Africa
KENIA, popolo Maasai
Attorno al 1500 gruppi di pastori maasai abbandonarono le terre vicine al lago Turkana, nel nord dell’odierno Kenia, per dirigersi verso sud. Nei due secoli successivi si insediarono in alcune regioni dell’Africa occidentale in particolar modo nella Rift Valley venendo in contatto con popoli quali i Chagga ed i Bantu.
Già da allora tutta l’economia masaai era imperneata sull’allevamento bovino ed ancor oggi le mandrie rivestono grandissima importanza tanto che un masaai privo di bestiame cessa di essere considerato tale. Anche la vita delle tribù masaai era impostata sulla transumanza del bestiame dagli alti pascoli sulle montagne attorno alla Rift Valley (che raggiungono i 2000 metri) alla pianura quando le piogge annuali hanno permesso il germoglio dell’erba.
Attualmente la consistenza numerica dei masaai è assai limitata contando circa 220.000 individui in Kenya e 150.000 in Tanzania; entrambi i gruppi sono poi suddivisi in una decina di sottogruppi detti iloshon. I gruppi locali, detti in-kutoi, hanno diritto d’uso sui pascoli e sulle sorgenti e costituiscono l’unità aggregativa più importante. Tra i maasai è d’uso che i giovani tra i 14 ed 18 banni vengano circoncisi ed iniziati all’arte della guerra. Le tradizioni sono così radicate che ancora oggi gruppi di giovani passano il confine tra Kenia e Tanzania per razziare il bestiame in quanto, a loro modo di vedere, il bestiame appartiene loro per volontà divina e quindi il furto è pienamente giustificato.
Il colonialismo europeo, oltre ad incrinare irrimediabilmente i delicati equilibri socio-politici preesistenti, ha anche portato nuove malattie ed in particolar modo l’epidemia di peste bovina del 1890 decimò le mandrie mentre la successiva epidemia di vaiolo uccise migliaia di individui. La pressione sempre più forte dei nuovi coloni fu la causa della deportazione dei masaai che si videro privati di ben 40.000 kmq di pascolo passati sotto il controllo di Germania e Gran Bretagna che in precedenza avevano dichiarato terre senza proprietario le zone abitate dai masaai.
Anche l’indipendenza di Kenia e Tanzania non portò significativi miglioramenti per i maasai anche perchè subentrò la lotta per l’utilizzo delle ultime aree naturali rimaste; il contrasto con l’istituzione di parchi nazionali che, se da un lato mirano alla salvaguardia della natura, dall’altro minano il tradizionale stile di vita dei pastori nomadi non fa che aggravare la situazione.
Sul piano politico le prime organizzazioni maasai nascono nei primi anni novanta con la Prima Conferenza dei Maasai sulla Cultura e lo Sviluppo ( nel 1991) e la fondazione del Pastoralist Network (nel 1992). Purtroppo la partecipazione del popolo maasai alle riunioni indette dall’ONU per l’elaborazione della Dichiarazione Universale dei Diritti dei Popoli Indigeni non ha dato i frutti sperati e nell’ottobre del 1996, venne denunciata l’inutilità dei lavori atti a redarre il documento.
NIGERIA, popolo Ogoni
Il popolo Ogoni, che conta circa 500.000 individui, vive nello Rivers State, uno dei 30 federati a formare la Nigeria, su una superficie pari a quella della Toscana.
Questo popolo ha, finora, seguito le traversie della Nigeria uno stato che, raggiunta l’indipenenza nel 1960, ha subito quattro colpi di stato militari tra il ’66 ed il ’79 ed è stato teatro della sanguinosa guerra civile del Biafra (dovuta alla secessione del popolo Ibo, durata tre anni causando oltre 1.000.000 di morti). Attualmente l’ex colonia britannica è popolata da circa 250 etnie ma le tre principali (Haussa, Yoruba ed Ibo) costituiscono circa i due terzi della popolazione.
La scoperta di grandi giacimenti di petrolio negli anni ’50 costituisce l’aspetto fondamentale della tragedia degli Ogoni in quanto molti giacimenti sono situati sulle loro terre. Lo sfruttamento indiscriminato delle risorse petrolifere causa mutamenti ambientali profondi devastando il territorio ridotto ormai ad un immenso acquitrino di acqua e petrolio. A tutto ciò si aggiunge il fatto che le popolazioni locali non traggono il minimo vantaggio economico dallo sfruttamento delle proprie terre.
