E’ molto difficile ricostruire il destino fuori dal comune di un personaggio come Moitessier. E ancor di più lo è il capire le scelte tormentate e così inattuali che hanno caratterizzato la sua vita. Non avendolo conosciuto, ed essendomi avvicinato alle sue opere quando aveva ormai chiuso il cerchio della sua vita avventurosa, sono grato a Dominique Charnay, il cui libro “Moitessier, la via delle isole” (Ed.Mursia) ripercorre la scia del navigatore accompagnandoci nella sua quotidianità, quasi facendoci sedere accanto a lui… con una spontaneità ed intimità che solo un vero amico poteva trasmettere.
Sarebbe riduttivo parlare di Bernard solo in virtù delle sue imprese marinare… in tanti hanno dimostrato il loro coraggio e le loro capacità nautiche con imprese fuori dal comune, ma solo Moitessier ha descritto con il suo esempio e con i suoi libri, una filosofia di vita che trova nella barca a vela il suo supporto ideale… diventando quasi un’estensione dello spirito del marinaio… così come uno strumento musicale, se intimamente vissuto dal suo musicista, può diventare parte di lui.
Il primo approccio di Bernard con il mare e con la vela, si ebbe in quella regione del sud est asiatico un tempo chiamata Indocina e corrispondente all’attuale Vietnam. Accade spesso a chi vive in regioni isolate, immerse nella cultura e nelle tradizioni locali e lontane dallo spettro della modernità, di instaurare con gli altri esseri e con la natura in particolare, un rapporto speciale, un’attrazione quasi mistica, che Bernard chiamerà “Alleanza”, sensoriale e trascendente allo stesso tempo, capace di elevare lo spirito umano ad un livello di coscienza e di volontà fuori dal comune. Credo che Bernard, quell’Alleanza, l’abbia posseduta fin da bambino, quando già sentiva l’attrazione per il mare e per quelle piccole libertà che fanno diventare l’uomo una creatura istintiva, libera, desiderosa di ampi spazi e di orizzonti infiniti.
Quella volontà, alimentata dalla lettura di Gerbault e di Bishop, lo portò a soli ventidue anni (siamo nel 1947), ad abbandonare la carriera sicura nell’azienda paterna e a dedicarsi al cabotaggio commerciale nel golfo del Siam su una piccola giunca. Ma il vero debutto nella navigazione d’altura, avvenne quando Bernard ed il suo amico Pierre Deshumeurs armarono un vecchio ketch di 12 metri, lo Snark, e partirono verso l’Oceano Indiano, incuranti delle teredini che avevano ormai divorato buona parte dello scafo. Quel primo viaggio lo portò sino a Singapore, ma il vecchio Snark, che faceva acqua da tutte le parti, ci rimise le penne una volta tornati in Indocina. Il passo successivo fu quello di acquistare e sistemare una bella giunca, odorosa di legno e di resine orientali, cui Bernard diede il nome di una ragazza di cui era innamorato: Marie Therese. E con questa nuova barca Moitessier affronterà in solitario il terribile monsone dell’Oceano Indiano, che strapperà la randa del Marie Therese ma non riuscirà a spezzare quell’incredibile unione di volontà, tenacia e resistenza, che Bernard e la sua barca erano riusciti a creare. Per la prima volta Bernard, vedrà nella sua barca molto di più che un mezzo per raggiungere una meta, il Marie Therese sarà libertà, diventerà parte di lui, e con essa volterà definitivamente le spalle all’ Indocina, ed inizierà quella vita da zingaro che non abbandonerà più.
