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LES ANNEES FAUVES – FONDAZIONE PIERRE GIANADDA – MARTIGNY

“ LES  ANNEES  FAUVES”.  FONDAZIONE PIERRE GIANADDA.   
MARTIGNY. SUISSE. 
A CURA  DI  JACQUELINE  MUNCK  E MARIANNE  SARKARI. 
CATALOGO  A  CURA  DELLA FONDAZIONE.  
7  luglio  2023 – 21 gennaio 2024.
Orari: tutti i giorni    9 – 18.

E’  ancora una volta  Martigny,  città  della Svizzera Vallese, nel suo noto  centro propulsore dell’alta cultura:  la  straordinaria “ Fondazione Pierre Gianadda” , ad ospitare,  tra le   consuete  eccellenze  propositive, una mostra  che si distingue per l’insolita tematica affrontata: gli anni ruggenti dell’ arte Fauve.

Realizzata in collaborazione con il  “Musèe  d’Art  moderne de Paris”, la mostra  si intitola   “ LES  ANNEES  FAUVES”, ed è un curioso ed invitante percorso in quel particolare momento  che , nella storia dell’arte, ha  segnato la grande frattura tra la  precisa  ricerca tecnica di  perfezione dell’ arte accademica e il nuovo modo di concepire la dimensione estetica del gruppo degli artisti “dissidenti”.

Curata da Jacqueline Munck e Marianne Sarkari, la mostra si compone di   un centinaio di opere provenienti dal “Museo d’Arte Moderna di Parigi”, da altri Musei e collezioni private, aprendo allo sguardo (ancora stupito) del visitatore, la realtà che giustifica il comprensibile sgomento della famosa frase pronunciata nel 1905 dal critico francese Vauxcelles  al  Salon d’Automne  di Parigi ,allora assoluto Centro espositivo dell’arte accademica, il quale scoprendo  un busto di  Albert Marque tra i  dipinti dei pittori che operavano alla nuova maniera,  aveva esclamato:“Donatello  tra le belve”, i “fauves”, “belve” appunto, “selvaggi”, da cui poi è derivato il nome del movimento:  “fauvismo”.

Colori vistosi, colori puri, contorni delle immagini decisi, pesanti, tracciati senza incertezze, in modo,  a volte, quasi approssimativo, immagini immediate, forme di realismo  anche violente , senza ombre né sfumature, paesaggi tracciati direttamente con il colore.  Selvaggi.

I nomi più citati, da  quello di Matisse da  cui partono i riferimenti nel percorso espositivo  a quelli degli autori presenti in mostra: Braque, Delaunay, Dufy, Othon Friesz, Manguin, Marquet, Picasso, Jean Puy, Rouault, Egon Schiele, Signac, Valtat, Van Dongen, De Vlaminck e  altri, i cui dipinti,  in qualche caso sono anche affiancati da opere diverse, come ceramiche, disegni, incisioni, stampe,  con la presenza di alcune sculture di arte africana  a cui è legata l’ispirazione di certi autori.

Ci si interroga, a fine percorso, sul valore di questa innovazione portata nell’espressione artistica.  Una rottura irreparabile con l’arte classica davvero irraggiungibile, come dimostra il “Donatello”  evocato quale vetta di un contrasto  tra  l’immediato gesto  del “produrre un’ opera d’arte” come “forte  impulso  della vita e del sentire”  più che  come “specchio di ricerca della bellezza  nella perfezione tecnica”  in cui si sono misurate  la genialità e la grandezza della creatività umana.

E’ lecito, al visitatore, porsi,  alla fine dell’itinerario espositivo, questa domanda?   La ricca e complessa mostra della Fondazione Gianadda guarda  con vivace  interesse alle novità del  “fauvismo”  inducendo  anche il visitatore alla ricerca di ulteriori approfondimenti.

MARIATERESA  MOLINERIS