- S. Eusebio IV sec. - S. Emiliano V sec. - B. Pietro Levita VI sec. - B. Giovanni Garbella XIII sec. - Giovanni Gersen XIII sec. - Giovanni Gromis XV sec. - B. Agostino de Fangi XV sec. - B. Adriano Berzetto XV sec. - B. Giacobino da Ayloche XV sec. - B. Giorgio Meschiatis XV sec. - S. Secondo I sec.
- B. Pier Giorgio Frassati XX sec. - Guido Acquadro XX sec. - V. Oreste Fontanella XX sec. - Antonio Ferraris XX sec. - Maria Bonino XX sec. - Giuseppe Greggio XX sec. - Alberto Maria De Agostini XIX sec. - Pier Giuseppe Berizzi XIX sec. - S. Ignazio da Santhià XVII sec. - Caterina Vercellone XVII sec.
Dedicare una pagina ai "testimoni della fede" serve anche a ricordare che la Storia della civiltà occidentale è permeata dalla storia della Chiesa perché, nel passato più che nell'oggi, la gente ha vissuto in un ambiente permeato di religione. Chi è cattolico vi potrà trovare spunti di approfondimento, gli altri vi potranno trovare un elenco di personaggi popolari. Presentiamo quindi alcuni "testimoni" della Chiesa che si sono distinti nella loro missione. Non tutti biellesi, ma tutti legati al nostro territorio. Non ci siamo chiusi con una rigorosa ricerca storica perché nelle epoche più remote gran parte delle "prove" sono comunque irreperibili e allora le "tradizioni" diventano ugualmente importanti.
Sant'Eusebio fu il primo vescovo del Piemonte, nominato a Vercelli intorno all'anno 345. Stabilì per sé e per i suoi preti l'obbligo della vita in comune, collegando l'evangelizzazione con lo stile monastico. I vercellesi vennero conquistati dalla sua arte oratoria ma si attirò l'ostilità di molti e l'imperatore lo mandò in esilio in Asia. Tornato in Piemonte, Eusebio portò il culto orientale della Madonna Nera. Secondo tradizione, portò dalla Terra Santa una statua che fu inizialmente nascosta presso la cittadina valdostana di Fontainemore, e poi custodita sui monti biellesi presso quello che diventerà il Santuario di Oropa. Morì nel 371 a Vercelli, che ne custodisce tuttora le reliquie nel Duomo.

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S. Emiliano fu vescovo di Vercelli dal 489 al 520, nato verso il 420 forse a Cerrione probabilmente da una famiglia da cui derivarono poi gli Avogadro, saprebbe descriverci tanta storia delle nostre origini. Era ancor giovane quando lasciò il suo illustre e ricco casato per ritirarsi nelle folte foreste che allora prendevano d'assalto la conca e i monti d'Oropa. Lassù qualche tempo prima l'aveva preceduto S. Eusebio.
Sant'Emiliano fu eremita per quarant’anni nei pressi di Sostegno, dove poi sorse un monastero di chierici regolari. Ancora oggi vi è un santuario a lui dedicato. Esercitò il suo spirito nella pratica di un ascetismo cristiano eroico, finché clero e popolo alla morte di S. Lanfranco lo elessero, a sua insaputa, Vescovo di Vercelli.

- don Oscar Lacchio, Rivista Biellese, 1950
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Il Beato Pietro Levita (levita significa diacono, sacerdote, sul modello ebraico) nacque verso il 540, forse a Salussola. Per tradizione, a Salussola, viene indicato il luogo in cui sorgeva la sua casa natale. Fu segretario di papa San Gregorio Magno. Un anno dopo la morte del papa, il popolo voleva bruciare gli scritti di San Gregorio Magno con l'accusa che aveva impoverito la Chiesa. Pietro difese gli scritti dal rogo e, dal pulpito della Basilica Vaticana, giurò sul loro valore: disse alla folla che se fosse morto all’istante quella era la verità... e stramazzò al suolo come colpito da un fulmine, era il 30 aprile 605. Il glorioso gesto di Pietro salvò un patrimonio. Fu sepolto presso la tomba di San Gregorio Magno. Acclamato santo il culto si diffuse anche in terra biellese, insieme al desiderio di possedere le sue reliquie. I suoi resti furono rubati e condotti nel castello di Salussola. La devozione popolare fece erigere una chiesa (nell’attuale cascina San Pietro) consacrata nel 970. Per la credenza taumaturgica attribuita al Santo le donazioni degli abitanti del borgo furono tanto generose da permettere l’elevazione della chiesa a priorato, il quale divenne meta di pellegrinaggi anche dai paesi confinanti.

