Quando da bambina trascorrevo parte dei mesi estivi nella casa dei bisnonni, non c’era nulla di tanto affascinante o di tanto invitante della grande fontana di pietra, costituita da un unico blocco con i segni degli scalpelli, sistemata a lato del cortile. Certo l’acqua è irresistibile per un bambino, ma nel caso specifico mi seduceva in particolare quell’enorme masso, scavato all’interno per far posto alla fresca acqua che zampillava libera e continua dal foro ricavato dalla pietra. Anche oggi, che bambina non sono più, di fronte alle fonti di pietra che incontro nel mio girovagare in Valle Cervo, l’emozione c’è sempre, diversa ma consapevole nell’osservare la testimonianza del tempo.
Tante sono le reminiscenze che una fontana di pietra fa sgorgare, ma alla fine rimane l’ elemento misterioso e affascinante del gioco con l’acqua. E’ il mondo delle fiabe e della fantasia che prevale, quello che noi adulti oggi abbandoniamo troppo presto.
Sella di Tavigliano: passi lunghi quelli del pastore di ritorno dal pascolo per arginare la voglia delle mucche alla vista della fresca acqua della fonte
Piedicavallo: realtà dura quella delle donne curve, con le ginocchia dolenti e le mani gonfie, a lavare i panni nell’acqua gelida
Riabella: storia quotidiana del “Va a prendere l’acqua” quella dei ragazzi che con fiaschi o secchi si recavano alla fonte per l’approvvigionamento di casa
Bariola: c’era anche chi doveva percorrere lunghe distanze tra la casa e la sorgente e impiegava mezz’ora tra andata e ritorno
Forgnengo: nessuno protestava. Così si era fatto da sempre… Certo che l’acqua serviva per la polenta o la minestra fumante…
Gliondini: e serviva per scaldarla nel paiolo e metterla poi nel catino per potersi lavare in modo sommario
Rialmosso: chi lasciava in camera da letto l’acqua nel catino o nella brocca, al mattino d’inverno la trovava trasformata in ghiaccio, perché le stanze non erano riscaldate.
Montesinario: il sabato l'acqua serviva per la cerimonia del bagno. Dentro una grande tinozza, in cucina o nella stalla, ci si lavava a turno
Mortigliengo: ne serviva tanta di acqua perché le famiglie erano numerose e l’acqua nella tinozza, dopo due bagni, veniva cambiata
Oretto: e tanta ne serviva per
la buà, il lungo processo nella tinozza del bucato mensile delle lenzuola che si lasciavano a macerare con acqua e cenere.