Gli annni ’80 vedono la crescita della protesta indigena concretizzatasi nel 1990 con la nascita del Movement for the Survival of the Ogoni People (MOSOP) fondato dallo scrittore Ken Saro-Wiwa. L’azione del movimento si concentra contro le multinazionali petrolifere, in particolare la Shell, responsabili dell’ecocidio compiuto sulla terra Ogoni. Inoltre le compagnie petrolifere richiesero l’intervento dell’esercito per piegare la resistenza ogoni: in questo modo prese il via la pulizia etnica organizzata dal governo centrale nigeriano. A sostenere la causa Ogoni intervenne anche un altro noto scrittore, il premio Nobel Wole Soyinka, che, all’inizio degli anni novanta, denunciò al mondo il comportamento del governo nigeriano e delle multinazionali petrolifere.
L’azione di Saro-Wiwa prosegue nel 1992 con la stampa del libro Genocide in Nigeria: the Ogoni Tragedy e con la presentazione al governo nigeriano dell’Ogoni Bill of Rights, un documento politico in cui si chiede l’autonomia regionale ed un parziale controllo delle risorse naturale presenti sul territorio. Tutto questo inimica Saro-Wiwa ai generali nigeriani che, nella primavera del 1995 provvedono ad arrestarlo insieme ad altri otto ambientalisti. Il 10 novembre, in seguito ad un processo farsa Saro-Wiwa e gli altri arrestati vengono impiccati.
La lotta di Ken Saro-Wiwa per l’affermazione della propria identità etnica e per la libertà della propria terra e del proprio popolo si è conclusa tragicamente. Ma la battaglia degli Ogoni non si ferma ed il MOSOP può contare su proprie sedi aperte in Gran Bretagna, negli Stati uniti ed anche in Italia, a Roma, dove Komene Famaa ha ottenuto asilo politico e cerca di mobilitare l’opinione pubblica su questa tragedia dimenticata.
Tuareg
I Tuareg sono un popolo nomade di stirpe berbera che conta attualmente circa 1.500.000 individui dispersi su un vastissimo territorio (2.500.000 di kmq) frazionato tra Algeria, Burkina Faso, Libia, Mali e Niger. Questo popolo è dotato di una propria lingua (frazionata comunque in molte varietà locali) e di un proprio alfabeto detto tifnagh. Il loro vero nome è Imezir, derivante dall’arabo tawariq (senza cammino) mentre l’appellativo “uomini blu” deriva dall’indaco naturale con cui tingono le proèrie vesti.
Durante la loro storia, affrontano molti scontri con popolazioni vicine come i Peul ed i Songai e l’esito vittorioso di tali conflitti permette loro di acquisire il controllo di vasti territori nel Sahara. I primi europei a venire in contatto con i Tuareg sono i missionari ed i viaggiatori addentratisi nei loro territori solo nell’Ottocento. In seguito la pressione del colonialismo francese su tutta l’area comportò l’inevitabile scontro con le popolazioni nomadi. La fine del colonialismo, però, fu paradossalmente deleteria per i Tuareg poichè la nascita delle nuove entità nazionali creò confini molto più rigidi e governi più intransigenti. Da questo momento in avanti la situazione peggiora notevolmente e negli anni Settanta la siccità che colpisce il Sahel spinge i nomadi ad emigrare verso nord, in Libia ed Algeria. In seguito agli aiuti ricevuti in Libia alcuni Tuareg si arruolano nell’esercito libico mentre altri preferiscono unirsi alle forze del Fronte Polisario in lotta per la liberazione dell’ex Sahara Spagnolo dall’oppressione marocchina. Nel 1986, purtroppo, il governo algerino decide l’espulsione di centinaia di famiglie dal proprio territorio ed in seguito anche Mali e Niger mostreranno la propria ostilità entrando in conflitto armato con i Tuareg.
Nel 1991, però, le quattro principali organizzazioni Tuareg si uniscono a formare il Fronte Unito per la difesa dell’Azawad la regione da loro abitata ed estesa dal Mali fino alle montagne dell’Air in Niger un’area grande quanto l’intera Europa Occidentale. I duri scontri conducono comunque nel 1992 al Patto Nazionale stipulato con il governo del Mali. Ciononostante due anni dopo riprenderanno gli scontri. Ad aggravare la situazione vi sono le persistenti rivalità tra gruppi Tuareg che spesso sfociano in aperto conflitto: tutto ciò impedisce la soluzione dei problemi e non lascia intravedere un futuro migliore per le migliaia di Tuareg che ancora vivono da profughi sparsi tra molti paesi.