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Il Beato Giovanni Garbella, sacerdote domenicano, nacque a Capomosso, borgata di Mosso Santa Maria nei primi anni del 1200. Studiò a Parigi e insegnò nelle università di Parigi e Vercelli. Nel 1229 entrò nel convento di S. Domenico in Bologna. Nel 1234 fondò il convento di Vercelli. Dal 1257 al 1264 fu messo a capo dell'Ordine Domenicano di tutta l'alta Italia, costituita da circa trenta conventi con oltre 600 religiosi. Nel 1264 succedeva al beato Umberto de Romans nel governo di tutto l'Ordine, carica che avrebbe tenuto fino alla morte. Percorse quasi tutta l'Europa per amore del suo ministero: Parigi, Montpellier, Treviri, Bologna, Viterbo, Firenze, Budapest, Lione, Pisa, Bordeaux, Oxford lo videro presente alle annuali assise dell'Ordine, ove promosse vigorosamente la disciplina con leggi sapienti. Visitò a piedi tutti i conventi del suo Ordine, di Francia, d'Italia e d'Ungheria. Papa Innocenzo IV lo inviò commissario dell'inquisizione ove diede prova di carità e di mitezza nel reprimere l'eresie. Altri quattro papi nutrirono in lui illimitata fiducia e gli affidarono i più difficili incarichi. Fu custode rigidissimo della povertà e non tralasciò mai la predicazione. Austero con sé, benigno con gli altri. Morì in Montpellier il 30 Novembre 1283, nell'esercizio del suo apostolato, dopo aver stupito l'Europa per la sua operosità e per lo zelo, caratteristiche per cui è stato definito il pellegrino della pace. Le sue spoglie, venerate per lungo tempo, furono disperse dai protestanti francesi nel 1562. Fu beatificato da Pio X nel 1903.

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Giovanni Gersen è stato un monaco dell'ordine benedettino. Nato a Cavaglià all'inizio del XIII Sec. è il probabile autore di uno dei testi più famosi della letteratura cristiana, il testo religioso più letto dopo la Bibbia: DE IMITATIONE CHRISTI (L'imitazione di Cristo). Pare che S. Carlo Borromeo portasse questo libretto sempre in tasca e S. Ignazio ne leggeva ogni giorno un capitolo. S. Francesco di Sales, S. Pio V, S. Filippo Neri, S. Teresa di Lisieux, Papa Giovanni XXIII… sono solo alcuni che si formarono alla scuola del famoso libro. Ma di Giovanni Gersen sappiamo pochissimo, certamente è stato abate dell'abbazia benedettina di Santo Stefano a Vercelli dal 1220 al 1250.

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- E-book: Giovanni Gersen, 1809
Giovanni Gromis nacque a Biella nel 1450 circa. Figlio di Pietro Gromis, Signore di Ternengo, Cerreto, Quaregna, Buronzo, Bastia e Balocco; sua madre Giovanna Bertodano, figlia di Ludovico, Conte Palatino e Consignore di Tollegno, Miagliano e Gaglianico. Fatto sacerdote, fu eletto alla dignità d'arcidiacono della cattedrale di Vercelli. Ma desiderando di vivere tutto a Dio, rinunziò alla medesima, e tornò a Biella. Si racconta che una volta tornò a Vercelli di nascosto, per venerare le reliquie del Santo martire Eusebio. Ma il vescovo lo seppe, lo raggiunse e lo nominò arciprete di Vercelli. La sua fama continuava a crescere e trovandosi una volta a Milano, incontrò due monaci che, avvertiti dei meriti del nostro Beato, si prostrarono davanti a lui. Egli, benché confuso di quell'atto, ammirò l'umiltà di quei monaci e si lasciò persuadere a visitare il loro monastero, dove rimase sempre edificato dell'esattissima osservanza che si praticava tra quei romiti di S. Gerolamo. Ma le lettere del vescovo gli comandavano di far ritorno a Vercelli. Tornando fu accompagnato da un famoso architetto affine di fabbricare un monastero ai Gerolamiti, a Biella. Il rettore della chiesa parrocchiale di Chiavazza gli offrì la propria chiesa, e lo pregò di fondare colà il convento, e così appunto si fece. Egli visse in quell'instituto alcuni anni, recandosi a volte a Vercelli, a soddisfare il debito della sua arcipretura. In Chiavazza non godeva di quella pace ch'egli desiderava. Chiese ai monaci di cercare un luogo più solitario per fabbricarvi un altro monastero; fu scelta la sommità d'un monte nella parte settentrionale di Biella. Luogo ripieno di aspre rupi e di folti sterpi, incolto e sprovveduto di tutto; ma soprattutto infame, perché ivi si giustiziavano i malfattori. Giovani Gromis non cambiò idea, allora venne un'inattesa moltitudine di volontari e gettato a terra il patibolo, raccolte le ossa disperse, incominciarono a purgare quel luogo e a formare una strada che conducesse alla sommità del monte. Quando sorse la difficoltà di realizzare un pozzo d'acqua, che non si trovava, Giovanni fece fare una buca e ordinò che si ergessero le fondamenta del pozzo. Non c'era apparente motivo che una buca dovesse riempirsi d'acqua ma nel mattino seguente quella che era una buca era diventata un pozzo dalle cui rupi sorga tant'acqua, la quale continuamente provvide gli operai del necessario rinfrescamento. In cinque anni fu terminata una la chiesa col monastero attiguo.
A sessant'anni il Beato Giovanni si dispose alla morte: si mise in viaggio per Vercelli, a dorso di una mula. Lungo il viaggio pregò sempre e giunto presso la città chiese di essere posto a terra, e spirò. Era il 3 novembre 1520. Con solennità furono celebrate le esequie in cattedrale. Si cominciò a parlare delle sue virtù. Dagli ecclesiastici di Biella fu sempre detto “beato”, modello sacerdotale di carità, amante della preghiera, quando poté in forma contemplativa. Si ottennero per sua intercessione grazie e miracoli. Ma non è mai stato istituito il processo ufficiale di beatificazione.

