di Roberto Assagioli
Noi, in generale, consideriamo le cose, gli elementi, le forze naturali, gli esseri viventi, i nostri simili, come ci appaiono ad una visione superficiale, cioè separati gli uni dagli altri e separati da noi, estranei e contrastanti fra loro e con noi.
Ma se invece apriamo la nostra coscienza, allarghiamo la circonferenza che ci limita dagli altri, vediamo che ogni cosa è manifestazione di un unico Principio e allora il nostro essere, il nostro cuore si apre e si espande in una effusione di puro amore spirituale. Verso l’umanità in generale, verso la grande massa che vive e che soffre nelle tenebre, agitata da passioni violente, la nostra fraternità, il nostro amore si manifesta come compassione.
La compassione vera non è una semplice emozione passeggera, ma si traduce in un desiderio, in un bisogno, in un proposito di aiutare efficacemente i nostri fratelli in umanità.
Ma quanto è difficile aiutare realmente, dal punto di vista spirituale! Spinti dall’emozione si vuole alleviare immediatamente la sofferenza senza rendersi conto delle cause profonde, del suo significato, dei suoi scopi.
Ma la vera compassione, il vero amore spirituale, considera ogni sofferenza personale e temporanea, non di per sé ma in rapporto all’Unità Suprema, al significato ed ai fini dell’intera manifestazione del processo evolutivo cosmico.
Questo ci rivela un’altra nota dell’amore spirituale: la saggezza.
L’amore spirituale non è solo sentimento, puro stato affettivo, ma sintesi di sentimento, di saggezza, di volontà.
Dobbiamo dunque considerare il male e le sofferenze dei nostri fratelli – come del resto le nostre – da un punto di vista unitario, universale. Solo così potremo aiutarli realmente, non combattendo gli effetti (ciò che riesce spesso vano) ma le cause.
Esse ci insegnano a considerare i nostri simili, non come dei corpi e delle personalità separate e fine a se stesse, ma come pellegrini lungo la via della manifestazione.
Allora tutto si trasforma: allora sentiamo più compassione per il malvagio che per il sofferente, per l’assassino che per la vittima; allora ci fa più pena chi si immerge nella materia e folleggia nei piaceri dei sensi, di chi, soffrendo, si purifica e si eleva. Allora vogliamo il vero bene delle anime, non il sollievo momentaneo ed illusorio delle personalità.
Il nuovo compito è ben arduo, ma incomparabilmente più benefico.
Certo, è più facile privarci del superfluo, dare ai poveri ciò che ci avanza, le briciole della nostra mensa, ed essere ripagati dal piacevole senso che dà l’appagamento della vanità e la soddisfazione di mettere in pace la propria coscienza!
Con ciò non si vuol dire che sia da escludere ogni aiuto pratico e materiale, ma esso va dato con saggezza e amore; dovrebbe cioè costituire l’occasione ed il veicolo di amore spirituale.
L’aiuto dovrebbe mirare a mettere il beneficato in condizioni di apprendere le lezioni che la vita gli vuol dare e quindi ad eliminare le cause dei suoi mali.
Verso i fratelli più vicini, verso coloro che sono presso a poco al nostro stesso livello, che lottano, che soffrono e procedono al nostro fianco, il nostro amore assume un carattere di comunione profonda, di intima fraternità. Tale amicizia fraterna, basata sul ciceroniano ‘unum velle et unum nolle’, dovrebbe esplicarsi continuamente in un libero e reciproco scambio di aiuti, in un sorreggersi a vicenda nei passi scabrosi della via che conduce alle vette. Con loro più che mai dovremmo sentire l’unità fondamentale che esiste fra le anime, dovremmo considerarci veramente uniti e solidali come ‘le dita di una mano’.
