La coscienza cosmica non ha corpo ed è al di là del sesso e del genere, tuttavia i ricercatori spirituali, vivendo nel nostro mondo quotidiano, non lo sono. La maggior parte degli esseri umani è incapace di immaginare un’entità priva di genere. Lo dimostrano espressioni come ‘in Lui’ o ‘Dio Padre’. In certe tradizioni buddiste e indù la forma femminile è ritenuta inferiore al corpo maschile, il che impedirebbe alle donne di raggiungere la liberazione finché non rinascono come uomini. I dogmi maschilisti servono le istituzioni religiose dominate dagli uomini non meno di quanto servano a escludere le donne e a impedire loro di realizzare la pienezza del loro potenziale nella sfera secolare.
Alle donne viene detto che nella teologia non c’è posto per il femminismo. Alcune ricercatrici spirituali considerano il femminismo un movimento socialmente ostile e aggressivo, che contrasta con il fine spirituale della pace interiore. Ma un atteggiamento femminista non deve necessariamente essere stridente e accusatorio, o imprigionarci nel ciclo dell’azione e reazione. Dobbiamo semplicemente essere inflessibili e sagge nel riaffermare il ruolo delle donne nella storia della ricerca spirituale. Come nella sfera secolare, dove le donne non potevano pubblicare nulla sotto il proprio nome e perciò la loro opera non è documentata, così nell’ambito spirituale esse sono state viste più come oggetto di desiderio da trascendere che come compagne sul cammino dell’auto-realizzazione.
La biografia della monaca buddista Tenzin Palmo, La grotta nella neve, di Vicki Mackenzie, fornisce una testimonianza delle interpretazioni e adulterazioni delle scritture messe in atto per impedire alle monache buddiste l’accesso agli insegnamenti esoterici. A onta di queste umiliazioni, l’inglese Tenzin Palmo (che è stata la seconda donna occidentale soltanto a essere ordinata monaca buddista) ha continuato a cercare di comprendere le proprie radici tramite gli insegnamenti buddisti. Buddha aveva raccomandato agli aspiranti ricercatori spirituali di visualizzare l’interno del corpo (sangue, viscere, pus ed escrementi) per liberarsi da ogni attaccamento alla forma umana. Ma alcuni secoli dopo, nel primo secolo AD, i testi buddisti riservavano ormai questa grottesca visualizzazione esclusivamente al corpo femminile.
Questa interpretazione misogina, secondo Tenzin Palmo, fu probabilmente conseguenza della polarizzazione fra uomini e donne instaurata da monaci che vedevano nelle donne la fonte della tentazione, e perciò il nemico. Buddha non ha mai affermato che le donne siano qualcosa di sporco o che non possano raggiungere l’illuminazione. Una conseguenza del portare la colpa del desiderio degli uomini fu il fatto che alle monache fu negato l’accesso a pratiche tantriche miranti all’illuminazione. Peggio ancora, il loro senso di autostima venne demolito. “Una volta,” scrive Tenzin Palmo, “feci visita a un monastero le cui monache erano appena tornate da una cerimonia in cui avevano ricevuto degli insegnamenti impartiti da un alto lama. Il lama aveva detto loro che le donne sono impure e il loro corpo è inferiore. Erano così depresse. La loro immagine di sé era sottoterra. Com’è possibile costruire una pratica spirituale autentica, quando da ogni lato ti si dice che non vali nulla?” La svalutazione del contributo delle donne alla vita e alla comunità spirituale non è tipico soltanto della cultura buddista, ma di tutte le società patriarcali.
La dicotomia migliore/peggiore
La discriminazione spirituale a danno delle donne era già in atto molto prima del buddismo, in epoca vedica. Anche le donne contribuirono alla stesura dei Veda, secondo il guru di Ananda Marga, Anandamurti. Egli racconta che alle donne, così come ai membri delle caste inferiori, non era permesso ripetere i mantra vedici, per esempio il mantra aum. “Né era permesso loro, per quanto colte, di ascoltare tali canti sacri; e si insegnava loro che, per quanto una donna potesse essere spiritualmente avanzata, doveva comunque rinascere come uomo per poter raggiungere la liberazione. Questo tipo di propaganda fu diffusa a lungo da opportunisti.”
Le interpretazioni distorte persistono ancor oggi e anche in Occidente. Le differenze vengono tradotte in una dicotomia ‘migliore/peggiore’ che nuoce all’insegnamento dello yoga. Questo vale, per esempio, per la ghiandola paratiroidea, che è meno sviluppata nelle donne (Singh 1998: 146). Ma, se la struttura ghiandolare delle donne è diversa da quella degli uomini, devono esserci delle pratiche yogiche specializzate per la yogini. Specialmente in Occidente, dove buona parte degli studenti di yoga sono donne, le differenze dovrebbero essere trattate in maniera costruttiva e pratica.
