L’Impastatore
La storia dell’Impastatore mi venne raccontata durante un viaggio in treno da una simpatica signora sui settant’anni, la quale, dopo avermi osservato per parecchio tempo, si accostò al mio volto e, con un’espressione furbetta, mi sussurrò: “Lei ha origini antiche, sa? Io e lei ci siamo già conosciute in epoca medioevale, e certo allora non era facile per noi…scampare al rogo…”.
La guardai bene, mentre, sorridendo, ritornava al proprio posto, e, credo, fu proprio in quel momento che capii perché il suo viso mi era familiare, come pure il suo modo di camminare zoppicando leggermente.
Fu così che decisi di alzarmi e mi sedetti accanto a lei, che nel frattempo aveva tirato fuori dalla propria borsa una serie di oggetti:una conchiglia striata di blu, un uccellino di terracotta, una castagna, una piuma rossa e dei bottoni madreperlati.
“Avanti, scegli un oggetto!” mi disse, sempre sorridendo.
Io li guardai bene, poi presi la piuma rossa.
La signora annuì, come se già sapesse su quale oggetto sarebbe caduta la mia mano.
“Ora dimmi, perché proprio quello?” mi chiese.
“Perché mi piace l’idea di un uccello dalle piume rosse che si innalza in un cielo infuocato al tramonto…” risposi pensierosa.
“E poi?” incalzò lei.
“Perché, in un certo senso, credo che questa piuma mi sia già appartenuta…” continuai, guardandola negli occhi lucenti.
Ella, a queste parole, parve illuminarsi e mi abbracciò con fervore, carezzandomi i capelli.
“Bene, creatura dei boschi, bentornata a casa! Non sai da quanto tempo ti stavo cercando, ormai temevo che non sarei riuscita ad incontrarti in questa vita!” esclamò la donna.
Io, un po’ confusa, le chiesi di spiegarsi meglio.
“Dunque, devi sapere che un tempo ormai lontano, noi donne di magia eravamo tenute in grande considerazione da tutti coloro i quali giungevano da noi chiedendo un consiglio, un rimedio per il mal d’amore o contro la sfortuna e la malattia, eravamo temute e stimate, poiché dotate di poteri che si tramandavano di madre in figlia, poteri che passavano tramite il sangue e il latte, apportatori di vita e longevità. Il nostro potere aveva avuto origine ai tempi in cui gli uomini veneravano la Grande Madre, temibile e feconda, capace di donare la vita come di riprendersela, un tempo in cui tutto era ciclico, in cui la vita era cadenzata da un naturale ripetersi di nascita, vita e morte.
La donna era venerata in quanto manifestazione vivente della Dea, e c’era una gran unione e complicità fra tutte noi donne di magia, chi più chi meno consapevole del proprio potere.
Ma cosa avvenne col passare degli anni?
Giunse il culto di un Dio dalle sembianze di uomo, che soppiantò celermente il nostro, un culto fatto di leggi divine da rispettare, diffuso da voci maschili, autoritarie, che non ammettevano repliche, che condannavano i nostri riti di fertilità.
E noi, piano piano, ci siamo adattate a tale autorità, abbiamo chinato il capo e lasciato che gli uomini decidessero per noi, ci trasformassero in angeli del focolare, mogli e madri devote e silenziose.
Finché un dì, e qui entriamo nel vivo della storia, nel luogo in cui vivevamo venne a stabilirsi un giovane che presto venne soprannominato”L’Impastatore”.
Si diceva che venisse da molto lontano, e che fosse apparso una mattina nel nostro villaggio chiedendo una stanza in cui poter avviare la propria attività. Alla domanda “Che tipo di attività?”, egli rispose, quasi cantando:“Impastare, amalgamare,
Il suono della luce,
Il colore della musica,
Il tocco della bellezza,
Il tono del creato,
La vibrazione della Vita”.
Ovvero? Fu la lecita replica. Ma non vi fu una spiegazione dall’uomo, il quale, dopo aver dato il dovuto per la stanzetta, iniziò le pulizie, fischiettando.
Come puoi immaginare, questa stravagante presenza, suscitò gran curiosità nella popolazione, tutti, prima o poi, trovavano una scusa per passare davanti al negozietto lindo del giovane, cercando di capire cosa effettivamente facesse lì dentro, in cosa consistesse la sua attività.
La cosa che più colpiva, passando accanto al negozio, erano i profumi che da esso si sprigionavano.
Sentori di menta, rosmarino, lavanda e timo, vampate di vaniglia, zenzero e cannella, sussurri di viola, rosa e biancospino.
E poi le melodie, ogni volta diverse, che accompagnavano tali profumi, e i colori che sfavillavano dalle finestre sempre aperte.
Ma che cosa faceva, quell’uomo, là dentro?
Questo, cara bambina, lo scopristi tu.”
“Io?”, chiesi sgranando gli occhi. Mi ero lasciata cullare dalle parole della signora, rapita da questa storia fantastica, ma mai avrei creduto che sarei entrata a farne parte. E in che modo poi?
“Tu e la tua innata curiosità. Tu, fanciulla dal vello ambrato capace di tramutare in sorriso ogni umano dolore. Tu, donna nel cui sguardo si riflette la gioia del creato. Tu, che conosci la lingua dell’Uccello di Fuoco.
