Solo una filosofia dell’eternità, al giorno d’oggi, potrebbe giustificare la non violenza.
(Albert Camus)
Il termine proviene dal greco (philein, amare e sophia, sapienza) e può essere tradotto come: “amore per la sapienza”. Secondo un’antica tradizione, il termine filosofo risalirebbe a Pitagora, che si definiva “amante del sapere” (a differenza degli dèi, che erano i sapienti).
Quest’accezione, che include l’idea dell’amore, è molto interessante: essa definisce l’immagine di un individuo che non ricerca il sapere per uno scopo precipuo, ma per puro anelito alla verità. Il filosofo, nel senso più allargato del termine, ama la vita, perché in essa riconosce i tratti di una sapienza proveniente dalla sorgente stessa del sapere.
Il filosofo è colui che ricerca la verità in ogni cosa. Possiamo meglio comprendere questo concetto, citando Platone, che nella Repubblica afferma: «Filosofo è chi aspira all’intero e alla totalità, sia nella sfera del divino che dell’umano, e ancora è la mente in cui alberga la possibilità straordinaria di vedere tutto il tempo e tutto l’essere».
L’intero, la totalità, enunciano l’immagine di un universo in cui tutto è connesso; l’Uno, il Divino, il mondo intero sono una sola cosa. Tutto il tempo e tutto l’essere: l’idea di uno spazio percettivo in cui può compiersi il miracolo della visione dell’intero.
Platone parla della filosofia in termini molto estesi. Questi vanno dalla “paideia”, cioè l’educazione in generale – comprendente lo studio della musica, delle scienze, e dell’educazione fisica – alla filosofia come scienza in sé, ossia come ricerca della conoscenza della realtà.
Secondo Platone, i filosofi avrebbero il diritto-dovere di governare, non tanto perché hanno avuto accesso ad un’educazione generale, quanto perché hanno acquisito gli strumenti necessari per comprendere le idee immutabili che stanno dietro all’apparire sensibile.
Questo concetto si conferma in Aristotele, dove “sapere” significa conoscenza dei principi e delle cause. Nella “Metafisica” egli afferma: «Oggetto della nostra ricerca sono i principi e le cause degli esseri, intesi appunto in quanto esseri; infatti, c’è una causa della salute e del benessere; ci sono cause, principi ed elementi anche degli oggetti matematici e, in generale, ogni scienza che si fonda sul ragionamento e che in qualche misura fa uso del ragionamento, tratta di cause e principi più o meno esatti.
«Tuttavia, tutte queste scienze sono limitate ad un determinato settore, o genere dell’essere, e svolgono la loro indagine intorno a questo, ma non intorno all’essere considerato in senso assoluto, e in quanto essere».
La filosofia si occupa dell’essere in quanto tale e della vita, intesa come causa del mondo sensibile. Nella materia, nel mondo, si ritrovano i simboli e gli effetti delle cause che hanno originato la vita. Lo studio della verità non può quindi escludere la natura elementare delle cose; mentre lo studio della natura, le scienze specifiche, non implica necessariamente – anzi, quasi mai – l’attenzione nei confronti del sovrasensibile.
Si arriva così al concetto di “filosofia prima”, che ha per oggetto i principi immutabili ed eterni, e per questo può essere chiamata anche “scienza del divino” o “teologia”. La “filosofia prima”, che la tradizione chiamerà “metafisica”, costituirà – almeno sino a Kant – il nucleo centrale della filosofia.
Con il diffondersi del cristianesimo, religione basata su una verità rivelata, la filosofia fu considerata come saggezza proveniente dalla cultura pagana, e di conseguenza i filosofi vennero descritti come ispiratori d’eresie.
Fu in seguito al pensiero di Clemente Alessandrino – nel 200 d.c. – secondo il quale per convertire i pagani era necessario conoscere la loro cultura ed utilizzarla, che la filosofia fu definita “ancilla theologiae”, ossia ancella della teologia, assumendo il compito di sostenere le verità della fede, per difenderla contro obiezioni e dubbi.
Questo originale scontro-incontro, tra religione rivelata e visione filosofica, diede origine a effetti interessanti, anche all’interno della Chiesa stessa. Fu evidente cioè, anche per alcuni illustri teologi ecclesiali, il vasto oceano che divideva il concetto di “dogma” da quello di “ricerca della verità”.
La religione ammonisce che i suoi dogmi fondamentali provengono da Dio. La filosofia, invece, descrive un percorso di comprensione del divino, a partire dalla ricerca personale. Benché ufficialmente, ogni forma di pensiero filosofico non potesse che essere posta al servizio della religione, proprio il tentativo di strumentalizzazione del mondo dei filosofi produsse contaminazioni di pensiero che, in seguito, originarono di riflesso un’espansione affascinante dei contenuti teologico-religiosi.
Sarebbe esistita poca possibilità d’evoluzione del pensiero, infatti, in un contesto nel quale ogni “articolo di fede” avesse rappresentato, in modo esclusivo, il limite invalicabile entro il quale comprimere ogni quesito di coscienza.
L’asservimento della filosofia alla religione durò per tutto il medioevo, con alcune eccezioni; ad esempio, Gugliemo di Occam sentenziò: «gli articoli di fede appaiono falsi ai sapienti, cioè a quelli che si affidano alla ragione naturale».
