Un sacrificio animale (voodoo haitiano) Ottobre 2007
Il tempio del brujo Miguel si trova nelle vicinanze di Jimani, una piccola città dominicana dal clima torrido situata a poca distanza dal confine con Haiti.
In questa zona viene praticata una forma di voodoo che comprende elementi di entrambe le tradizioni, dominicana e haitiana. Particolarmente vivo è il culto di Santa Marta la Dominadora e dei misterios petro in generale. Alcuni brujos, e Miguel è tra questi, lavorano coi veve, e questo è un elemento peculiare del voodoo haitiano.
Mi trovavo appunto nel suo tempio, una baracca di travi collocata ai margini di una gialla e deserta spianata cosparsa di cactus. Ma come dappertutto, anche fin lì giungeva a folate il merengue, portato dalla brezza, forse proveniente da un’auto parcheggiata chissà dove.
Me ne stavo lì in piedi e osservavo questo nero piccolo e magro, con la barba incolta, inginocchiato sul pavimento in terra battuta, dove con infinita attenzione spandeva delicatamente con due dita il sottile filo di farina del veve che stava tracciando.
Il mio sguardo poi andava alle spoglie pareti della baracca, e al piccolo altare dalla tovaglia bianca rivolto a occidente, sul quale solo pochissimi oggetti erano collocati. Molti brujos amano sovraccaricare i loro altari di oggetti strani e misteriosi per impressionare i visitatori, ma Miguel non è uno di questi: ogni dettaglio del suo tempio rivela la sobria semplicità della tradizione primordiale.
“E’ finito”. Senza rialzarsi, Miguel fece un passo indietro per consentirmi di ammirare il veve nella su totalità. Era un disegno assai complesso, lungo circa mezzo metro e largo una trentina di centimetri, il cui intreccio di linee sembrava irradiarsi dalla base del poteau-mitan: il ruvido palo, collocato nel centro esatto del tempio, che rappresenta l’Asse del Mondo – un altro elemento caratteristico del voodoo haitiano.
“E’ un bel disegno, Miguel” gli dissi.
Lui mi fissò per qualche attimo negli occhi, poi scosse il capo:
“No, Daniel, sbagli: il veve, non è un disegno. Somiglia molto a un disegno, ma non lo è.”
“E cos’è, allora?”
Si grattò il capo. “Beh, non lo so: io non so scrivere, ma credo che si possa paragonare alle parole che si compongono con l’alfabeto; anche se le lettere dell’alfabeto sono disposte in fila, mentre i simboli del veve sono intrecciati l’uno con l’altro.”
“Quanti sono questi simboli?”
“Questo è un piccolo veve e ce ne sono soltanto quattro: i Bastoni, i Serpenti, il Sole e i Gemelli. Ma l’alfabeto è fatto di quarantotto simboli, che possono essere combinati in un’infinità di modi diversi.”
“E queste combinazioni di simboli a cosa servono ?”
“Per chiamare l’energia che vuoi. Vedi, i simboli che ho tracciato si irradiano nella terra, per centinaia di metri di raggio e fino a oltre un chilometro di profondità. Così le energie che gli corrispondono trovano la strada per salire, e vengono a radunarsi qui, nel veve.”
“Ma qual è lo scopo di questo veve in particolare ?”
Miguel esitò. “Questo… è il veve di una Santa Marta poco conosciuta. Siamo in pochi a usarlo. E’ il veve della Santa Marta che serve a far tornare i mariti.”
I termini che aveva usato non mi erano chiari. “Come sarebbe della Santa Marta che fa tornare i mariti? Mi stai dicendo che ci sono tante Santa Marta diverse?”
Lui esitò ancora. “Beh, mettiamola così: pensa ai colori. Il colore di Santa Marta è il viola, giusto? Però ci sono infinite tonalità di viola, e ad ognuno corrisponde una qualità di energia diversa; è sempre la stessa Santa Marta, ma questa Santa Marta – la Santa Marta che si crea combinando questi quattro simboli – è la Santa Marta che serve a far tornare i mariti.”