Verso le cose, gli elementi e gli esseri subumani in genere (piante, animali) fraternità pura e riconoscenza. L’amore altruistico non si limita ai membri della famiglia umana, ma può abbracciare tutte le creature viventi. Concetto, questo della fraternità, che è ben più elevato del concetto consueto, per il quale, nel praticare la benevolenza o la carità, si è tentati di sentirsi distinti e superiori al beneficato, e la carità sembra puramente sentimentale ed arbitraria, cioè non rispondente ad una legge necessaria, che regoli i rapporti tra gli esseri.
Anche l’opera più santa, quella di aiutare gli altri può essere fatta in modo inopportuno ed eccessivo. Non è bene lasciare che altri si appoggi troppo a noi. Se per bontà debole, per malintesa compassione, o per un segreto compiacimento della nostra vanità, lo permettiamo, facciamo del male a quelli a cui vorremmo giovare e ci assumiamo una grave responsabilità.
Il più prezioso aiuto che possiamo dare è quello di insegnare ad aiutarsi da sé.
E’ bene mostrare la via, dare i mezzi per percorrerla, accompagnare fin dove è concesso, sorreggere amorevolmente nei passi pericolosi – ma non è giusto accondiscendere addirittura a portare sulle spalle chi vorrebbe le gioie dell’altezza senza le salubri fatiche dell’ascesa.
Resistiamo con fermezza a simili pretese, anche a costo di far soffrire chi ci è caro, di essere accusati di poco amore – mentre lo facciamo in nome di un amore più alto e sapiente.
Più ancora che di aiuto materiale gli uomini hanno bisogno di aiuto spirituale. Tutti coloro che abbiano un po’ di luce, che abbiano compreso in qualche misura le grandi leggi della vita, le mirabili possibilità dello spirito, hanno il gioioso compito di trasmettere agli altri la loro forza e la loro unione.
Il primo e fondamentale dovere di ognuno di noi – anche perché è la base necessaria per ogni azione feconda – è pertanto quello di star saldi interiormente, di non lasciarsi travolgere dalle correnti individuali e collettive di preoccupazione, di paura, di disperazione.
Se cediamo a quelle emozioni e passioni, perdiamo il contatto spirituale, non vediamo più chiaro, e non possiamo dare aiuto agli altri, anzi pesiamo moralmente su di essi.
Occorre in realtà un capovolgimento di tutto il consueto modo di sentire e di reagire, che si acquista con l’uso fervido e costante di tutti i ben noti metodi di sviluppo interiore.
Così si può arrivare a mantenersi interiormente ‘au dessus de la melée’.
Questo – si noti bene – non costituisce affatto un’evasione o un ‘ egoismo spirituale’; lo sarebbe solo se ci portasse a disinteressarci dei dolori altrui e del travaglio del mondo chiudendoci in un guscio separativo; ma questo è agli antipodi di ogni vera spiritualità, che invece dà un senso crescente di unione con tutto ciò che vive, e suscita l’amore attivo.
La concezione spirituale della vita e delle sue manifestazioni, lungi dall’essere teorica, non pratica, è eminentemente rivoluzionaria, dinamica e creativa.
Il punto di vista spirituale produce quindi una serie di ‘rivoluzioni copernicane, sostituendo alle concezioni antropocentriche e personalistiche un ‘eliocentrismo’ spirituale che mette al giusto posto i fatti ed i problemi e soprattutto noi stessi.
Per giungere alla noce interna, tenera e sostanziosa, occorre togliere il mallo, aspro e irritante; spaccare il guscio scuro e tenace; levare delicatamente la sottile ma aderente pellicola.
Così l’uomo per manifestare la sua vera Sostanza, deve liberarsi dal rude ed aspro rivestimento esteriore della propria personalità, deve rompere il duro guscio del suo egoismo e del suo orgoglio, deve ancora liberarsi dal sottile velo separativo creato dalle sue stesse virtù.
Allora può nutrirsi di sé e altri nutrire.
Da: L’amore spirituale; Appunti di lavoro psico-spirituale; Lettera agli amici.