Asia
India, popoli Adivasi
Il termine hindi Adivasi è utilizzato per indicare tutte le popolazioniaborigene dell’India discendenti cioè da quelle popolazioni presenti nel sub-continente indiano prima dell’arrivo delle popolazioni ariane progenitrici degli attuali indiani. Le popolazioni autoctone vengono suddivise in quattro grandi gruppi in base ad un criterio linguistico; abbiamo così i gruppi dravidico, munda, mon-khmer e tibetano-birmano.
L’insieme delle tribù indigene raggruppa circa 250 tribù anche se le autorità indiane ne riconoscono soltanto 212 definite ufficialmente “tribù catalogate” e sono stanziate principalmente negli Stati Centrali ed Orientali dell’India. Il totale numerico dell’insieme è stimabile attorno ai 60.000 milioni ma alcune tribù contano solo poche migliaia di unità mentre altre raggiungono qualche milione. La società Indù ha comunque sempre disciminato queste popolazioni ma, malgrado ciò, il governo indiano ha mostrato buone intenzioni già ai tempi del Primo ministro Nehru ed ha avviato un programma per “lo sviluppo dei popoli tribali” che prevedeva lo sviluppo delle varie tribù senza che vi fosse nessuna ingerenza esterna: gli stessi operatori impegnati nei programmi di sviluppo devono appartenere alla stessa tribù con cui operano. Purtroppo molti interventi si rivelarono fallimentari ed in conseguenza a ciò prese vita lo Jharkhand, il movimento politico per la costruzione dello stato delle foreste. La nuova entità territoriale avrebbe dovuto comprendere parti di Bengala, Orissa, Madhya Pradesh ed Uttar Pradesh. Il movimento, molto attivo negli anni Quaranta e Cinquanta, iniziò un lento declino nel 1963 al momentodella sua alleanza con il Partito del Congresso. Nei decenni successivi, anche in funzione del mancato raggiungimento di molte aspettative degli indigeni, il declino prosegue anche se ancor oggi rimane l’unico movimento ad esprimere dirigenti indigeni rappresentativi ed è anche l’unico a promuovere una forte solidarietà intertribale.
In seguito altri movimenti, meno strutturati, nasceranno per promuovere la difesa e la tutela della cultura e del teritorio indigeni. Tra questi è molto attvo il movimento che si opponen alla costruzione della diga sul fiume Godavari che, se costruita, provocherebbe catastrofici danni ambientali. Il movimento Appiko, presente nel sud, si batte per la difesa delle foreste e per il loro uso razionale. Gli ultimi anni hanno comunque visto una decisa riorganizzazione di questi movimentie, nel 1993 all’IndianCouncil of Indigenous and Tribal Peoples, viene riproposto l’obiettivo della formazione di uno stato autonomo. Inoltre negli ultimi tre anni viene riposta molta attenzione all’ottenimento del riconoscimento ufficiale delle lingue tribali. Una commissione governativa, alla quale partecipano anche i parlamentari tribali, produce un rapporto in cui sono proposte autonomia amministrativa per i villaggi e l’accesso delle popolazioni indigene allo sfruttamente delle risorse locali. Il mancato recepimento del rapporto da parte dei vari stati della federazione provoca però l’imponente protesta organizzata dagli indigeni nel febbraio 1996.
Uno dei popoli Adivasi più numerosi è il popolo Bhil che conta circa 3.000.000 di individui. Questo popolo è presente negli stati di Gujarat, Maharashtra, Madhya Pradesh e Rajasthan. Un tempo i bhil vivevano di caccia, pesca e raccolta mentre attualmentesi dedicano sopratutto all’agricoltura itinerante ed all’allevamento. Questo popolo pratica una propria religione con i propri dei e parlano una lingua specifica detta bhili. Il progetto che prevede la costruzione di ben trenta dighe ha sottratto ai bhil parte delle loro terre ed il governo indiano ha provveduto all’allontanamento forzato di migliaia di famiglie. La concessione di terre da parte del governo si è rivelata fallimentare in quanto poco fertili e produttive: ciò ha innescato un circolo vizioso che partendo dall’indebitamento di molti contadini bhil continua con il fenomeno dell’usura attuata dai più ricchi indù e si chiude con la riduzione in schiavitù di molti di loro.
Siberia, i 26 Piccoli Popoli del Nord
La Siberia è unimmensa regione che si estende per quasi 12.000.000 di Kmq coincidendo, in larga parte con l’area asiatica della Federazione Russa. La popolazione totale si aggira attorno ai 25.000.000 milioni di persone e, tra questi, circa un milione e mezzo è costituito da una trentina di popoli indigeni molto differenti tra loro per lingua, cultura ed economia. Alcuni di questi popoli, come ad esempio gli Jacuti ed i Komi che sono anche i più numerosi, vivono in una propria repubblica autonoma mentre altri sono ridotti ad una consistenza numerica molto esigua.
