Ysengarda
L’erba alta rallentava i passi del suo cavallo mentre velocemente percorreva la distesa calda ed umida che si stendeva pigra fino al burrone. L’aria tiepida gentilmente gli sfiorava il viso. Là in fondo, finalmente avrebbe ritrovato il suo villaggio… La brughiera evaporava nella calura dell’estate, solo alcuni alberi immobili gli indicavano il cammino. Nel cielo velato da umide nuvole due corvi danzavano un antico rito. La dolce agilità del volo e la luce soffusa non bastavano ad attenuare il senso di un oscuro presagio che dimorava laggiù, nel più remoto angolo della sua anima. Ogni volta ridestava un profondo dolore, come una sottile lama che vibrando doleva, se richiamato alla memoria… La Baraggia di fronte a lui era ancora calda, assolata, deserta. Era la sua brughiera, ne conosceva gli anfratti, le radure, tutti i segreti respiri. Ne amava i rumori, i giochi del vento tra i rami dei rari alberi, i rovi fitti e confusi che sembrava custodissero antichi segreti; aveva caro il sole di quella terra, quel sole che sfumava l’aria di giallo. Sapeva intuire la gioia semplice e vera delle anime pure dei boschi nell’alternarsi dei giorni e delle stagioni, intuiva l’innocenza dei loro sentimenti… Sapeva ascoltare i pensieri appena sussurrati e subito abbandonati con fiducia allo scorrere della brezza leggera… Era Ysengarda il suo villaggio. Nella memoria ancora i rumori delle minuscole vie, ancora lo stridore delle ruote dei carri sui ciottoli levigati dal tempo. Colori, suoni, sensazioni… La torre quadrata nella piazza del mercato, i lamenti degli animali, le donne intente alle quotidiane faccende, i canti, i fumi della fucina del fabbro… Così la ricordava e così
la rimpiangeva, in un’alternanza di tenerezza, nostalgia e dolcezza. E, ancora, il suo torrente che scorreva lento e sembrava fermarsi ad osservare la pace del borgo…pareva inventare curve ed anse per potersi attardare un po’ di più. Sulle sue rive i canneti frusciavano leggeri agitando i pennacchi come stendardi sbiaditi; i bambini giocavano e rallegravano con grida stridule il suo corso, con i piedi scalzi, fra spruzzi e zanzare, ad infondere nuova vitalità alle acque fresche della sua infanzia… Avanzava veloce mentre sulla terra giallastra, fra i segni dei carri e del tempo, si aprivano antiche ferite riarse dal caldo ed il tramonto tingeva di capricciose striature l’orizzonte. Lontano da Ysengarda troppe volte l’aveva assalito l’assurda paura di perdere i suoi ricordi e, con loro, anche un po’ di se stesso. All’infinito aveva ripercorso le strade del suo villaggio e delle sue memorie…Ancora uno sguardo al cielo ed il volo circolare dei corvi come un nuovo brivido, quasi un soffio di gelido vento sul cuore… Ysengarda non poteva essere ancora tanto lontana… Aveva rubato frammenti di notizie, poche e non rassicuranti: il suo borgo in lotta con uomini di una diversa fazione, vestiti con abiti di un altro colore, racconti d’armi e stridore di battaglie, urla delle sue genti, dolore e sangue… Le ultime curve del torrente e poi la torre. Finalmente. Ma lo sguardo sembrava tradirlo: l’orizzonte era vuoto… solo il nulla, l’assurdo ed incomprensibile vuoto, identico a quello della sua anima in quel momento. Nulla. Ysengarda non esisteva più. Solo erba, silenzio e vuoto sconfinato…
Nuvola Bianca