Cabochon di agata bianca con dendriti generalmente nere si trovano negli ultimi anni con una certa frequenza sul mercato delle gemme. Si tratta di cabochon piatti, lucidati su entrambi i lati e generalmente di forma ovale, che vanno da piccoli pezzi di 1-2 cm per anello a campioni di 10-15 cm, certamente più per collezionisti che per gioielleria.
La manifattura è indiana e con una apparenza leggermente grossolana anche se la lucidatura è generalmente perfetta. Sebbene solo negli ultimi anni queste pietre abbiano cominciato ad abbondare sui mercati occidentali, la tradizione relativa al loro uso e alla loro lavorazione, data parecchi secoli. Questo articolo vuole essere la prima vera storia di queste sorprendenti gemme, una storia piena di misteri, che è stata segreto di famiglia per quasi quattro secoli. Estratte al bordo settentrionale del plateau basaltico del Deccan, queste pietre si sono formate per un affascinante insieme di coincidenze geologiche; cominciando dalla roccia madre. Quando l’India era ancora un’isola, staccatasi dalla costa orientale dell’Africa, che stava migrando verso nord, prima di entrare in collisione col continente asiatico per formare la catena alpino-himalaiana, circa 65 milioni di anni fa, venne interessata da una sconvolgente sequenza di eruzioni vulcaniche che formarono il Plateau del Deccan. Si tratta di un immenso volume di roccia, dell’ordine dei 3 milioni di km3, composto completamente di basalto, con un diametro di oltre mille km e uno spessore esposto di quasi 2 km. Per intenderci, se si trattasse di un vulcano tradizionale con un diametro come il Fujiama, questo avrebbe una altezza di 30.000 km!
Queste eruzioni devono aver sensibilmente sconvolto il clima mondiale ed è possibile che questo evento e non un meteorite sia alla base dell’estinzione dei dinosauri. In questi basalti si formarono le agate, che riempirono le grosse vescicole lasciate vuote dal magma. La maggior parte dei noduli possiede una laminazione piano-parallela, che tecnicamente viene chiamata agata di tipo Uruguay. La formazione della dendrite è un fenomeno successivo alla formazione dell’agata. Gli ossidi di manganese (nero) e di ferro (rosso, in altre parole la ruggine), che sono estremamente solubili in acqua, dendriti. Se proviamo a lasciar cadere alcune gocce di inchiostro tra due lastre di vetro e premiamo, vedremo qualcosa di simile. Le dendriti sono un fenomeno comune a molti altri minerali e a molti tipi di agate, ma quello che però rende uniche al mondo le agate indiane, è che sono le uniche che si sono formate in agate di tipo Uruguay. È infatti la laminazione piano-parallela che ha permesso a queste dendriti di essere facilmente lavorabili. Sono state estratte dendriti con rami fino a 25 cm.
LA STORIA
Agate dendritiche erano conosciute nella gioielleria europea fin dal XVIII secolo e forse da molto prima. Sembra che già ne parlasse Plinio il Vecchio nella sua Storia Naturale col nome di dendragate, dal greco dendros che significa albero. Comunque nel XVIII secolo facevano parte della gioielleria inglese con il nome di Mocha Stones. Il nome “mocha stone” deriva dal porto di Mocha (in arabo Al-Mukha), un porto dello Yemen che si affaccia sul Mar Rosso e che ebbe il suo splendore grazie al commercio del caffè fino al secolo XIX. Esattamente come il caffè che passava da questo porto proveniente dall’Africa, anche le agate presero il nome di moca. E per secoli non si seppe che le agate provenivano da molto più lontano. Le agate dendritiche erano così popolari in Inghilterra tra il ‘700 e l’800 che venne elaborata una tecnica per riprodurre dendriti sulla ceramica, detta Mochaware, cioè ceramica di Mocha, appunto dalle Mocha Stones. La tecnica, che risale al 1780, fu inventata nello Staffordshire, Inghilterra e successivamente si diffuse negli Stati Uniti. Un the di tabacco e ossido di ferro, detto Mocha Tea, viene applicato su di una ceramica previamente cosparsa da una barbottina di caolino.
La reazione tra l’acido del the e l’argilla alcalina, provoca la crescita della dendrite per un processo detto Mocha diffusion. Siamo quindi di fronte ad un grande equivoco in Europa e nel medio oriente, durato alcuni secoli, sulla vera origine di queste pietre, per mantenerne segreta la provenienza. Ma in India intanto cosa succedeva?