Dopo aver solcato l’Oceano Indiano da Nord a Sud ed essere passato indenne alla furia del monsone, Bernard andrà a schiantarsi con la sua barca sugli scogli delle isole Chagos, a causa di un banale errore di carteggio. Ma la sua volontà sarà ben lungi dal naufragare, e dopo essersi trasferito nelle Isole Mauritius, solo e senza un soldo, alterna diversi lavori, compresa la pesca subacquea in acque infestate dagli squali (rischierà di essere sbranato) ed il lavoro di segretario per il console di Francia. Dopo tre anni trascorsi nell’Isola dell’amicizia, come Bernard definiva le Mauritius, riesce a costruirsi un’altra barca, il Marie Therese II, con la quale perfezionerà le sue conoscenze nautiche e vivrà le straordinarie avventure descritte nel suo primo libro: “Un vagabondo dei mari del sud”. Bernard farà sosta per qualche tempo in Sud Africa, quindi ripartirà alla volta dell’Atlantico in compagnia di un suo grande amico, il geniale Henry Wakelam. Ma la cattiva sorte avrebbe messo ancora a dura prova la volontà di Bernard. Nel 1958, mentre naviga nel mar delle Antille completamente sfinito da tre notti di veglia, non si sveglierà in tempo per salvare il Marie Therese II dagli scogli dell’Isola di San Vincenzo.
Bernard aveva trentatrè anni, era solo e senza un soldo, molti di noi sarebbero stati colpiti a morte da una simile sorte, ma non lui. I suoi unici bagagli erano l’esperienza, i ricordi delle straordinarie avventure vissute in mare, ed una immensa voglia di vivere che di lì a poco avrebbe rimesso in moto la ruota della sua esistenza, facendolo salpare un’altra volta verso nuove avventure. Imbarcatosi su una petroliera raggiunge la Francia, e con grande tenacia riesce a trovare lavoro (un impiego di rappresentante di prodotti farmaceutici). Inizia quindi a scrivere quel suo primo libro tanto bello e tanto sincero, perchè fatto di ricordi nei quali palpita ancora un’emozione recente, immediatamente condivisibile da chi li legge. Si tratta di “Un vagabondo dei mari del sud”, oggi unanimemente riconosciuto come uno dei più bei libri di mare mai scritti… sicuramente è il più singolare ed autentico.
Il 1961 per Bernard è un anno speciale: si sposa con Francoise, diventa padre dei suoi tre bambini (avuti dalla moglie in un precedente matrimonio), ed inizia la costruzione della sua più celebre barca: il mitico Joshua. L’architetto navale Jean Knocker disegnerà gratuitamente, su indicazioni di Bernard, le linee di quel magico ketch, concepito per affrontare indenne i più duri Oceani del Grande Sud. Il Joshua verrà armato nel più puro stile Moitessier: due pali telegrafici a fare da albero, massima semplicità in coperta e negli interni… tutto in nome dell’efficienza, dell’economia e della robustezza. E se al Joshua mancano ancora il genoa, nonchè la tormentina e i verricelli… non fa niente, perchè l’importante è partire. Passano così due stagioni di scuola vela, nelle quali Joshua si cimenta fra le maestralate del Mediterraneo, e si riposa nei porti di Francia e Corsica. Ma nel ’63 partirà alla volta di ben altri lidi: Moitessier porterà la moglie fino in Polinesia nel corso di uno straordinario viaggio di nozze. Scoprirà l’incanto di quelle isole e di quei mari che aveva sognato fin da bambino: le Galapagos, il Grande Oceano Pacifico, le Marchesi, Tahiti… e da lì il grande salto! Bernard e Francoise Moitessier compiranno un’impresa velica straordinaria, la traversata Tahiti – Alicante via Capo Horn: quattordicimila miglia senza scalo! La decisione, maturata da Bernard in modo del tutto imprevisto, lo porterà ad affrontare insieme alla moglie le terribili burrasche delle alte latitudini, attraversando quel mare tanto terribile e tanto bello. Sarà un’impresa romantica e senza precedenti che consacrerà Bernard e Francoise fra i più grandi navigatori di tutti i tempi.
