Monologo tratto dalla canzone-prosa “Una nuova coscienza” di Gaber – Luporini 1996 (Gaber 96/97, compresa nell’album Un’idiozia conquistata a fatica 1998).
Io come uomo io vedo il mondo come un deserto di antiche rovine.
Io vedo un uomo che tocca il fondo ma forse al peggio non c’è mai una fine.
Nel frattempo la vita non si arrende e la gente si dà un gran da fare tanti impegni tante storie
con l’inutile idea di colmare la mancanza di una nuova coscienza di una vera coscienza.
[parlato] È come se dovessimo riempire un vuoto profondo. E allora ci mettiamo dentro: rimasugli di cattolicesimo, pezzetti di sociale, brandelli di antichi ideali, un po’ di antirazzismo, e qualche alberello qua e là.
La decadenza che viviamo è un malessere che ci prende pian piano.
È una specie di assenza che prevede una sosta obbligata è la vita che medita ma si è come assopita.
Siamo vivi malgrado la nostra apparenza come uomini al minimo storico di coscienza.
[parlato] È come se la vecchia morale non ci bastasse più. In compenso se ne sta diffondendo una nuova che consiste nel prendere in considerazione più che altro i doveri degli altri… verso di noi. Sembrerà strano ma sta diventando fortemente morale tutto ciò che ci conviene.
Praticamente un affare.
La decadenza che subiamo è uno scivolo che va giù piano piano.
È una nuova esperienza che ti toglie qualsiasi entusiasmo e alla lunga modifica il tuo metabolismo.
Siam lì fermi malgrado la grave emergenza come uomini al minimo storico di coscienza.
[parlato] E pensare che basterebbe pochissimo. Basterebbe spostare a stacco la nostra angolazione visiva. Guardare le cose come fosse la prima volta. Lasciare fuori campo tutto il conformismo di cui è permeata la nostra esistenza. Dubitare delle risposte già pronte. Dubitare dei nostri pensieri fermi, sicuri, inamovibili. Dubitare delle nostre convinzioni presuntuose e saccenti. Basterebbe smettere di sentirsi sempre delle brave persone. Smettere di sentirsi vittime delle madri, dei padri, dei figli. Smascherare, smascherare tutto: smascherare l’amore, il riso, il pianto, il cuore, il cervello. Smascherare la nostra falsa coscienza individuale.
Subito. Qui e ora.
Sì, basterebbe pochissimo. Non è poi così difficile. Basterebbe smettere di piagnucolare, criticare, fare il tifo e leggere i giornali. Essere certi solo di ciò che noi viviamo direttamente. Rendersi conto che anche l’uomo più mediocre può diventare geniale se guarda il mondo con i suoi occhi. Basterebbe smascherare qualsiasi falsa partecipazione. Smettere di credere che l’unico obiettivo sia il miglioramento delle nostre condizioni economiche perché la vera posta in gioco… è la nostra vita. Basterebbe smettere di sentirsi vittime del denaro, del lavoro, del destino e persino del potere, perché anche i cattivi governi sono la conseguenza naturale della stupidità degli uomini. Basterebbe rifiutare, rifiutare la libertà di calpestare gli altri, ma anche la finta uguaglianza. Smascherare la nostra bontà isterica. Smascherare la nostra falsa coscienza sociale.
Subito. Qui e ora.
Basterebbe pochissimo. Basterebbe capire che un uomo non può essere veramente vitale se non si sente parte di qualcosa. Basterebbe abbandonare il nostro smisurato bisogno di affermazione, abbandonare anche il nostro appassionato pessimismo e trovare finalmente l’audacia di frequentare il futuro con gioia.
Perché la spinta utopistica non è mai accorata o piangente. La spinta utopistica non ha memoria e non si cura di dolorose attese.
La spinta utopistica è subito. Qui e ora.
Io come uomo io vedo il mondo come un deserto di antiche rovine.
Io vedo un uomo che tocca il fondo ma forse al peggio non c’è mai una fine.
Perché non c’è nessuno che dia un senso alle cose più semplici e vere alla vita di ogni giorno
all’urgenza di un uomo migliore.
Io vedo un uomo solo e smarrito come accecato da false paure.
Ma la vita non muore per le bombe per la plastica o le acque del mare e le ansie un po’ inventate
son pretesti per non affrontare la mancanza di una vera coscienza che è la sola ragione
della fine di qualsiasi civiltà.