Perché, nell’antica Roma, i debitori e i
commercianti falliti venivano esposti a una pubblica umiliazione, la bonorum
cessio culo nudo super lapidem (cessione dei beni, a natiche denudate,
sopra una pietra): in quelle condizioni, il malcapitato doveva gridare “cedo
bona”, ossia “cedo i miei averi”. Da qui l’espressione “essere la pietra dello
scandalo”, che significa essere oggetto di clamore per azioni riprovevoli.
IN OGNI CITTÀ. A
Roma, la “pietra dello scandalo” era un macigno vicino al Campidoglio. Ma ve ne
sono in tutta Italia, anche di periodi posteriori. A Firenze ce n’è una nella
loggia del Mercato Nuovo: è un tondo che rappresenta la ruota del Carroccio,
simbolo della Repubblica Fiorentina. Vi si compiva l’“acculata”: il
fondoschiena di debitori e disonesti vi veniva sbattuto violentemente, a braghe
calate, fra gli sberleffi dei presenti. A Modena, la pietra “ringadora”
(“dell’arringa”, perché anche usata come palco dagli oratori) in Piazza Grande,
veniva anche unta di trementina.