Tornato in Francia raccoglierà gli appunti del giornale di bordo e scriverà un libro diventato ormai un best seller fra i libri di mare: “Capo Horn alla Vela”. Le esigenze commerciali dell’editore, l’asfissiante vita dell’uomo di terra, l’essersi “asservito” alle leggi del mondo occidentale… ed altre motivazioni che non mi sento di descrivere con parole diverse da quelle usate da Bernard (leggete Tamata…!), faranno maturare in lui un profondo senso di frustrazione, e la grande esigenza di un catarsi spirituale che solo l’immensa purezza degli oceani poteva concedere. Bernard aveva rotto l’Alleanza, ora doveva ritrovarla, e l’occasione ideale si presentò quando il Sunday Times lo invitò a prendere parte alla prima regata intorno al mondo per solitari, senza scalo, con partenza da un qualunque porto dell’Inghilterra e ritorno dopo aver passato i tre Capi. Il premio messo in palio dal Sunday Times era di 5000 sterline per il viaggio più veloce e di un trofeo d’oro per il primo arrivato. Dapprima titubante nel voler accettare l’offerta, che avrebbe declassato un viaggio sacro ed eroico ad una banale competizione sportiva, Bernard decise infine di partecipare, vista l’enorme libertà che il regolamento gli avrebbe concesso: l’unica condizione era di partire da un porto inglese a sua scelta. Questa decisione non lo allontanò dal suo scopo iniziale, che consacrò con la clamorosa rinuncia al premio e al successo in seguito alla decisione di continuare il suo viaggio alle alte latitudini anzichè tornare a Plymouth. Protagonista di questa grande traversata, che lo porterà ai confini del mondo e di se stesso, è la sua splendida barca, un “Uccello dei Capi”, come lo definirà Bernard, capace di straordinarie prestazioni a patto di ricevere amore e vento: sussurrerà Joshua… e Bernard le darà fiducia…
Dopo un giro del mondo e mezzo (dieci mesi di mare!), si arresterà a Tahiti, dove inizierà la scrittura di “La Lunga Rotta”. Iniziato nel ’69, questo splendido libro, forse il più bello di Moitessier per l’eccezionale storia descrittavi, è ricordato anche per la grande prova di altruismo e di coraggio data da Bernard in occasione dell’uscita del libro, nel ’71. Nonostante fosse povero in canna, Bernard decise di destinare i proventi dei suoi diritti d’autore per un nobile scopo: la “ricostruzione della Terra” su basi che non fossero quelle dell’egoismo, del consumismo e delle guerre. Ritenendo il Papa e l’Associazione Amici Della Terra i più adatti a perseguire questo scopo, si affidò a loro, ma probabilmente il mondo era troppo complicato ed egoista per capire un animo nobile e la bellezza di un gesto autenticamente cristiano: il tutto si risolse con un niente di fatto. Bernard sconfortato ma non arreso, decise di provvedere da solo a ricostruire quel mondo che non gli piaceva, poichè riteneva che tutti gli uomini sono responsabili di quel processo creativo di cui finora si era occupata solo la Natura. Ritiratosi in un atollo sperduto della Polinesia insieme alla sua nuova compagna Ileana, e al suo figlio Stephan (nato nel ’71), diede forma e sostanza a quelle idee di Alleanza e di Creazione che lo avevano da sempre accompagnato. Con lo stupore delle popolazioni delle isole vicine, trasformò in un’oasi il suo isolotto (motu) nell’atollo polinesiano di Ahè, e fu attivamente impegnato per migliorare la vita dei polinesiani. diceva Bernard, e queste sue convinzioni che si dimostrarono vincenti nel suo soggiorno polinesiano, lo portarono a schierarsi con passione sui grandi temi dell’ecologia e del disarmo nucleare. Dopo un un lungo soggiorno in Nuova Zelanda e in Israele, tornò in Polinesia, e mentre in Francia tutti si chiedevano che fine avesse fatto, diede vita ad una nuova crociata ecologica: con una lettera aperta ai sindaci dei comuni francesi, li invitò a piantare alberi da frutto lungo le strade, simbolo della vita e della creazione: il primo che avesse risposto sarebbe stato premiato con un assegno di 15000 franchi! In tanti risposero a quell’appello, confermando ciò che Bernard aveva da sempre sostenuto : <>.