Queste popolazioni abitano le distese siberiane da migliaia di anni e, da qui, sono partite le migrazioni che permisero il popolamento delle Americhe. La base fondamentale per l’economia tradizionale indigena era costituita dallo sfruttamento delle risorse ittiche e dall’allevamento della renna praticato nella tundra da pastori nomadi. Il contatto con le popolazioni europee, iniziati attorno alla metà del sedicesimo secolo, avvenne dapprima con i commercianti di pelle ma, nel secolo successivo, cominciò l’afflusso di immigrati russi che provocò la migrazione forzata di molti popli in altre regioni della Siberia e permise l’annessione di tutta la regione da parte dell’Impero Zarista.
Nel 1822 viene redatto il Codice di Amministrazione Indigena, studiato da Mikhail Speraski con il quale si cerca di proteggere i diritti territoriali delle popolazioni indigene; in seguito, però, la legge verrà modificata e non sarà più in grado di fermare il l’attività dei mercanti di pellicce. Anche la costruzione della linea transiberiana, favorendo l’arrivo dei coloni, contribuisce a sconvolgere gli equilibri della regione. Come successo in molte altre situazioni, anche presso i popoli indigeni siberiani si diffonde presto la piaga dell’alcoolismo che provoca effetti deleteri presso le tribù locali.
All’inizio del ‘900, prende vita un movimento regionalistico, composto in prevalenza da immigrati che promuove anche la creazione di riserve sul modello americano: il progetto però non arriverà a buon fine.
La Rivoluzione d’Ottobre e lo sviluppo della successiva politica sovietica, se ufficialmente tutelano le popolazioni indigene siberiane, in realtà peggiorano ulteriormente la vita degli indigeni, sopratutto dopo l’avvio, negli anni trenta, dello sfruttamento intensivo delle risorse naturali siberiane. Durante la Seconda Guerra Mondiale tutti gli indigeni vennero esentati dal servizio militare ma successivamente, prese il via una dura campagna di russificazione che ridusse l’insegnamento scolastico delle lingue autoctone ed addirittura, nelle zone abitate da popolazioni prive di un alfabeto, l’insegnamento venne totalmente soppresso.
Nei decenni successivi il continuo sfruttamento delle risorse naturali, l’aumento significativo della popolazione e la militarizzazione della regione mutano definitivamente l’aspetto della regione a tutto discapito delle popolazioni indigene.
Gli anni della Perestrojka portano un cambiamento politico anche per i popoli indigeni, i quali decidono di unire i propri sforzi: nel 1990 si incontrano a Mosca per gettare le basi di una strategia comune costituendo un’associazione dei piccoli popoli del nord: presidente di quest’associazione viene eletto Vladimir Sangi lo scrittore promotore dell’iniziativa. In seguito verranno stretti rapporti internazionali con organismi attivi per la difesa dei popoli indigeni. Purtroppo, i rapporti con l’amministrazione Eltsin non hanno dato risultati positivi e non sono stati fatti passi avanti verso una politica più attenta alle esigenze delle popolazioni indigene.
Tibet
Fin dal VII secolo d.C. il Tibet era un regni indipendente all’interno del quale convivevano i vari clan che erano stati riuniti dando vita ad uno stato unitario. Dopo un lungo periodo di crisi, però, nel tredicesimo secolo il sovrano mongolo Godan assegna al Dalai Lama il potere temporale su gran parte del Tibet rendendolo una sorta di vicerè. In seguito il Gran Khan Kubilai viene convertito al buddismo grazie all’opera di Phags-pa ponendo le basi storiche per le future rivendicazioni cinesi sul territorio tibetano. Con la fine della dinastia mongola il nuovo impero cinese limita il suo controllo ad una piccola parte del Tibet e per più di tre secoli il paese resta praticamente indipendente; nel frattempo si rafforza il potere temporale della Chiesa Buddhista Riformata. Con il quinto Dalai Lama, Lobsang Gyatso, si ha la nuova unificazione del paese e la conquista della totale indipendenza. La restaurazione dell’Impero da parte della dinastia Ch’ing aumenta la pressione cinese sul Tibet. Approfittando dei disordini scoppiati in Tibet per la successione al Dalai Lama, i cinesi occupano la capitale Lasa nel 1720: da questo momento il vassallaggio imposto al Tibet durerà fino all’inizio del Novecento ed i tibetani dovettero subire la continua presenza di due commissari cinesi e dei loro battaglioni di scorta. Nel 1912, però, la caduta del Celesto Impero crea le condizioni favorevoli per la riconquista dell’indipendenza che durerà fino al 1950 quando l’esercito comunista di Mao Tsedong rioccuperà il paese. Nonostante il tentativo delle autorità tibetane di rendere meno traumatica possibile l’occupazione il regime cinese applica una durissima politica di repressione culturale e fisica che avrà, ed ha tuttora, effetti devastanti.
