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Il Tibet come finestra sul mondo, la persecuzione di un popolo come messaggio di resistenza, la fede come cuore e radici di una storia antichissima: il blues come palestra dello spirito, modello di evocazione, una forma di sentimento per dare colore e forza alla solidarietà, un esempio di tensione emotiva per raccontare uno spicchio di realtà dei giorni nostri.
“Blues for Tibet” è un progetto che ha la dimensione e i connotati di una suite, una vibrazione lunga ventitre minuti, lungo i quali si intrecciano voci e sonorità senza confini, a richiamare una causa che lega tra loro uomini e donne di ogni latitudine, di ogni razza e religione.
E così, con un viaggio trasversale, si dipana anche la session che Maurizio Dell’Olio, Alessandro Gariazzo e i loro amici hanno organizzato per raccontare le vibrazioni della ragione, le pulsioni di una cultura ricchissima, profonda, ancorché violentata e segregata, sotto gli occhi del mondo intero.
In questa chiave va letto il riferimento al blues come musica totale in grado di abbracciare tutte le sfumature dell’animo umano, dal dolore alla speranza, dalla sconfitta più scura alla volontà di riscatto. Il blues di questa composizione è un indice, un baricentro ideale, non certo lo schema rigido e rigoroso a cui ci hanno abituato gli antichi maestri, profeti della ‘musica del diavolo’: una declinazione con cui si confrontano volentieri alcuni artisti di chiara fama, che qui convergono a sostenere una giusta causa.
“Blues for Tibet” è una sorta di lunga sinfonia, un grido disperato per richiamare l’attenzione su una tragedia che il pianeta non può ignorare: così, un contributo, piccolo ma genuino, giunga anche dall’Italia e che il blues, madre di tutte le musiche, sia il giusto battistrada, auspicio di giustizia e consonanza tra le genti della Terra.
ENZO GENTILE
critico musicale