I cabochon di agata dendritica sono molto utilizzati nella gioielleria indiana e le viene attribuito un forte potere sui chakra, da indossare principalmente al collo (Figura4). Sono conosciute con il nome di Shazar dall’arabo sazar che significa albero. Infatti si dice che fu proprio un arabo che per primo scoprì queste pietre. È interessante notare che ancora oggi, mentre la maggior parte dei minatori è indù, la maggior parte degli artigiani lapidari è musulmana. In urdu vengono dette haqiq e in indiano sphatic, ma è ancora la parola araba ad essere maggiormente usata per definire queste pietre. In India ci sono numerose leggende che circondano la scoperta di queste pietre, che parlano di cercatori e di principi, ma pare che siano in maggioranza inventate. Si narra che l’autore del ritrovamento fosse un appassionato di scienze naturali e che volle far dono di una dendrite al principe della regione, il quale, compiaciuto ed esaltato dalla bellezza di questa rara pietra, gli regalò un grande appezzamento di terra dove iniziarono degli scavi. La prima citazione documentata può essere fatta risalire al regno del re Chhatrasal (1649-1731 durante la dinastia Chandela), che fu famoso per aver stimolato lo sviluppo delle arti. Oggi, le attività di scavo e di taglio si sviluppano indipendentemente in numerosi villaggi. Un quotidiano locale del distretto di Banda accusa il governo di cecità e chiede di stimolare lo sviluppo dell’industria delle agate e della sua esportazione che, dice, assicura un cento per cento di riuscita.
Negli anni ’90 del secolo scorso queste pietre cominciarono ad arrivare a Tucson in mano a Dinesh e Ila Zaveri, una coppia di importatori indiani di Mumbai.
Mauro Pantò, commerciante di pietre italiano, ottenne l’esclusiva e cominciò a diffonderle in Italia. Nel 2006, si presenta a Tucson Tarun Adlakha, di Nuova Dehli, che sembra interessato a specializzarsi nel commercio esclusivo delle dendriti. Da quel momento, cominciò a offrire dendriti alle maggiori fiere del settore in tutto il mondo. Se si chiede però a chiunque, da dove vengano le agate, le risposte sono sempre vaghe: c’è un villaggio A e un villaggio B, ci sono alcune famiglie, eccetera. Ancora mistero e segreti, neanche fossero diamanti.
Circolano addirittura voci su di una falsa miniera per portarci i clienti. Ad ogni modo un po’ di mistero, oltre che a proteggere un business, conferisce un tocco di fascino addizionale a queste gemme. Si racconta che alcuni cinesi abbiano provato ad ottenere la concessione di questi giacimenti, ma senza successo. E così vale per chiunque tenti di variare questo delicato equilibrio che fa sopravvivere centinaia di famiglie da secoli, abituate ad un ritmo di vita antico, lento, ma costante.
I GIACIMENTI
I giacimenti di agate si trovano nei pressi di Banda nel sud dell’Uttar Pradesh, una cittadina di circa 130.000 abitanti che si adagia sulle rive del fiume Ken, un affluente meridionale del fiume Yamuna, a pochi km dal villaggio di Khajuraho, famoso per i suoi templi con le scene del Kamasutra scolpite. Ci sono due tipi di giacimenti, nel greto del fiume Ken e nelle colline circostanti.
I giacimenti più importanti sono nei depositi alluvionali del greto del fiume.
Si tratta di depositi secondari prodotti dallo smantellamento del basalto e dalla ride posizione delle agate nel letto del fiume. Per questo sono depositi che si rigenerano ogni anno durante le potenti piene dovute al monsone. In questi depositi si trovano le agate più trasparenti con le dendriti dal disegno più fine. I giacimenti primari invece, sulle colline sovrastanti, sono impostati in un banco di basalto alterato in verde dove le agate sono generalmente opache. Mentre le agate del fiume hanno dendriti soprattutto nere e marroni, molto raramente verdi su un fondo traslucido, le agate delle colline mostrano una grande varietà di colori, nero, marrone, rosso, il rarissimo giallo o il viola su uno sfondo che può essere bianco, giallo o grigio. Ogni area possiede le sue agate caratteristiche tanto che un occhio esperto può facilmente riconoscere l’esatta provenienza di un campione. Le dendriti rosse e gialle per esempio vengono da una ristretta area e sono scavate dal fondo di un piccolo lago prosciugato.
RACCOLTA ED ESTRAZIONE
Lo scavo di agate nel letto del fiume ha luogo due volte all’anno. La prima in gennaio febbraio, quando il letto del fiume è in secca e i cetrioli e altri ortaggi a crescita rapida vengono piantati nel letto fluviale. La seconda e più importante fase di raccolta ha luogo dopo le piene del monsone tra la fine di giugno e settembre-ottobre quando le acque si ritirano, dopo aver disgregato i blocchi di roccia, lasciando allo scoperto i noduli di agata. Le agate delle colline invece si possono scavare tutto l’anno. Gli scavi si sviluppano in piccoli pozzi che raggiungono una profondità di 10-25 m. Ogni nuovo pozzo ha bisogno di una autorizzazione amministrativa e con la burocrazia e la corruzione questo può significare molto tempo. Detto così sembra facile, ma non è un gioco da bambini poiché circa un nodulo su 100 contiene dendriti e sono difficili da individuare a causa della crosta scura dei noduli (Figura 9). Poi spesso la dendrite è perpendicolare alla stratificazione e quindi inutilizzabile.