Nel 1959, dopo un tentativo di rivolta fallito, il Dalai Lama fugge affrontando un lungo e pericoloso viaggio che lo porta, assieme a molti compagni, in India a Dharamsala, dove tuttora risiede. Nel 1965 il Tibet viene trasformato in una regione autonoma ma ciò non apporta alcun beneficio alla regione. L’avvento della Rivoluzione Culturale peggiora drammaticamente le condizioni del popolo tibetano e, tra il 1976 ed il 1986, le Guardie Rosse si scatenano in ogni crimine assassinando migliaia di monaci e di civili, bruciando templi e monasteri e dando alle fiamme antiche e preziosissime biblioteche. Ciò che viene risparmiato dalla furia delle Guardie Rosse è solo una minima parte dell’immenso patrimonio culturale tibetano. Nel frattempo l’azione diplomatica del Dalai Lama in diverse sedi, porta all’approvazione di diverse risoluzioni di condanna che però non porteranno ad un reale miglioramento delle condizioni del Tibet.
Nel 1975 la morte di Mao Tsedong e l’entrata in scena di Deng Xiaoping porta alcuni miglioramenti; la repressione viene limitata, si assiste ad una timida ripresa economica e vi è una discreta apertura del paese verso l’estero. In seguito all’apertura si moltoplicheranno le iniziative e le denunce atte a sensibilizzare l’opinione pubblica internazionale (in Italia ad esempio nasce L’Associazione Italia-Tibet). Nel 1987 la proposta fatta dal Dalai Lama per un nuovo piano di pace viene respinta dal governo tibetano. Nel settembre dello stesso anno la strage di Tienanmen e l’aumento generale della tensione in tutta la Cina comportano un aumento della repressione ed anche se l’attribuzione del premio Nobel al Dalai Lama ripropone la tragedia tibetana agli occhi dell’opinione pubblica attualmente nulla lascia sperare nuove positive prospettive per il popolo tibetano.
Europa
Scandinavia, popolo Sami (Lapponi)
Il popolo tribale più noto di tutta l’Europa è quello dei Lapponi o Samit un gruppo nomade presente in Finlandia, Svezia (10-20.000 individui), Norvegia (4-6.000 individui) e Russia (2.000 individui stanziali e cristiani ortodossi) per un totale di circa 50.000 individui presso i quali è ancora viva una lingua non indoeuropea di ceppo ugrofinnico (affine quindi al finlandese).
L’origine del popolo sami è localizzata nella regione limitrofa ai laghi Ladoga ed Onega luogo di provenenza dei loro antenati e tracce della loro presenza in quest’area sono databili attorno al 500 a.C. In seguito l’invasione di popoli provenienti dalle regioni uraliche spinse i sami ad emigrare nella regione scandinava. Fino all’XI secolo i Sami vissero pacificamente di caccia, pesca e raccolta ma, con l’inizio della colonizzazione scandinava, cominciò la parabola discendente per il nomadismo lappone; attualmente solo il 10% dei lapponi si dedica all’allevamento della renna che riveste comunque ancora un’importanza fondamentale per la cultura e l’economia sami. L’avvento delle invasioni vichinghe spinse i nomadi scandinavi verso nord.
Inizialmente la cristianizzazione di queste zone concorse alla distruzione della cultura lappone reprimendo in particolar modo la lingua locale e lo stile di vita nomade. Inoltre spietata fu la repressione dello sciamanesimo e di tutte le forme tradizionali religiose lapponi che vennero perseguitate fino alla completa distruzione di tutti gli oggetti sacri in quanto il loro utilizzo era assimilato, dai missionari, alla magia nera. Successivamente, però, proprio ai missionari si dovrà la traduzione della lingua sami all’inizio dell’800. Comunque, in Norvegia, dal 1888 fino alla seconda guerra mondiale, era proibito utilizzare la lingua sami.