Con il passare dei secoli, i concetti propri alla metafisica medioevale risultarono sempre più estranei agli studiosi di un mondo che andava cercando spiegazioni più razionali. All’inizio del 1600, Cartesio cercò un metodo rigoroso e geometrico per studiare la filosofia, che paragonò ad un albero le cui radici sono la metafisica, il tronco la fisica, e i rami che ne dipartono tutte le altre scienze.
Nello stesso periodo, oltre alla visione cartesiana (ripresa da Spinoza e Leibniz), si formò la corrente dell’empirismo – che mettendo a confronto filosofia e scienza – pose in discussione la validità d’ogni forma di conoscenza, in quanto dipendente dai sensi e dall’esperienza.
L’idea della filosofia come critica della conoscenza è solo uno degli aspetti propri all’empirismo anglosassone, che considera filosofico tutto ciò che è un sapere ordinato e sistematico, utile all’essere umano.
Bacone, ispirandosi a questa visione, nel suo “De dignitate et augmentis scientiarum”, distingue la filosofia in naturale (scienze sperimentali), umana (logica, psicologia ed etica), civile (politica); e alla base di tutte, pone la “filosofia prima”.
La visione filosofica è sempre più intesa come “indagine sulla vita” a tutto campo, e la ricerca della verità, concepita come “causa prima”, si mescola allo studio delle molteplici verità dell’esistenza.
Nell’età dell’illuminismo diventerà sempre più evidente la funzione della filosofia nell’educazione, nella politica e nella comunicazione del sapere in società. Voltaire, nel “Dizionario Filosofico”, parla della capacità della filosofia di «addolcire i costumi e istruire i governanti».
Per molto tempo, tuttavia, il rapporto tra scienza e filosofia risulterà poco chiaro, malgrado la proposizione “baconiana”. Fu Kant a produrre la svolta decisiva. Egli oppose la matematica alla filosofia, affermando: «Mentre questa scienza costruisce i suoi concetti ed estende il proprio sapere senza far ricorso all’esperienza, la filosofia riflette su verità date» (“Critica della ragion pura”, Dottrina del metodo, I, 1).
La filosofia quindi è intesa, tra l’altro, non come un’estensione di conoscenze, ma come una presa di coscienza di ciò che rende possibile ogni sapere. È un passaggio fondamentale, nel quale si restituisce alla filosofia il riconoscimento di una sua posizione connessa al “sovrasensibile”, come causa dei fenomeni sensibili. Essa è ricondotta al centro unitario del sapere, inteso come evento realizzativo: la mente in cui alberga la possibilità straordinaria di vedere tutto il tempo e tutto l’essere, di cui già aveva parlato Platone nella “Repubblica”.
Hegel, qualche decennio più tardi, descrive la filosofia come la «considerazione pensante degli oggetti» (“Enciclopedia”, par. 2), che invece di isolare gli oggetti della conoscenza attraverso procedimenti analitici, li vede come momenti ed articolazioni dialettiche del tutto. La verità è soltanto nella totalità e la filosofia è conoscenza di questa totalità. Ecco nuovamente la riaffermazione del pensiero platonico: «Filosofo è chi aspira all’intero e alla totalità, sia nella sfera del divino, che nell’umano».
La visione hegeliana rispose alla necessità di un elemento unificante nella cultura europea del 1800, in un mondo che stava cambiando velocemente, nell’ambito delle varie scienze, e nella conoscenza del mondo dal punto di vista geografico e sociale.
Questa visione filosofico-metafisica iniziò a disgregarsi nel 1900, epoca in cui sopravvisse principalmente un aspetto tradizionale della filosofia: la funzione critica. Il pensiero filosofico non cercò più una definizione o un ambito preciso d’applicazione, né pretese di unificare scienze che divenivano sempre più frammentate e specializzate; esercitò tuttavia una funzione di sapere universale, che ricoprì tutte le aree di studio dell’uomo e del pianeta in cui viveva.
Una parte del pensiero contemporaneo, che vede in Heidegger un valido esponente, rifiuta la filosofia ridotta alla sua funzione critica, e la rivaluta come ricerca del senso dell’essere.
Nel lungo percorso dei secoli, la filosofia è passata attraverso varie correnti e differenti scuole, che si sono affiancate e opposte, ambendo a risposte sul senso della vita e della natura umana, e cercando o negando l’esistenza di una fonte unica.
A prescindere dalle varie scuole di pensiero, la filosofia è stata – e rimane – amore per la conoscenza del sovrasensibile, della verità e del significato profondo celato dietro all’apparenza delle cose. Manifestando un maggiore o minore pragmatismo, secondo le epoche e gli esponenti che l’hanno rappresentata, la visione filosofica è stata sopratutto – nella sua essenza – indagine interiore.
Albert Camus, afferma che la non violenza può essere giustificata solo da una concezione filosofica fondata sull’eternità. Questa frase deve far riflettere, soprattutto nella nostra epoca, in cui gli “ismi” e le visioni totalitarie rischiano di condurci nel baratro (sul ciglio del quale siamo già). Occorre un pensiero inclusivo, unitario, aperto e omnicomprensivo delle differenze. Un pensiero che sappia non solo contenere la pluralità nell’unità, ma che ne descriva la necessità e l’urgenza, in termini filosofici e nell’applicazione concreta della vita.