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- e-book: Descrizione storica degli ordini religiosi, 1845 (pag. 384)
B Agostino de Fangi (o de Fangis, o de Fango), nacque a Biella agli inizi del XV Sec., entrò giovanissimo nel convento domenicano della città, di cui diventerà anche priore. Proveniente da nobile famiglia, legata ai Savoia, ebbe una salute cagionevole, accentuata da mortificazioni corporali. Abile predicatore e confessore. Persona dotta, fu già famoso in vita per prodigi e miracoli. La fama di miracoli da lui compiuti gli procurò una pubblicità a lui sgradita: si ritirò ormai anziano nel convento veneziano di S. Domenico, dove morì il 22 luglio 1493. Fu beatificato da Pio IX il 5 settembre 1872 e le sue spoglie riposano nella parrocchia di San Giacomo a Biella-Piazzo.

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- E-book: Il Beato Agostino De Fangi, 1874
Adriano Barzetto nacque a Buronzo nella prima metà del sec. XV. Entrò giovanissimo nella Congregazione Agostiniana di Lombardia. Ricoprì la carica di priore in vari conventi: in quello di Avigliana, che egli stesso avrebbe fondato; in quello di Santa Maria della Misericordia extra muros di Vercelli (1487); infine in quello di San Pietro di Biella (1488). Si distinse per austerità di vita e dono di miracoli. Si ignora l’anno della morte.


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Beato Giacobino da Ayloche (o Giacomino da Crevacuore o Giacobino de' Canepacci) nacque nel 1438. Si fece carmelitano restando tutta la vita semplice fratello laico, impegnato negli uffici di questuante e di portinaio. Condusse una vita austera e semplice, oscura al mondo ma preziosa agli occhi di Dio; che lo privilegiò del dono dei miracoli. Le sue parole semplici ma condite della sapienza del Vangelo confondevano talvolta la mondana sapienza, ed operavano moltissime conversioni. Era perfetta la sua ubbidienza, bastava sapere, che qualche cosa fosse di genio ai suoi Superiori, che andavagli incontro, per eseguirla. Molto più poi, quando gli veniva ordinato. Nel qual caso con tutta umiltà, prontezza ed allegrezza lo adempiva senza chiedere il perché. Di profondissima umiltà, accettava con rassegnazione le calunnie che gli erano fatte. Attendeva a tutti gli uffizi più umili del monastero, mansuetissimo co' suoi maldicenti, lontano da ogni sdegno, mostrando sempre una faccia gioviale. P. Francesco Voersio, Prefetto Carmelitano nella provincia di Lombardia, scrive nel 1619 che il B. Giacobino era di vita esemplare, per questo ebbe la grazia di far miracoli, ne fece alcuni, e così operando morì santamente a Vercelli nel 1508. Papa Gregorio XVI ne approvò il culto ab immemorabili il 5 marzo 1845.