I noduli raccolti vengono quindi cerniti in base a qualunque insignificante indizio di dendrite. Si fanno piccole scheggiature per vedere dentro al nodulo e orientarlo in base alla stratificazione. Questo è ancora il miglior metodo e tuttavia non è scevro da errori e spesso una bella dendrite, viene distrutta da un incauto colpo di martello.
TAGLIO E LUCIDATURA
Si tratta di un arco munito di un contrappeso. La corda viene fatta scivolare sul nodulo a mano e vi si sparge ad ogni passaggio un pizzico di polvere abrasiva. È un lavoro estremamente lento, ma sicuro e privo di vibrazioni. Si possono impiegare giorni, ma questa è l’India! Strato dopo strato, si arriva al livello che contiene la dendrite, ma non sempre c’è il premio e a volte il nodulo risulta vuoto. Successivamente le fette vengono preformate su un lapidello. È un processo meticoloso perchè il livello che contiene la dendrite è molto sottile e la dendrite stessa non supera i pochi micron. La lucidatura infine, è spesso affidata agli artigiani più esperti. Dendriti veramente belle sono rarissime e sono spesso celebrate come la nascita di un figlio. Uno stesso nodulo può a volte dare più di una dendrite. Hanno dendriti tridimensionali che sebbene siano le più difficili da tagliare, danno alcune delle pietre più pregiate. Le prospettive per il futuro di queste pietre sembrano buone. La crescita dell’offerta di dendriti sul mercato internazionale ne sta favorendo la diffusione. Inoltre, un settore della gioielleria moderna di tendenza si sta orientando verso l’uso di pietre di grandi dimensioni, principalmente agate e quarzi, che venivano normalmente usate solo in bigiotteria o al massimo con argento. I commercianti di queste pietre grandi hanno aumentato la qualità del taglio e della lucidatura per permetterne l’uso su gioielli pregiati, in oro e spesso con diamanti. Ne vedremo quindi sicuramente delle belle!
RINGRAZIAMENTI
Un ringraziamento agli amici Ila e Dinesh Zaveri e a Tarun Adlakha.
Altre gemme con inclusioni dendritiche
Dendriti sono comuni in molte agate in diverse parti del mondo. L’agata del Montana (vedi articolo pag. 31, vol. 1- 2007 della Rivista Gemmologica Italiana), le agate Paiute e Robinson Ranch dell’Oregon, la Amethist Sage del Nevada, la Medicine Bow del Wyoming, la Balmorea del Texas, poi si trovano splendide dendriti in Madagascar, in Turchia, in Argentina. Tuttavia due giacimenti sono attualmente quelli che offrono materiale più abbondante sul mercato, il Brasile e il Kazakistan. Le agate del Brasile sono molto simili a quelle del Montana, hanno dendriti di piccole dimensioni, nere, immerse in un calcedonio traslucido lattiginoso. Le dendriti delle agate brasiliane si sviluppano su delle superfici non piane, il che complica il taglio e impedisce di fare oggetti di grandi dimensioni. Si tagliano generalmente pietre free form, cioè di forma libera, non simmetrica. La maggior parte di questo materiale viene tagliato e commercializzato da laboratori di Idar-Oberstein in Germania (nella foto un campione di 64 mm). Le agate del Kazakistan invece possono essere anche di grandi dimensioni con disegni più complessi. Oltre ai rami degli alberi, presentano muschiature e macchie che danno l’idea di paesaggi. Queste dendriti non sono bidimensionali come quelle dell’India, ma si sviluppano in tre dimensioni. Infatti queste dendriti si sono formate quando l’agata non si era ancora indurita e hanno potuto svilupparsi liberamente in tutto il nodulo. Si dice che la dendrite è singenetica, al contrario di quelle indiane che sono postgenetiche. Questo significa che da ogni nodulo di buona qualità, si possono produrre numerose fette, tutte con un disegno dendritico, molto simili tra loro anche se non ce ne saranno ovviamente mai due uguali. Nelle agate indiane invece ogni pezzo è unico. Le agate del Kazakistan sono tagliate in un laboratorio di Alma Ata, in cabochon molto sottili e di splendida fattura, avendo una convessità leggerissima, ma estremamente omogenea, e splendidamente lucidati (nella foto un cabochon di 117 mm). Molti altri minerali possono presentare dendriti: l’opale, la magnesite, la crisocolla, la malachite, la rodocrosite. Però fra tutti, ha acquistato recentemente molta importanza nel mercato delle gemme, il quarzo dendritico. Splendide dendriti nere o rosse in quarzo più o meno trasparente, vengono estratte da numerose pegmatiti nello stato brasiliano di Minas Gerais. Queste dendriti si sviluppano lungo fratture del quarzo e sono quindi postgenetiche. Possono avere dimensioni di alcune decine di cm. Vengono tagliate in Brasile generalmente in gemme sfaccettate con la doppia tavola, cioè senza padiglione.
by MAURO PANTÒ