Pensai di aver capito. “Cioè: se tu per esempio avessi scelto un’altra combinazione – magari usando tre di questi simboli, ma il quarto diverso – il tuo veve corrisponderebbe a un’altra tonalità di viola, e quindi attirerebbe energie leggermente diverse, e quindi servirebbe a ottenere un altro tipo di risultato. Giusto?”
“Sì, è esattamente così. Tre di questi simboli vanno bene per chiamare tutti i tipi di Santa Marta; il quarto simbolo specifica quale tipo. Ci sono esattamente quarantotto possibilità.”
Qui fece una lunga pausa. Ebbi la sensazione che non volesse dirmi altro su questo argomento, e cercai di spostare il discorso con un’altra domanda…
“Adesso cosa farai ?”
“Adesso dovrò sacrificare un colombo a Santa Marta, per attivarlo.”
“Attivarlo in che senso? Credevo che stesse già funzionando. Non bastano i simboli per attirare le energie?”
“Sì, sta già funzionando: proprio adesso, sotto i nostri occhi, una gran quantità di energia si sta raccogliendo. Ma si tratta di energia passiva, grezza ed inerte: non sa perché abbiamo deviato il suo viaggio, non sa cosa vogliamo da lei.”
“Beh, a dire il vero, non l’ho capito bene neanche io.”
Miguel dette un gran sospiro. Si sedette per terra e accese il sigaro che già da mezz’ora stringeva spento fra le enormi labbra.
“Io voglio che quel cretino ubriacone del marito di mia sorella torni da lei domani. Voglio mandare da mio cognato questa energia, che lo prenda e lo avvolga, e lo riporti a casa sua prima ancora che abbia capito cosa è successo.”
“Ma adesso non si può, perché la mia volontà è l’energia di un animale, mentre questa Santa Marta arriva dritta dal centro della Terra. Capisci cosa voglio dire? Non possono comunicare. Se vogliamo farle comunicare, è necessario che creiamo un ponte tra la mia volontà di brujo e questa Santa Marta stupida e grezza.”
“Il ponte è il sacrificio. Se noi sacrifichiamo il colombo, facciamo a Santa Marta un’iniezione di energia animale: cioè a dire, trasformiamo la sua energia in qualcosa di adatto a interagire con gli esseri umani. Subito dopo il sacrificio, la mia volontà si travaserà da me in lei, e allora finalmente Santa Marta saprà dove andare.”
L’idea di assistere a un sacrificio animale mi interessava enormemente, perché non ne avevo mai visti. Si usa di solito sacrificare un gallo o un pesce quando un nuovo brujo viene iniziato, ma nel mio caso non era stato fatto nulla di simile, perché la mia iniziatrice – la bruja Marisa – è una convinta animalista, e aveva sentenziato che non ce n’era bisogno.
Secondo lei, la pratica dei sacrifici animali è stata introdotta nel voodoo da certi brujos troppo ghiotti, che con le offerte dei fedeli organizzano di nascosto pantagrueliche mangiate.
Chiesi a Miguel se è vero che le vittime vengono sacrificate per “nutrire i misterios”, come si usa dire.
Miguel ridacchiò. “ No, Daniel, non è vero. L’espressione “nutrire i misterios” nasce dall’idea che i misterios siano persone, e i misterios non lo sono. Credo che questa idea sia stata creata per i cattolici, in modo che potessero identificare un misterio con un santo ; ma io sono stato a Trinidad, dove i fedeli del voodoo sono protestanti, e ho visto che da loro la corrispondenza tra i misterios e le persone non esiste proprio.”
Mi venne in mente che anche lo stesso cattolicesimo, per assorbire il culto degli dei pre-cristiani, era ricorso al trucco di identificarli con figure di santi; vedi il caso di San Gennaro, del quale si dice che molto probabilmente non è mai esistito.
“Sì, quello è un trucco che funziona” assentì Miguel: “la gente, se pensa che una data energia è venuta da un uomo, ci crede più volentieri, perchè tende a identificarsi con lui. Ma se ci rifletti bene, capisci che non c’è motivo per cui un’energia destinata a durare migliaia di anni debba per forza manifestarsi attraverso un uomo.”