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- E-book: Vita del Beato Giacobino di Ayloche, 1846
Il Beato Giorgio Meschiatis nacque verso il principio del secolo XV da antica e nobile famiglia di Biella. Fu domenicano e ricoprì la carica di priore in vari conventi. Fu anche inquisitore e vicario generale della provincia lombarda. Il celebre Fra Gerolamo Savonarola ricevette da esso il santo abito. Giorgio Meschiatis viene enumerato fra i Beati Domenicani ricordandolo come uomo fornito di copiosa dottrina, e di finissimo giudizio. Morì a Biella, santamente, nell'anno 1480.

- E-book: Il Beato Agostino De Fangi, 1874 (pag. XXVIII)
San Secondo è un martire la cui morte avvenne nell’antica Vittimulo (oggi frazione San Secondo di Salussola) in un anno compreso tra il 286 e il 306. Dai testi della Chiesa Vercellese emerge conferma della sue venerazione in epoche antichissime, tra i Santi locali, che prima dell'anno mille ebbero un posto particolare con feste proprie: Sant'Eusebio, San Teonesto, Sant'Emiliano e San Secondo di Vittimulo, a cui più tardi si aggiunsero anche sant'Evasio e san Bononio.
San Secondo nacque in Egitto e fu luogotenente della Legione Tebea inviata dall'imperatore Diocleziano per combattere alcune popolazioni della Gallia. Fu martirizzato per essersi professato cristiano e minacciato di morte rifiutò di abiurare. La piccola comunità cristiana del paese lo seppellì e la tomba divenne luogo segreto di preghiera. La più antica pieve del basso Biellese fu eretta in suo onore, sul luogo del martirio, da Sant'Eusebio, vescovo di Vercelli. Se ne conserva una lapide del V – VI secolo, al Museo Civico di Biella. Le reliquie di San Secondo lasciarono Vittimulo nel IX secolo, a causa della distruzione del paese.

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Pier Giorgio Frassati nasce il 6 Aprile 1901, a Torino, ma passerà lunghi periodi della sua vita a Pollone nella villa materna. Suo padre Alfredo, aveva fondato il quotidiano “La Stampa” di cui era proprietario e direttore. L’Eucarestia e la Vergine Maria, venerata da lui particolarmente nel Santuario di Oropa e alla Consolata di Torino, sono i due poli della sua devozione. Entra nel 1922 nel terz’ordine domenicano col nome di Frà Girolamo. L’alpinismo era una sua grande passione: "...ogni giorno m'innamoro sempre più delle montagne e vorrei, se i miei studi me lo permettessero, passare intere giornate a contemplare in quell'aria pura la grandezza del Creatore..." (Pollone, 6 agosto 1923). Due mesi prima della laurea, la sua vita viene stroncata da una poliomelite fulminante. Muore a Torino il 4 luglio 1925. Ai suoi funerali presero parte amici, personalità, e tantissimi poveri che al tempo erano stati aiutati dal rimpianto estinto. Davanti al popolo così numeroso, che accorse a dare l'ultimo saluto al figlio, per la prima volta i suoi familiari capirono, vedendolo tanto amato, come aveva vissuto Pier Giorgio. Il padre, con amarezza, asserì: «Io non conosco mio figlio!».
La salma viene tumulata nella tomba di famiglia nel cimitero di Pollone. Su questa tomba nel 1989, Giovanni Paolo II si reca a pregare per “rendere omaggio ad un giovane che ha saputo testimoniare Cristo con singolare efficacia”. Il 20 maggio 1990, in Piazza San Pietro, il Papa beatifica “l’uomo delle otto beatitudini”. Le spoglie mortali vengono trasferite al Duomo di Torino.

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Oreste Fontanella nacque a Strona nel 1883, fu rettore del seminario di Biella e morì nel 1935 in fama di santità. La sua causa di canonizzazione, introdotta il 12 luglio 1982, ha portato al riconoscimento del titolo di “venerabile” da parte del papa Giovanni Paolo II il 21 dicembre 1991. Il Venerabile don Oreste Fontanella si definiva "debitore di tutti" e diceva: "La gloria a Dio, il piacere agli altri, il sacrificio a me". Fu un direttore capace di proporre le più esigenti mete del Vangelo. Uomo più portato all'azione che allo studio, mite e forte. Si deve principalmente a lui se, nel 1919, il seminario di Biella, già trasformato in ospedale militare e ridotto in cattive condizioni, sia nello spirito che nella disciplina, si risollevò. In un'altra grave prova il seminario fu coinvolto nel fallimento del Credito Biellese (1927). L'economia del seminario venne allora gestita con metodi rigidamente economici, che rischiarono di soffocare la possibilità di creare quell'ambiente caldo e familiare che è indispensabile perché un ragazzo cresca; allora ciò che l'istituzione-seminario non poteva dare, lo diede don Fontanella, giorno e notte, pagando di tasca propria e di persona.
Negli ultimi istanti di vita, don Viotto gli si avvicina e gli dice: «Grazie: grazie di tutto». «Che motivo c'è di ringraziare?». Furono le sue ultime parole.