Analogamente vi è una carenza di modelli per una pratica spirituale specializzata al femminile. Lo yoga è una scienza sperimentale. La conoscenza di questo sistema ci è stata tramandata dagli antichi rishi, che osservarono gli effetti di vari cibi, posizioni e tecniche di meditazione sul proprio corpo e sulla propria mente. Sarebbe ragionevole che le aspiranti facessero riferimento alle scoperte di yogini avanzate per comprendere la propria pratica e per esserne guidate. Ma dove sono queste yogini? Ancora una volta, la condizione secolare delle donne ha effetti profondi sulla nostra vita spirituale. In molte società le donne non erano libere di errare attraverso il paese, dedicandosi alla ricerca spirituale: venivano invece praticamente vendute in matrimonio. Anche le poche yogini che sono riuscite a sfuggire a questa schiavitù, o che sono state aiutate dai mariti nella loro pratica spirituale, non hanno lasciato resoconti della loro vita facilmente accessibili come la Autobiografia di uno yogi di Yogananda o come La mia vita con i maestri himalayani di Swami Rama.
Non sorprende che rituali pagani abbiano acquistato una crescente popolarità a partire dagli anni Sessanta, in quanto celebrano la natura misteriosa della forma e della sessualità femminile. Le donne tornano a essere elevate al livello delle matriarche, il ciclo mestruale torna a essere visto come un legame con i ritmi della natura e dell’universo, una simbiosi con il ciclo della luna, e il ruolo della donna torna a essere quello di donatrice della vita. I riti della fecondità celebrano le donne come espressione della forza vitale e perciò come esseri intensamente mistici e spirituali. Questa dev’essere stata una vera rivelazione per le donne della passata generazione, ancora sotto l’impatto della teoria freudiana, che le considerava come ‘maschi isterici’ e che vedeva nell’utero la fonte delle psicosi. Non sorprende che molte donne si siano avvicinate a riti pagani di ogni genere per affermare la propria sessualità e per sfuggire a dottrine religiose maschiliste e a organizzazioni dominate dai maschi. Ciò nonostante, per la yogini devota, il problema di trovare insegnamenti e un modello di comportamento spirituale femminile rimane.
La biografia di Tenzin Palmo narra la sua personale inchiesta sulla condizione delle ricercatrici donne e il suo tentativo di trasformare la faccia maschile del buddismo tibetano. Tenzin Palmo intende fondare un monastero dedicato all’eccellenza spirituale femminile: “un luogo che non solo educhi le donne al dogma religioso, ma le trasformi in yogini, donne che hanno realizzato la verità interiore.” Quel monastero resusciterà le speciali pratiche inventate da Rechungpa, una discepola di Milarepa, e messe in atto dalle yogini Togdenma per aiutare le donne a raggiungere lo stato di Buddha. Queste iniziative, insieme alla determinazione esplicitamente dichiarata da Tenzin Palmo a raggiungere l’illuminazione in un corpo femminile, sono di grandissimo beneficio nell’ispirare altre donne che intraprendono il cammino spirituale.
Probabilmente molte altre donne si assoceranno a questi sforzi: perché, quando si cominciano a formulare domande in precedenza impronunciabili, altre domande sorgono spontaneamente. È un fatto determinato socialmente o spiritualmente che le incarnazioni di Dio siano sempre maschili? Forse quelle società non erano pronte ad ascoltare la parola di Dio da una voce femminile. Ma una tale voce sarebbe stata di immenso aiuto alla nostra causa e ci avrebbe dato grande ispirazione e libertà dall’odio verso noi stesse. È veramente il destino della donna quello di essere la biblica ‘aiutante’ dell’uomo? Non può la donna essere una personalità storica e spirituale autonoma? Dobbiamo credere, come fanno molti fondamentalisti cristiani, che la servitù della donna sia sanzionata da Dio? Nel nostro yogico tentativo di bruciare l’ego e fonderci con la realtà suprema, dov’è la via di mezzo fra un atteggiamento di dominio e uno di inefficace auto-cancellazione?
Quando una ricercatrice spirituale accetta un guru maschio, può solo trarre beneficio dalla sua guida se questi affronta i problemi delle donne apertamente e direttamente, denunciando le falsità relative alla presunta inferiorità femminile e le ingiustizie presenti nella vita spirituale. Anandamurti afferma che uomini e donne hanno un’uguale capacità di raggiungere la liberazione, la quale in senso ultimo non dipende dal corpo fisico: “Poiché l’anima non ha sesso, è ingiustificato discriminare fra il potenziale degli uomini e quello delle donne nelle pratiche spirituali. Tuttavia certi aspetti della pratica riguardano il corpo e la mente, perciò è necessario prendere in considerazione le differenze ghiandolari fra uomini e donne e i loro possibili effetti sulla mente.” Da vero maestro spirituale, affronta l’erosione sociale dell’autostima femminile prescrivendo, fra l’altro, una danza yogica, detta Kaoshiki, che promuove la salute, la resistenza fisica e la fiducia in sé delle donne – oltre a prendere posizione senza compromessi contro tutti gli atteggiamenti e le pratiche che degradano le donne. In questo modo un vero guru, donna o uomo che sia, può efficacemente guidare gli aspiranti sul cammino spirituale verso un punto che è al di là della consapevolezza dell’identità di genere.