Gli chiesi anche se ogni misterio ha una razza di animale preferita per il sacrificio. Rispose di sì, che ce l’hanno, ma la faccenda non è così rigida come si crede.
Questo fu il punto di partenza di un’altra riflessione interessante: secondo Miguel, la conoscenza del voodoo dall’esterno – come viene presentato nei libri degli antropologi – è modellata soprattutto sull’osservazione delle grandi cerimonie pubbliche che si svolgono ad Haiti.
In questo genere di riunioni, la vasta partecipazione di pubblico fa passare in secondo piano le finalità operative per cui vennero concepite, a vantaggio dell’esigenza di sollecitare a livello emotivo la partecipazione dei “fedeli” e incrementare il loro senso di aggregazione.
Di qui il ricorso a cerimoniali molto suggestivi, prestabiliti fin nei minimi dettagli, da celebrarsi secondo un rigido calendario e vivacizzati dal ricorso a paramenti sacri, oggetti rituali ecc.
E’ proprio dallo studio di tali raduni che gli antropologi – inclini a valutare il voodoo più dal punto di vista sociale che da quello iniziatico – traggono spunto per la compilazione di eruditi lavori che, per quanto benemeriti dal punto di vista documentario, diffondono l’immagine di un voodoo-religione imprigionato entro schemi rigidi e inalterabili.
Ma il vero voodoo non è così, bensì è qualcosa di molto più spontaneo: un processo duttile e adattabile, la cui forza risiede nella capacità di manipolare in qualsiasi momento tutte le forze sottili che attraversano il cammino dell’uomo.
Va da sé quindi che non esistono regole inalterabili, e in particolare – per quanto riguarda i sacrifici – le caratteristiche della vittima vengono stabilite volta per volta; inoltre, qualora non si riesca a trovare esattamente l’animale richiesto, il misterio accetterà di buon grado l’offerta di ciò che il brujo è riuscito a trovare.
Allo stesso modo, poiché il brujo è costretto a arrangiarsi con quel che trova, non può aver corso la diffusa convinzione – citata anche da Métraux – secondo cui il misterio, prima di procedere col sacrificio, deve mandare un segno inequivocabile che la vittima è gradita: per esempio nel caso di un pollo, prima di sacrificarlo il brujo dovrebbe attendere che l’animale becchetti un po’ di mangime da lui predisposto sul veve, o cose del genere.
“Naturalmente” osservò Miguel “anche questa è un’idea derivata dall’associazione misterio-persona. Ma anche se proprio vogliamo credere a tutti i costi che il misterio è una persona, pretendere da lui una conferma a chiare lettere che la vittima gli piace è come dubitare che ci abbia fatto trovare la vittima giusta; se invece non mettiamo in dubbio che è proprio quello che lui voleva, la nostra fiducia nei suoi confronti gli piacerà.”
Aggiunse che un’altra inesattezza è credere che quanto più l’animale è di grosse dimensioni, tanto più il sacrificio è migliore: molti misterios, e non tra i meno efficaci a livello operativo, nutrono una spiccata preferenza verso i passeri e i topi. Per quanto riguarda Santa Marta, lei ha un feeling con i colombi: non è neanche il caso di provare a sacrificarle una bestia diversa.
Finimmo così di parlare. Miguel si alzò, e andò a raccogliere la grossa conca di metallo che viene usata per le iniziazioni. La portò fuori; sentii scorrere acqua da un rubinetto, rientrò con la conca piena e la posò dinnanzi all’altare.
“Cosa stai facendo?” gli domandai incuriosito: non avevo mai sentito parlare di niente di simile.
“Questo è il trou noir” mi rispose: “sta a vedere e impara.”
Mormorando qualcosa che non compresi, versò rapidamente nell’acqua della conca un po’ del contenuto di alcune bottiglie e barattoli che prese dall’altare: un goccio di gin, un pizzico di farina, un po’ d’acqua minerale e un po’ d’olio.