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Don Antonio Ferraris nacque a Ronco il 26 novembre 1906. Entrò in Seminario e divenne il discepolo di don Oreste Fontanella. Negli anni della Resistenza si prodigò instancabilmente nell'opera di mediazione tra i comandi partigiani e i comandi nazifascisti per gli scambi dei prigionieri. Incurante del rischio, stimolato solo dal dovere, che compiva con grande abnegazione, riuscì a salvare molte vite. Da questa esperienza scaturisce il volume, pubblicato sotto pseudonimo: ”Sacerdoti biellesi nella bufera”. E’ uno degli animatori della Peregrinatio Mariae del 1949. Nel 1953 è nominato direttore dell’Ospizio di Carità. Sono gli anni dell’immigrazione veneta e poi di quella del sud Italia: don Ferraris diventa l’anima di uno stile di accoglienza e di aiuto alle popolazioni provate da alluvioni e alla ricerca di un nuovo futuro. Il 25 aprile 1973 Mons. Ferraris ricevette dal sindaco di Biella la medaglia d'oro per la sua opera durante la Resistenza nel biellese. Muore il 3 giugno 1985.

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Guido Acquadro nasce il 30 dicembre 1912, a San Giuseppe di Casto. A scuola testimonia Gesù, si affida alla Madonna e comincia a recarsi a pregarla intensamente al vicino Santuario di Oropa. Un giorno, scrivendo a un amico gli dirà: “Ad Oropa ho pregato per te e ho pensato di portarti un piccolo Rosario. È il regalo migliore che io sappia fare a un amico caro". Nel novembre 1926 incontra don Augusto Viotto, andato a predicare a Prolungo, che gli apre gli orizzonti nuovi di impegno e di santità nel mondo. La sua biografia riporta stupendi brani delle sue lettere che da vita a un meraviglioso apostolato epistolare. “Quando in fabbrica si tengono cattivi discorsi (era il suo ambiente di lavoro), mi metto a canterellare qualche lode in onore della Madonna. Penso e prego il Signore e divento così assorto che non sento nulla di quanto avviene attorno a me. Senza accorgermene, lavoro più in fretta e meglio”.
“Sii sempre allegro e non lasciarti turbare quella gioia che rende così bella la vita”. Ma il 18 aprile 1933, si mette a letto, sicuro di non alzarsi più, anche se ha compiuto 20 anni solo da pochi mesi. Le cure del tempo sono scarse. È il cuore a essere intaccato e non ci sono molte speranze di guarigione.

La sua è la storia di un autentico figlio del popolo, di un giovane e modesto lavoratore di fabbrica. Le poche lettere scritte dal giovine tessitore biellese, appena elementari, sono di nobile eroismo di virtù semplici e quotidiane, alimentate dallo spirito di fede. Quelli che meglio si rendono conto delle condizioni in cui nacque e crebbe il giovine Guido, ammireranno in lui l'opera della grazia, e la efficacia insieme dell’apostolato giovanile, simile anche in ciò al suo «fratello maggiore», Giorgio Frassati, vissuto nella medesima terra biellese.

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- e-book: La Civiltà cattolica, 1937 (pag. 456)
Maria Bonino nacque a Biella il 9 dicembre 1953. Era medico pediatra e la svolta professionale, anzi vocazionale, è avvenuta appena dopo la laurea quando, insieme a un gruppo di scout, trascorse un periodo in alcune missioni del Kenia. Da allora lavorò sempre alternando l’Italia a qualche paese africano (Kenia, Tanzania, Burkina Faso, Uganda, Angola).
Fin dall’ottobre 2004, in Angola, aveva denunciato la comparsa di morti sospette per febbre emorragica ma non aveva mai ricevuto la risposta relativa agli accertamenti eseguiti e inviati ai tecnici del Ministero della Sanità nella capitale Luanda. La dottoressa non ebbe sostegno dalle autorità locali fino alla morte di un’infermiera, la prima di una lunga lista che avrebbe coinvolto anche lei. Maria amava il suo lavoro, ma amava tanto anche la vita: quando poteva viaggiava, andava in montagna, andava a sciare e nel baule che portava in Africa c’era sempre spazio per raccolte musicali e libri di ogni genere. Chi lavorò al suo fianco racconta di come si prodigava per ore con un approccio sempre calmo e generoso. Tutti ricordano quante notti insonni abbia trascorso a vegliare bambini non suoi. Morì vittima dello stesso virus che aveva denunciato e combattuto il 24 marzo 2005.

