore Boeme”. Scrittori stranieri che si fermavano o passavano per l’Italia (per esempio Goethe), scrivevano lettere con la descrizione di questo modo di misurare il tempo, lo consideravano strano. Ma pare che i nostri avi ci si trovassero benissimo, tant’è che è durato dal '400 fino agli inizi dell’800. Quando le autorità decisero di cambiare il modo di misurare il tempo, adottando un criterio simile a quello odierno, c’è chi non riusciva ad adattarsi. Il motivo per cui i governi hanno deciso di cambiare ufficialmente il modo di misurare il tempo va cercato per esempio nello sviluppo delle ferrovie. Il sistema italico sarebbe stato disastroso.
Vediamo come si legge l’ora in un orologio italico, premettendo che già all’inizio del '700 vi era chi diceva che le meridiane sono degli ornamenti piacevoli ma inutili, buoni per riempire gli spazi fra due finestre in una casa signorile. Negli orologi italici quello che conta dello gnomone è solo l’ombra del suo estremo, per cui è sufficiente un’asta perpendicolare alla parete (qualche volta leggermente inclinata per evitare che l’acqua scorra sul muro). L’ombra della punta percorre lo spazio dove ci sono le linee orarie, attraversandole. Fra una linea e la successiva il tempo del percorso è sempre di un’ora, ma non vi è nessun collegamento con gli orologi odierni, tranne in un paio di giorni all’anno, quando l’ombra percorre durante il giorno la linea retta che sta in mezzo alle linee delle ore. In quel giorno il Sole rimane al disopra dell’orizzonte esattamente 12 ore, per cui quando la punta dello gnomone attraversa la linea con il numero 18 è il momento in cui il Sole si trova a metà percorso, cioè è mezzodì. Negli altri giorni dell’anno l’ombra non percorre più la linea retta, ma sta sopra o sotto di essa; e arriva alla linea della 18a ora in tempi diversi: d’estate fino a due ore dopo mezzodì, e d’inverno fino a due ore prima. Quando l’ombra segna 18, vuol dire che mancano 6 ore al tramonto, qualsiasi sia la stagione.

A Chiavazza, la parete in cui è costruito l’orologio solare italico è un poco orientata verso oriente, per cui ad un certo punto del primo pomeriggio il sole non illumina più la parete: l’ultima linea oraria disegnata corrisponde al numero 20: vuol dire che dal momento in cui l’ombra dello gnomone smette di funzionare ci sono ancora quattro ore prima che il sole tramonti. Per un tempo piuttosto lungo del mattino, l’orologio solare è coperto dall’ombra della Chiesa Parrocchiale, per cui esso segna solo una piccola parte della giornata.
L’edificio su cui si trova l’orologio solare è stato fino alla fine degli anni trenta, il Municipio del Comune di Chiavazza. Si è ritenuto quindi di ricordare tale funzione pubblica assolta da esso, ornando la tabella dell’orologio con lo stemma comunale dell’epoca.


Nota: i quadranti degli orologi da campanile non sono stati uguali a quelli odierni. La suddivisione del quadrante che conosciamo è relativamente recente. In alcuni degli orologi più antichi vi erano segnate 24 ore ed avevano una sola lancetta. Nella zona di Roma si usavano quadranti con sole 6 ore.

Orologio solare italico
antico municipio di chiavazza


Testo di Alessandro Gunella.
Iniziativa promossa da A.P.D. Chiavazzese ‘75


13 luglio 2013 - Giorgio Gulmini

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