Già nel secolo scorso vennero prese le prime iniziative a favore delle popolazioni lapponi come associazioni culturali o scuole itineranti ma solo è verso la metà degli anni quaranta di questo secolo, che venne istituita la Sallskapet Same-Atnam (Società Culturale Lappone) la quale provvide alla normalizzazione ortografica dei principali gruppi linguistici lapponi (se ne contano almeno sette*). La prima associazione lappone è l’Associazione norvegese degli Allevatori fondata nel 1948. Nel 1956 nasce il Consiglio Sami, mentre nel 1958 la Ruota Samiid Rii’kasaer’vi (Unione Nazionale dei Lapponi Svedesi) attiva nella difesa della minoranza e che, nel 1962, ha ottenuto il riconoscimento di uno status giuridico per la lingua lappone e alcune forme di tutela. In Finlandia, nel 1989, invece è nato il Parlamento dei Sami, il loro organo di rappresentanza, mentre la lingua viene insegnata localmente fin dal 1985. Dal 1956, è attiva la Conferenza dei Lapponi del Nord detta anche Consiglio Nordico, un organo sovranazionale che ha ottenuto l’istituzione di cattedre di lingua Samit nelle principali università scandinave e la creazione, nel 1973, dell’Istituto Lappone Nordico che ha l’obiettivo di costituire un punto di riferimento culturale, politico e giuridico per tutto il popolo Sami. Non sono da sottovalutare i problemi ecologici che la terra abitata dai Sami è costretta a subire. La costruzione di dighe quali quella sul fiume Alta in Norvegia, lo sfruttamento del petrolio in alto mare e la vicinanza di centrali nucleari (l’incidente alla centrale di Cernobyl provocò l’abbattimento di 100.000 renne) pongono alla sopravvivenza del popolo Sami in funzione anche dello legame inscindibile esistente tra la natura e la cultura lappone.
* tratto da Frammenti d’Europa di F. Toso; il volume Popoli Indigeni Popoli Minacciati ed. Comune Aperto parla invece di lingua sami divisa in 3 dialetti e 13 sotto-dialetti
Oceania
AUSTRALIA, Aborigeni
In questo nazione le popolazioni autoctone, genericamente denominate aborigene, costituiscono una minoranza che ancor oggi non riesce ad ottenere dal governo centrale un degno riconoscimento dei propri diritti naturali.
Dalla fine del XVIII secolo, quando Re Giorgio impiantò una colonia penale, il conflitto tra i popoli autoctoni ed i colonizzatori crebbe a tutto discapito degli aborigeni che vennero in larga parte sterminati. Già all’inizio del XX secolo essi vivevano rinchiusi in riserve all’interno delle quali nascono fenomeni quali alcoolismo, delinquenza, crisi d’identità culturale comuni ad altre realtà e che si protrarranno fino ai nostri giorni. Agli aborigeni non venne comunque concesso nessun riconoscimento ne tantomeno vennero stipulati trattati anche perchè il concetto di Terra Nullis (prima dell’arrivo dei britannici il paese non era di nessuno) permetteva al governo australiano di disporre a proprio piacimento del territorio. Dopo aver subito anche i danni provocati dalla colonizzazione mineraria negli anni cinquanta, gli aborigeni cominciarono ad organizzarsi e, nel 1959, nacque il Consiglio Federale per la Difesa Degli Aborigeni che, grazie anche all’appoggio della Chiesa e dei sindacati, riuscirono a sensibilizzare l’opinione pubblica. Nel 1967 un referendum concede ai cittadini autoctoni la cittadinanza australiana. Nel ’72 la conquista del governo dei laburisti apre nuove prospettive che si concretizzano nell’istituzione del Dipartimento degli Affari Aborigeni e nell’Atto dei Diritti Territoriali Aborigeni applicato però solo nel Territorio del Nord. Le prerogative delle compagnie minerarie non vengono però minimamente intaccate. Nei primi anni ottanta dalla fusione di diverse organizzazioni nasce il Servizio Legale Aborigeno (NAAILS) che, sotto la guida di Paul Coe, aderisce al Consiglio Mondiale dei Popoli. Nel 1990 viene creato il Comitato per gli Aborigeni allo scopo di riorganizzare i Land Councils ma gli indigeni non colsero alcun sostanziale mutamento della propria condizione.
Il 3 giugno 1992 è una data storica per gli aborigeni in quanto una sentenza dell’Alta Corte Federale nega il principio della Terra Nullis anche se gli effetti concreti della sentenza non sono quelli sperati. Nel maggio ’97 viene pubblicato il rapporto della Commissione Federale sulla questione della Stolen Generation ovvero sulla sottrazione, avvenuta tra gli anni ’10 e ’70, di migliaia bambini indigeni, alle famiglie naturali per essere affidati a famiglie adottive o rionchiusi in orfanotrofi al fine di snaturalizzarli facendone diventare dei “bianchi” togliendo al contempo risorse demografiche al già esiguo gruppo aborigeno.