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Padre Giuseppe Greggio nacque a Miagliano il 29 settembre 1886. Ultimo di numerosi fratelli, uno dei quali anch’egli Gesuita, avvertì fin da bambino il richiamo alla vita di missionario. Nel 1905, egli entrò nella Scuola Apostolica del Principato di Monaco dove seguì gli studi ginnasiali e liceali. Ancor prima dell’ordinazione sacerdotale, nel 1910, frequentò a Bruxelles un corso di specializzazione presso l’Ecole de Médicine Tropicale e il 15 gennaio 1911 partì per il Congo. Si dedicò allo studio della malattia del sonno, flagello endemico nelle plaghe dell’Africa tra il fiume Congo e l’altipiano dell’Angola. Ne ricavò una competenza scientifica riuscendo, quando il morbo non era troppo avanzato, a salvare molte vite umane. Nei suoi viaggi in Europa era solito portare con se, in un tubetto di vetro, qualche campione della mosca tse-tse responsabile della veicolazione della malattia. L’attività di missionario continuò instancabile, ma lo vide costretto a lottare contro la cecità che incombeva. I lebbrosi di Mosango diventarono l’oggetto privilegiato delle sue cure. Il 23 novembre 1970 ricevette la massima onorificenza congolese: l’Ordine Nazionale del Leopardo. Quando partì per il suo ultimo viaggio, che non aveva ritorno, volle essere sepolto vicino ai lebbrosi, là dove li aveva assistiti e amati, sotto all’albero preferito dove era solito sostare in vita. Era il 29 giugno 1974.
Una targa in bronzo sintetizza così la figura e la personalità di Padre Giuseppe Greggio: “Apostolo di fede, realizzatore di chiese, ospedali, lebbrosari, scuole; letterato, insigne studioso nel campo medico-scientifico che donò al Congo sessantatré anni dalle sua vita”.

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- e-book: La Civiltà cattolica, 1973 (pag. 226)
Caterina Vercellone nacque il 12 novembre 1610, dodicesima di quattordici figli, a Biella Piazzo, in un edificio ancora oggi esistente in via Avogadro 7. Il palazzo che nel secolo successivo ospitò più volte il soggiorno dell’illustre scienziato Amedeo Avogadro che di Caterina era pronipote. Da bambina rimase colpita dalle predicazioni che i Cappuccini tennero in città per l'incoronazione della Madonna d'Oropa. Ma già a sette anni iniziarono a manifestarsi quelle visioni che in seguito le avrebbero procurato la fama di mistica. A diciassette anni decise di entrare nell'ordine delle discepole di S. Chiara. Nel 1641, a soli trent'anni, divenne madre badessa. La sua fama uscirà dalle mura del monastero e si parlò della cappuccina capace di entrare in contatto con le forze celesti. Si era diffusa la voce di premonizioni avveratesi e di miracolose guarigioni. Nel 1654 i superiori la invitarono a scrivere un memoriale che raccogliesse le sue esperienze soprannaturali. Nel 1659 madre Amedea fu chiamata a dirigere un nuovo monastero a Mondovì; qui si spense il 12 aprile 1670, dopo una lunga infermità. Il suo corpo, incorrotto, è conservato nel monastero di Borgo Po, a Torino.
Il suo manoscritto è stato ritrovato nel 1999 presso una libreria antiquaria e pubblicato nel 2007 col titolo "Nulla temo nell'obbedienza" dalle Edizioni San Clemente.