Un dì ti trovavi nella radura a raccogliere legna da ardere quando il tuo sguardo si posò su qualcosa di molto bello, colorato e leggero…”
Il mio sguardo cadde sulla piuma rossa che avevo in mano.
“Esatto. Proprio quella piuma rossa. Non l’avevi mai vista prima, e ti domandasti a quale uccello appartenesse. Ti guardasti intorno quando, fra le fronde, vedesti qualcosa muoversi veloce.
“Chi sei? Lasciati vedere, non ti farò del male…” dicesti rivolta agli alberi.
“Siedi sotto la quercia rossa e attendi, allora a te mi mostrerò” rispose una voce.
La quercia rossa era l’albero che ti aveva visto crescere, che ti aveva donato forza nei momenti difficili, un albero amico a cui svelavi i segreti del tuo cuore. Lo raggiungesti, in trepida attesa.
Poco dopo, giunse alle tue orecchie un suono trasportato dal vento, che pareva provenire dalla terra, dalle fronde, dall’universo intero. E una presenza era già al tuo fianco.
L’Impastatore, vestito solo del suo sorriso.
Guardandolo, ti colse la sensazione di averlo già visto prima, ma dove?
Lui, senza parlare, ti accarezzò le guance, annusò i tuoi capelli e poi indicò un punto al centro del tuo petto. “Lì risiede la tua forza, la tua nota divina, la fonte della tua luce. E odori di terre dorate dal sole, e di ambra. Vieni con me.” e, alzandosi, ti tese la mano.
Ti condusse nella sua stanza, si sistemò dietro a un tavolo e prese degli ingredienti da alcuni contenitori trasparenti.
“Un poco di luce, qualche granello di bellezza, un accenno di musica, toni di creato, vibrazioni di vita…e un bell’impasto!” proclamò con gli occhi scintillanti. E prese ad impastare, amalgamare, massaggiare quella massa di ingredienti sopraffini, mentre tu ti chiedevi cosa ne avrebbe fatto.
Mentre lui impastava, ti accorgesti di come tutto intorno a voi prendeva vita, e fiammate di luce intensa si sprigionavano dalla massa fatta di materia viva, e colori meravigliosi si diffondevano ovunque mentre una musica dolce si elevava al di sopra delle vostre teste, per giungere fino al cielo.
Vi era amore nel suo impastare, e le sue mani, avanti e indietro, dentro e fuori la massa che si ammorbidiva e si distendeva e poi ancora si inglobava erano mani danzanti, mani capaci di trasmettere e donare energia vitale. E, in effetti, qualcosa cominciava a prender vita sotto le sue dita, qualcosa pareva nascere da quella massa apparentemente informe!
“Vuoi sapere in cosa consiste il mio mestiere?” ti domandò piano.
Annuisti,anche se qualcosa avevi già intuito.
“Sai, tanto tempo fa, mi trovai a spiegare la stessa cosa a tua madre, la quale a quel tempo desiderava tanto avere un figlio, ma, dopo molti tentativi falliti, aveva perso le speranze e stava cadendo in una triste depressione, lasciandosi morire poco a poco. Quando la trovai, seduta sotto un albero di quercia rossa, e vidi le lacrime bruciare il suo volto consunto, decisi che l’avrei aiutata a realizzare il suo sogno di donna. Lasciai che mi prendesse, mentre le volavo accanto e ascoltai le sue parole amare, mentre mi carezzava le piume rosse. Mi disse che il colore del mio piumaggio le ricordava il sangue versato tutte le volte che aveva perso un figlio, e sperava che questo fosse un segno mandato dal cielo.
Io le dissi di tornare a casa, e che quella notte avrebbe fatto un sogno molto particolare. Poi, volai via. Una piuma, però, rimase fra le sue dita delicate.
Quella notte, tua madre sognò un uomo che, con mani esperte, dava vita ad una minuscola forma pensiero, rendendola capace di respirare, pulsare al ritmo di un piccolo cuore e perfino scalciare con vigore. E al mattino, con le lacrime agli occhi e la piuma rossa in mano, sentì che presto sarebbe diventata madre e prese a ballare e ridere con tuo padre, che, stupito da tanta gioia insperata, la prese fra le braccia e la amò, piano.
Da allora, ho un compito che mi guida: ridare la speranza al cuore di ogni donna che desideri essere madre. E vado di paese in paese, in terre mai viste prima, ovunque vi sia una piccola forma pensiero da vivificare. E non mi stanco di impastare, amalgamare, ammorbidire questa che è la materia più tenera e tenace al mondo, fatta di amore incondizionato e dolore e gioia sublime. Perché l’amore materno, solo, conosce le profondità del buio e l’accecante intensità della luce, amore che è diretta discendenza dell’Amore della Grande Dea.”
“Questo ti disse, piccola fiamma viva d’ amore. La tua storia ti raccontò, l’Impastatore.”concluse la signora, tenendomi per mano.
Non nascosi le mie lacrime nemmeno quando, al termine del viaggio, scesi e, nel ringraziare la vecchia signora di quella storia indimenticabile e preziosa, quasi inciampai nella borsa di uno dei viaggiatori che, voltandosi, mi rivolse un sorriso aperto come il cielo.
Solo dopo alcuni istanti, e con un tuffo al cuore, mi accorsi che, sulla maglietta, recava l’immagine di una fiammeggiante piuma rossa…
Barbara Pareti