Fonte: L’Angelo dell’Abisso. Apollo, Avalon, il Mito Polare e l’Apocalisse, Axis Mundi Edizioni 2022, cap. I §12
Similmente agli iatromanti apollinei, la figura ricorrente dell’iniziato orfico ascetico e sempre itinerante lascia trasparire una comunanza di intenti esistenziali e squisitamente biografici prima ancora che religiosi stricto sensu che accomuna, come in un “filone dorato”, tutte le eminenze spirituali che operarono nell’area panellenica arcaica in quei secoli a noi così remoti. Come gli iatromanti anche ad Orfeo e ai suoi seguaci gli antichi attribuivano pratiche magiche e miracolose, ivi comprese la purificazione delle città dai “miasmi” e la cura attraverso l’arte musicale che poi fu comune anche ai Pitagorici, oltre al fatto che ovviamente anch’essi erano soliti dedicarsi alla ricerca rituale degli stati di coscienza “allargata” al fine di accedere alle dimensioni “sottili” frequentate nell’arco dei secoli della storia arcaica da tutti i “viaggiatori dell’aria“ di cui si è detto finora. Questi «cantori-cosmologi esperti nell’arte di purificare uomini e città, usi a girovagare continuamente predicando una dottrina di salvezza» indossando la tradizionale veste di lino bianco, ritenevano che l’anima fosse «congiunta al corpo per scontare qualche pena, ed in esso sepolta quasi in una tomba», imprigionata a causa di una specie di «Caduta» originaria; una credenza che impregnerà alcuni secoli più tardi gli ambienti gnostici. Similmente a questi ultimi, i quali si consideravano «pneumatici» contro una vastissima maggioranza di «ilici» e «psichici», pure gli Orfici erano soliti distinguere se stessi dalla massa amorfa dei non-iniziati; i «dormienti» e «coloro che non sanno» che fanno spesso capolino nei frammenti eraclitei e nell’opera platonica. Se infatti, citando nuovamente Platone, «la colpa è un’impurità dalla quale ci si deve liberare attraverso purificazioni rituali e iniziazioni che “sciolgono” l’anima dal corpo» (concepito metaforicamente identico a un «sepolcro», una «prigione» o un «vestimento») ne conseguirà logicamente che coloro i quali non hanno provveduto vita natural durante a purificarsi, una volta trapassati dimoreranno nell’Ade come se fossero «immersi nel fango», come sentenzia un noto frammento orfico.