HAWAI’I, nativi hawaiani
Quest’arcipelago, culturalmente e geograficamente appartenente all’Oceania, è stato annesso, contro la volontà della popolazione autoctona, agli USA. Prima dell’arrivo degli europei (nel 1778 J.Cook raggiunse le isole) la società indigena si era sviluppata autonomamente; essa era suddivisa in tre classi ben distinte ed era in vita un governo monarchico. La popolazione era allora poco inferiore ad 1.000.000. L’impatto con l’invasore europeo si rivelò ben presto devastante e la diffusione di malattie infettive decimò la popolazione: nel 1890 gli indigeni sopravvissuti erano soltanto 40.000. L’azione dei missionari calvinisti fu egualmente distruttiva nei confronti del culto politeista locale. Quando anche Inghilterra e Russia dimostrano interesse per l’arcipelago e gli Stati Uniti, approfittarono per inviare una nave militare nelle acque dell’arcipelago. Da qui in poi, nonostante la resistenza degli hawaiiani, la pressione statunitanse si fa sempre maggiore e l’arrivo di numerosi coloni mina irrimediabilmente la situazione della popolazione indigena.
Nel 1898, dopo che nel ’93 con un colpo di stato si era addirittura instaurato un governo provvisorio, le isole vengono ufficialmente annesse agli Stati Uniti. Successivamente, nel 1959 con la popolazione indigena ormai in netta minoranza, un referendum trasforma l’arcipelago nel 51° stato degli USA. Attualmente l’arcipelago conta 1.150.000 abitanti di cui il 20 % sono indigeni. La mancanza di trattati non concede agli hawaiiani nemmeno le pur limitate prerogative proprie delle altre nazioni indigene negli Stati Uniti. Nel 1987 le sorelle Mililani e Haunani-Kay Trask fondano la Ka Lahui Hawai’i (Assemblea hawaiiana) per poter dare voce alle rivendicazioni delle popolazioni autoctone. Nell’estate del 1997 il Presidente Clinton firma l’Apology Bill un importante documento in cui gli USA ammettono le proprie responsabilità nel colpo di stato del 1883 e constata che all’epoca le Hawai’i erano uno stato internazionalmente riconosciuto. Nonostante l’impegno dei gruppi indigeni, comunque, a tutt’oggi non si sono verificati miglioramenti nella condizione e nello status del popolo hawaiiano.
NUOVA CALEDONIA, popolo Kanak
In questo Territorio d’Oltre Mare (TOM) che ancora la Francia possiede la popolazione indigena, i Kanak, lotta da molti decenni per il riconoscimento dei propri diritti sulle proprie terre annesse dalla Francia ormai dal 1864. La colonizzazione francese ha, a più riprese, sottratto le terre alle popolazioni indigene che sono state confinate in riserve dove si sono presto diffuse malattie infettive contro le quali i Kanak non possedevano difese immunitarie. Contemporaneamente l’immigrazione incalzante concorre in maniera determinante nel processo di distruzione della cultura e della società Kanak. L’arcipelago viene inserito nella lista dei territori da decolonizzare ma la Francia, dichiarandolo TOM, riesce a mantenere il dominio su di esso.
Nel ’51 viene concesso il diritto di voto agli indigeni ed, in seguito, Maurice Lenormand, guida dell’Union Caledonienne, viene eletto all’Assemblea di Parigi. Nel ’57 viene istituita un’Assemblea Territoriale con poteri legislativi ma, l’anno seguente i coloni organizzano una rivolta armata per impedire ogni concessione autonomistica. Il generale de Gaulle scioglie l’Assemblea e Lenormand viene incarcerato. Negli anni ’80 la guida del movimento indipendentista viene affidata a Jean Marie Tjibaou e nel 1984 nasce il FLNKS (Fronte di Liberazione Nazionale Kanak e Socialista) nel quale confluiscono tutte le formazioni autonomiste che proclama nello stesso anno un Governo Provvisorio ed oirganizza una serie di proteste. Mitterand invia perciò un rappresentante del governo per risolvere la situazione ma la violenza dei coloni si scatena contro i Kanak tra cui diversi vengono uccisi. La vittoria elettorale dei gollisti impedisce inoltre l’attuazione del piano di autonomia previsto da Mitterand. Nel 1986 i Kanak ottengono però che la Nuova Caledonia venga reiscritta nell’elenco dei territori da decolonizzare. I disordini però non si interrompono ed il dialogo riparte solo quando Chirac torna alla presidenza; si arriva così all’Accordo di Matignon il 20 agosto del 1988 firmato da Tjibaou, il primo ministro Michel Rochard e Jacques Lafleur, guida del RPCR, il più importante partito indipendentista. L’accordo prevedeva, tra le altre cose, l’indizione di un referendum da tenersi nel ’98 per decidere sull’indipendenza dell’arcipelago. Parte della popolazione Kanak non approva l’iniziativa in considerazione del fatto che, rappresentando gli indigeni solo il 45 % della popolazione, la conquista dell’indipendenza tramite la consultazione sarebbe stata alquanto difficoltosa.