“I quattro elementi” osservai.
“Bravo, sì, esatto. Questo è per rafforzare la consacrazione.”
Terminata questa operazione si prostrò di fronte all’altare, davanti all’immagine di Santa Marta la Dominadora circondata dai serpenti. Poi prese dall’altare i fiammiferi ed accese la candela del brujo; non vorrei sbagliare, ma credo che anche questo gesto faccia parte del rituale haitiano, perché nella tradizione dominicana come io l’ho imparata la candela viene accesa soltanto in quei rituali nei quali è previsto che il brujo debba andare in trance.
Poi si recò in un angolo in penombra della baracca, e ne tornò stringendo in mano qualcosa di cui prima non mi ero accorto: una gabbietta contenente un bellissimo colombo, grigio e screziato. Depose la gabbietta in uno spazio libero al centro del veve, tornò all’altare e stette immobile per circa un minuto, in concentrazione.
“Adesso, Daniel, consacro la vittima a Santa Marta. Vuol dire che Santa Marta riceve dal colombo le energie della Terra. In questo modo diventa più pesante: non vola alla Luna, rimane nel veve e si lascia guidare dalla mia volontà.”
Miguel avvolse la gabbietta in un fazzoletto viola, il colore di Santa Marta. La prese in mano e la sollevò dal veve. Ruotando intorno al poteau-mitan, la rivolse prima a sud, poi ad est, poi a nord, poi ad ovest, ogni volta sollevandola e poi posandola un attimo in terra.
Avevo letto in Métraux quanto sia difficile compiere un’operazione del genere con le capre; eppure è necessaria, soltanto i bovini ne sono esenti (la loro consacrazione è costituita da abluzioni, o altri gesti di analogo significato). Miguel era fortunato che Santa Marta amasse i colombi.
Intanto, aveva portato la gabbietta di fronte all’altare. La posò un attimo davanti al trou noir, poi la levò in alto, poi la spostò a destra e poi a sinistra, formando una croce; stavolta potei distinguere la formula che aveva pronunciato durante il gesto – in nomine patris et filii et spiritus sancti (nel caso di un rito che abbia lo scopo di nuocere a qualcuno viene recitata all’inverso, dall’ultima lettera alla prima).
Miguel poi affondò la gabbia nel trou noir con due mani, tenendola ben salda e assorbendo con le braccia i violenti scossoni della vittima, che sembrava dibattersi con una forza enormemente superiore a quella che ci si potrebbe aspettare da un animale così piccolo. Mentre la teneva immersa respirava profondamente, quasi a voler incorporare mediante il respiro le forze sottili che si espandevano tutt’intorno da quel piccolo corpo. Così facendo, sussurrava a fior di labbra parole incomprensibili: credo parlasse a Santa Marta, per ricordarle lo scopo del sacrificio.
Dopo minuti che parvero interminabili, estrasse dall’acqua la gabbietta con la vittima ormai inerte; svolse il fula, aprì la gabbia e depose il corpo del colombo sulla pietra dell’altare. Impugnò poi il coltello sacrificale e si accanì su quel cadaverino con furia selvaggia: inflisse forse una quarantina di pugnalate, illuminando la penombra del tempio con miriadi di scintille.
Poi, repentinamente, ripose il pugnale sulla tovaglia intrisa d’acqua mista a sangue. Con la mano sinistra, afferrò quel che restava del colombo e lo protese verso l’immagine di Santa Marta. Lo tenne così, in muta offerta, per alcuni secondi, dopodichè alzò il braccio e senza voltarsi lo scagliò alle proprie spalle. Il povero colombo descrisse una traiettoria ad arco sopra la mia testa, e con un tonfo soffocato andò a cadere esattamente nel centro del veve.
Nell’attimo preciso in cui il colombo toccava terra, il corpo di Miguel ebbe un violento sussulto, come se si scuotesse da un sogno. Sbattendo le palpebre, cercò il mio viso nella penombra e, dopo averlo inquadrato, mi sorrise con espressione mite.
“Bene, Daniel” mormorò: “ora il veve è attivato.”