“Prima di rientrare torno a guardare il ramo davanti a me, lo osservo con cura.
Ho saputo una cosa: non tutte le gemme ascellari si apriranno nei prossimi giorni: alcune resteranno in sonno, forse per sempre, forse a lungo – nelle piante più longeve come quercia e faggio rosso, anche cent’anni. Le gemme dormienti incominciano a germogliare se e quando la crescita dell’albero è a rischio; quando, per esempio, il fusto principale è colpito da un fulmine, o viene amputato per accidente. Privato dell’apice vegetativo – l’organo che promuove il suo sviluppo ascensionale – l’albero non potrebbe più crescere normalmente o addirittura morire.
Allora la gemma dormiente, chiamata a farsi fusto dalla necessità dell’organismo, si sveglia; si può ben dire che si alza. Qualunque sia la posizione in cui è collocata sul ramo, si attiva e dà origine ad un nuovo ramo-fusto che senza esitazione punta verso l’alto. L’albero riprende il suo sviluppo; non sarà quello originariamente programmato, avrà un percorso inconsueto, ma la direzione sarà sempre e solo una: l’Alto.
Straordinario è certo l’accadimento che arresta lo sviluppo dell’albero, ma più ancora lo è la possibilità che esso si riattivi grazie ad una potenzialità che era già presente nell’organismo, insita nella struttura, sebbene latente, e che subito assuma la direzione ascensionale.
E straordinaria è l’analogia fra ciò che si verifica nella vita degli alberi, e su piani diversi, in quella degli uomini. Quando sulla nostra vita cadono fulmini, tutto sembra fermarsi. L’ho provato anch’io: anni fa, uscita da una grave malattia, ho dovuto prendere atto con sgomento che sarei stata impedita per sempre ad essere quello che volevo essere, e a fare quello che volevo fare. Non riuscivo ad accettare, ad intravedere una linea di sviluppo diversa da quella che mi ero tracciata.
Privata del mio “fusto principale “mi sentivo vuota e sul vuoto. Eppure già nella sofferenza e nel brancolamento dei primi tempi, per quanto io non me ne rendessi conto, una sorta di gemma dormiente si preparava ad attivarsi. Potenzialità che non sapevo di avere e di aver tenuto in sonno si facevano avanti, e su di esse, quasi incredula, avrei incominciato un ciclo nuovo.
Tanti hanno raccontato il loro ricominciamento “dopo l’incidente “, cioè la vicenda che aveva inciso profondamente sulla loro esistenza, e ne aveva cambiato il corso.
Forse la vita ci dà opportunamente queste ferite, questi impedimenti sull’unica via che avevamo pensato come adeguata a noi. Una mutilazione fisica, un dissesto economico, un licenziamento, una separazione, la morte della persona più cara: abbiamo il senso di essere finiti. La sofferenza c’è e non può essere elusa. Ma quando la si regge – la si porta fino in fondo in conoscenza, si sta di fronte alle domande esistenziali che essa inevitabilmente pone – se ne esce rinnovati.
Elaborare il proprio stato di crisi vuol dire rendersi conto consapevoli della compresenza in essa del “rischio e opportunità “ (come riconoscono i Cinesi, nella cui lingua la parola è composta dai caratteri di entrambe), e risvegliare le forze dormienti in sé.
La sofferenza, che sembrava solo poterci immiserire, sfocia invece nella pienezza di una trasmutazione interiore.
Somiglia a un personaggio da fiaba questa gemma dormiente, pronta a svegliarsi quando l’organismo ha bisogno di lei. Invece è un’immagine reale di vita della Natura che, come ogni altra immagine culturale – una poesia, un brano musicale, una scultura – ha il potere di sollevare l’anima più alta, più ampia. Aiuta, conforta, sostiene, anima la fiducia nella ciclica rigenerazione della vita: “è terapeutica “.
Adriana Bonavia Giorgetti (tratto da “Meditazioni dentro un platano “