Frattanto Bernard si lancia in una nuova avventura: trasferitosi in California insieme alla sua famiglia, avvia una serie di conferenze e dibattiti, discutendo delle tematiche a lui care, dall’ecologia alla pace nel mondo, e commentando le straordinarie immagini del giro del mondo che filmò con una cinepresa 16 mm durante la Lunga Rotta. E’ il 1982 quando insieme all’attore Klaus Kinsky, mentre si trovava all’ancora davanti a una spiaggia messicana, venne travolto da un terribile ciclone, del tutto inatteso in quel periodo e a quelle latitudini. Per un curioso scherzo del destino, la sua magica barca che era sopravvissuta alle terribili burrasche dei Quaranta Ruggenti, finiva spiaggiata e disalberata in uno dei mari più tranquilli! Lo scafo del Joshua, eccezionalmente robusto, riportò solo qualche ammaccatura, ma l’attrezzatura venne completamente divelta. Troppo povero per poter resuscitare Joshua, e troppo vecchio per poterlo gestire, Bernard decise che era meglio liberarsene, e lo fece nel modo che gli era più congeniale: lo regalò a due ragazzi che lo avevano aiutato a disinsabbiarlo!
Grazie a una campagna di solidarietà lanciata da alcune riviste nautiche, e al contributo dei suoi amici, a Bernard verrà costruita una nuova barca: un cutter in ferro di dieci metri, dal nome Tamata, che significa tentare (così i polinesiani avevano soprannominato Bernard ). Grazie a Tamata, Bernard ritorna a Tahiti, ed intraprende la scrittura di quell’opera che lo avrebbe coinvolto per i suoi ultimi anni, la sua biografia. Frattanto conosce Veronique, che lo convincerà a trasferirsi a Parigi per continuare là, lontano dalle distrazioni del sole e degli amici, l’impegnativo lavoro che aveva intrapreso. In realtà Bernard era già minato da un terribile male, un cancro alla prostata che non esiterà a chiamare “la Bestia”, e che gli verrà diagnosticato nel 1989. Bernard affronterà quest’ultima sfida con il coraggio e la dignità che lo avevano sempre contraddistinto, riuscendo a completare quel libro cui aveva dedicato tutta una vita, “Tamata e l’Alleanza”, nel quale ha racchiuso i suoi più intimi ricordi, le sofferenze, le gioie, gli insegnamenti della sua vita straordinaria. Nel 1990, Bernard è tormentato sempre più dal suo male incurabile, ma una bella notizia rinnoverà il suo entusiasmo e gli darà una gran gioia: il Joshua, il suo fedele compagno della Lunga Rotta, era ancora “vivo” e lo aspettava al museo marittimo di La Rochelle per una gran festa di ricongiungimento . Patrick Schnepp, il direttore del museo, aveva acquistato il vecchio ketch per restauralo completamente, ed era ben felice di far rincontrare quei due vecchi amici.
Bernard riuscirà a ritardare l’appuntamento con la morte fino al 16 giugno 1994, in tempo per concludere il suo libro e rivedere la sua amata Indocina. Le ultime pagine di Tamata e l’Alleanza ci trasmettono l’immagine di un uomo felice ed in pace con se stesso, che affronta la morte con la stessa dolcezza e semplicità con cui ha affrontato la vita… con la spensieratezza del pensatore scalzo, ed il sorriso del saggio impresso sul volto fino all’ultimo respiro…
Quel sorriso che porteremo indelebilmente nei nostri cuori.
Autore : Alessandro Spanu