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Sant'Ignazio nasce come Lorenzo Maurizio Belvisotti, a Santhià nel 1686. Nel 1716 entra nei Cappuccini di Chieri prendendo il nome di Ignazio dal tanto ammirato S. Ignazio di Lojola. La sua missione è caratterizzata da prodigi per via dei quali il popolo torinese lo ribattezza «il Santo del Monte». Ignazio visita in casa i malati e circolano anche le sue battute gioiose come quando alcuni accaniti giocatori del lotto gli domandano quale sia il segreto per vincere, egli risponde: “Andare a lavorare”. Padre Ignazio fu, probabilmente, uno dei "Santi" più amati dal popolo sebbene sia oggi una figura poco conosciuta. Eppure alla sua morte, avvenuta a Torino nel 1770, la folla accorsa a rendergli omaggio blocca il Monte dei Cappuccini tanto da spingere le autorità religiose a celebrare i funerali all’alba, per tutelarne le spoglie già oggetto di culto. La fama della sua santità e i numerosi prodigi attribuiti alla sua intercessione fecero presto avviare il processo di canonizzazione. Papa Leone XII il 19 marzo 1827, emana il decreto sulla "Eroicità delle virtù del venerabile Ignazio da Santhià". Paolo VI ne decreta la beatificazione nel 1966. Giovanni Paolo II ne ha proclamato la santità il 19 maggio 2002.

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Pier Giuseppe Berizzi nacque a Occhieppo Superiore il 13 dicembre 1824. A 13 anni si trasferì con la madre ed il fratello a Torino, dove si avviò allo studio diventando sacerdote e teologo. Dal 1852 al 1866 fu rettore del Collegio Artigianelli, potenziandone i laboratori e fondando la tipografia. Nel 1866 Berizzi fu richiamato nella sua diocesi, perché era stato nominato arciprete della cattedrale di Biella. Supplicò il suo collaboratore San Leonardo Murialdo di assumere la direzione del collegio. San Leonardo ne fu sorpreso e anche spaventato. Conosceva gli Artigianelli perché fin dal 1855 vi si recava ogni sabato a confessare i ragazzi. Ma ora si trattava di una svolta radicale nel suo modo di vivere e nelle sue occupazioni. Era anche l’accettazione di una responsabilità assai pesante: quella di un istituto gravato da ingenti debiti e senza entrate sicure, dato che quasi tutti i ragazzi vi erano ospitati gratuitamente. Si poteva contare quasi soltanto sulle offerte dei benefattori...
Pier Giuseppe Berizzi morì a Biella il 23 settembre 1873.

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Alberto Maria De Agostini nacque a Pollone il 2 novembre 1883 (il fratello Giovanni fondò l'Istituto Geografico De Agostini di Novara). Entrato in seminario giovanissimo nel 1909 venne ordinato sacerdote salesiano. Scelse di diventare missionario nelle zone meridionali dell'Argentina e del Cile. Padre De Agostini si impegnò nell’attività missionaria, dedicandosi nel (poco) tempo libero, all’esplorazione. Uomo dalla cultura vastissima, poeta e musicista oltre che uomo di fede, De Agostini si improvvisò di volta in volta etno-antropologo, geologo, botanico o fotografo, e cominciò a documentare le proprie avventure nella Terra del Fuoco.
Gli ultimi anni li trascorrerà a Valdocco, alla Casa Capitolare dei Salesiani, dove confesserà fino a pochi giorni dalla morte avvenuta il 25 dicembre del 1960.
La sua lunga attività gli valse numerosi riconoscimenti, soprattutto in America latina. Il governo argentino ha consacrato al suo nome tutta la distesa delle Ande che si snoda lungo il confine cileno tra il 420 e il 521 parallelo; i Cileni gli hanno dedicato un enorme fiordo. Una vasta regione della Terra del Fuoco, ai confini con l'Argentina, è stata denominata Parco nazionale A. De Agostini.

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Testo tratto da un articolo di don Oscar Lacchio apparso su Rivista Biellese nel settembre 1950.

[…] Se il loro ricordo fosse affidato alla cronaca o alla stampa di pagine moderne invece che ai codici e ai documenti ingialliti negli Archivi, ci sarebbe forse anche più facile accontentare l'istinto patrio e gustare, solo per noi, la descrizione quasi di una santità biellese come se l'aria dei nostri monti e il sole della nostra terra avessero a rendere i nostri Santi inconfondibili con qualsiasi altro Santo dando anche alla loro santità la fisionomia del nostro stesso ambiente.

[…] S. Emiliano, illustre Vescovo di Vercelli dal 489 al 520, nato verso il 420 forse a Cerrione e probabilmente da una famiglia da cui derivarono poi gli Avogadro, saprebbe descriverci tanta storia delle nostre origini. Era ancor giovane quando lasciò il suo illustre e ricco casato per ritirarsi nelle folte foreste che allora prendevano d'assalto la conca e i monti d'Oropa. Lassù qualche tempo prima l'aveva preceduto S. Eusebio e la Madonna d'Oropa già aveva aperto il suo poema di maternità celeste sulla nostra terra. Tra quei monti S. Emiliano … esercitò il suo spirito nella pratica di un ascetismo cristiano eroico, finché clero e popolo alla morte di S. Lanfranco lo elessero, a sua insaputa, Vescovo di Vercelli.