Il malcontento porterà addirittura all’assassinio di Tjibaou e di un suo collaboratore. Attualmente la situazione è ancora fossilizzata ed il FLNKS sembra meno compatto sull’obiettivo dell’indipendenza al quale però sembrano guardare con interese gli immigrati delle isole Wallis e Futuma mentre la Chiesa Evangelica continua a fornire un importante appoggio alle popolazioni indigene.
NUOVA ZELANDA, popolo Maori
Il popolo Maori, per primo, raggiunse l’isola, battezzata Aotearoa, nel VI secolo del primo millennio. Queste genti di ceppo polinesiano e provenienti da varie zone del Pacifico Meridionale, organizzarono una società la cui economia era basata su caccia, pesca, agricoltura e tessitura e socialmente era divisa in cinque caste: capi, sacerdoti, nobili, guerrieri e schiavi. Nel 1642 l’arcipelago venne raggiunto dall’esploratore Abel Tasman e da quel momento ebbe inizio il flusso di colonizzatori bianchi. Nel secolo successivo lo scontro con gli abitanti indigeni per il possesso delle terre divenne sempre più aspro. Nel 1840, però, venne stilato il trattato di Waitangi dove cinquanta capi tribali ed il Governatore della Nuova Zelanda si accordarono per trovare una soluzione alle tensioni tra i due gruppi. Il documento non venne però incorporato nella Costituzione e questo ne pregiudica l’efficacia.
L’incessante flusso di immigrati generò però uno scontro aperto e numerose sono le guerre tra le parti contendenti. Pur uscendo vittoriosi in più occasioni dagli scontri i Maori si vedono però decimati nel numero dalle malattie contro cui essi non possiedono difese immunitarie: il loro numero passò rapidamente da 256.000 (1871) a 45.000 (1874). Nello stesso periodo, comunque, quattro Maori vengono ammessi in parlamento.
L’inizio del XX secolo vide la nascita delle prime forme di organizzazione politica indigene quali il Partito dei Giovani Maori ed il Ratana, movimento di ispirazione cristiana. Dopo la seconda guerra mondiale due fenomeni contribuirono a modificare la situazione della popolazione indigena; in primo luogo l’inurbamento, iniziato negli anni trenta, sposta parte della popolazione dalle tradizionali zone rurali; in secondo luogo l’alto tasso demografico permette ai maori di crescere rapidamente in numero anche se il tasso di mortalità infantile risulta molto elevato. Nel 1975 il governo neozelandese istituisce il Tribunale di Waitangi che dovrebbe garantire l’applicazione delle norme contenute nell’omonimo documento mentre il 1990 vede la nascita del Congresso Nazionale Maori con il fine di coordinare e promuovere le istanze delle varie tribù. Purtroppo il fatto che i Maori rivendichino l’intero territorio neozelandese e non solo una parte di esso, complica notevolmente l’attuazione del Trattato. Il censimento del 1991 conferma la crescita numerica Maori (431.000 il 15% della popolazione), e ciò ha permesso anche di esprimere un’adeguata rappresentanza politica (6 parlamentari nel ’93, 15 nel ’96) in tutti partiti e la nascita anche di una formazione specificatamente maori il Mana Motuhake. Dal punto di vista culturale sono diffuse le riviste Mana e Maori Law Review mentre la lingua maori viene insegnata in varie università.
Purtroppo il popolo Maori non è sfuggito a piaghe sociali (alcoolismo, perdita di identità culturale) comuni ad altri gruppi tribali costretti a vivere in una situazione estranea alla propria cultura tradizionale.
Piccola bibliografia:
Un utile testo di riferimento è “Popoli Indigeni Popoli Minacciati” a cura dell’Associazione Popoli Minacciati, Edizini Comune Aperto stampato nel febbraio del 1988.
Un secondo volume è “Popoli Tribali” di Adriano del Fabro Ed. Demetra s.r.l. nel dicembre 1999.