[…] dobbiamo risalire a passi svelti fino al secolo x per trovare qualche spiraglio di chiarore d'alba diffuso su quei tempi antichi. È un codice eusebiano XXIV (196) - XLVII (101) che contiene tra l'altro una vita del B. Pietro Levita, un santo illustre per santità e per nobiltà, nato probabilmente a Salussola verso il 540 ... Della sua vita ed attività ne parlano molti storici e il suo elogio più competente e più bello lo stese S. Gregorio Magno, di cui fu intimo amico fin dall'infanzia … È l'unico Santo biellese di cui si conservi il corpo nella sua patria e Salussola in ogni tempo, come oggi ancora, coltiva nel culto e nella venerazione il vanto per questa preziosa eredità.

[…] la Chiesa scrisse, a vanto della nostra terra, nei suoi albi ufficiali di santità, altri nomi gloriosi: oltre a S. Emiliano e a S. Pietro Levita anche il B. Giovanni Garbella e il B. Agostino de Fangi.
Ricordando il B. Giovanni da Mosso … vorremmo poter dire che il nome di questo Beato con quello di Giovanni Gersen da Cavaglià sono per noi Biellesi un po' come quelli di S. Tommaso e di S. Francesco d'Assisi per l'Italia. Per noi non c'è più dubbio ormai che l'imitazione di Cristo sia nata dal cuore di Gersen e nella serena ascetica di quel libro che sarà compagno di vita per tutte le anime credenti di ogni tempo, possiamo ben respirare anche un po' la freschezza di una nostra spiritualità antica e sempre nuova. Quando poi Giovanni Garbella saliva le cattedre illustri di Parigi e di Vercelli, collega prima e superiore poi di S. Tommaso, oppure quando percorreva le strade d'Europa sotto la divisa di VI generale dell'ordine dei Domenicani era un nome biellese che compariva con le grandi firme del secolo.

Anche i nostri Santi furono Santi da miracoli, e non solo la loro bara fu preziosa del dono taumaturgo di guarire ammalati, di risolvere situazioni impossibili umanamente o di attuare prodigi di vario genere, ma la loro stessa vita terrena fu come il benefico passaggio di una benedizione. Così, era ancor vivo forse il B. Giovanni da Biella santo Vescovo di Colofone in Asia Minore quando un altro biellese, il B. Borgognono, nelle foreste dell'Africa compiva prodigi dì zelo e opere meravigliose come fu quella della risurrezione del Re di Fessa morto già da quindici giorni e richiamato in vita dalla sua preghiera.
Su questo rilievo, accanto a lui, dobbiamo subito ricordare uno dei nostri più grandi, il B. Agostino de Fangi che pure è celebrato per la risurrezione di un fanciullo morto in Soncino senza battesimo, come illustra il grande quadro di L. Ciardi nella Chiesa di S. Giacomo al Piazzo. Ma più che di questo miracolo di lui bisognerebbe descriverne la vita e cantarne la Santità perché il suo ricordo ci giunge meno confuso dal tempo e ben corredato da notizie bibliografiche...

[…] altri nomi onoravano la nostra terra … sopra tutti emerge una figura di primaria importanza, Giovanni Gromis, alla cui opera ancora sono legati molti nomi contemporanei della nostra patria biellese e il cui ricordo ci giunge dettagliato nella storia quasi come una cronaca. Era nato a Biella da famiglia patrizia nel 1457 … Il Vescovo di Torino, il Vescovo di Vercelli, Filiberto di Savoia, i duchi Carlo I e Carlo II, tutti si rivolgono a lui per affidargli importanti incarichi ... Essendo stato ospite in un convento di Gerolimiti, si era invaghito della vita quieta di quei frati venerandi e aveva deciso di fondarne una casa da noi. Ritornato a Biella con due religiosi ... fondò il nuovo monastero grandioso e bello che perdurò come convento fino alla fine del sec. XVIII, quando furono soppressi i Gerolimiti e che ora dopo varie vicende costituisce il parco di S. Gerolamo di proprietà della Famiglia Sella.
[…]
 


pagina realizzata il 7 luglio 2020


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