Il Manifesto del Surrealismo nacque nel 1924, con l’intento di creare una nuova società, che tenesse conto delle opere e delle scoperte di Freud, Einstein e degli altri promotori dell’epoca moderna. Il suo concetto essenziale esaltava il simbolo trascendente che si evinceva dal sogno, dalla meraviglia, dalla pura follia, in contrapposizione al ragionamento positivista imperante all’epoca. In questo contesto, Salvador Dalì volle tradurre nella sua opera una sorta di paranoia critica, al fine di dare forma e contenuto alle visioni oniriche. L’intero programma surrealista faceva appello al concetto Conosci te stesso. Forse per questo, nell’anima surrealista vi era una profonda e palesata determinazione, quella di trasformare la vita e con essa l’intero mondo, come un grandioso procedimento legato all’Arte Regia. Da qui la passione surreale per ogni fenomeno che portasse a scoprire l’inconscio, ovvero l’Io più profondo e nascosto, una sorta di pietra filosofale. Questo percorso condusse, sia in questa corrente artistica, sia nella vita del grande Dalì, ad una importante considerazione che vide la donna e l’amore come parti integranti di un percorso iniziatico. Infatti, conoscere se stessi, equivaleva ad accettare l’assimilazione della parte femminile esterna, realizzando ciò che in alchimia viene definita androginia, ovvero fusione degli opposti. La visione surrealista divenne parte integrante del pensiero cabalistico e alchemico, dove l’uomo e la donna si fondono tra loro per creare la perfetta androginia, la Coincidentia Oppositorum, su cui Benjamin Péret, altro fautore di questa corrente, fece una sintesi creativa: ‘Un essere doppio, perfetto, singolo, che forma un’unità di felicità umana’. Secondo André Breton, il creatore del Surrealismo, occorreva considerare che la donna era colei che donava l’inizio ad ogni cosa e portava la salvezza, ovvero la Luce. Egli sosteneva che la donna amata era «la pietra angolare del mondo materiale» e condivideva con la divinità la virtù della «giovinezza eterna» in quanto «il tempo non ha presa su di lei». L’amore-illuminazione è un tema presente negli scritti cabalisti, così come quelli alchemici e richiama alla mente la corrente iniziatico-esoterica dei Fedeli d’Amore, dove la donna in realtà non era altro che Sophia, in altre parole la Scienza Sacra, legata all’illuminazione e al raggiungimento degli ideali superiori e sottili della conoscenza, proprio come nel Surrealismo. Nello stesso tempo, anche per Salvator Dalì la donna, ovvero Gala, fu colei che gli permise di realizzare questa fusione, una sorta di Rebis alchemico. Salvador Dalì da sempre attratto dal mistero e dal paranormale disegnò un mazzo di tarocchi che divenne celebre. Ogni lamina, pur essendo un’opera d’arte, mantiene intatto l’antico simbolismo ermetico dei tarocchi. Gli Arcani Maggiori mostrano, come Dalì stesso ebbe a dire più volte, l’influenza esercitata da quello che fu il suo maestro spirituale, ovvero il ricercatore esoterico e occultista Eliphas Levi. Infatti, queste opere riportano le attribuzioni di lettere ebraiche di quest’ultimo, insieme alle corrispondenze astrologiche. Dalì riprese le simbologie legate alla cabala e all’alchimia, base della ricerca di Levi, anche in alcune sue performance. Come non ricordare, una conferenza, definita planetaria, realizzata il 1° giugno 1954, nel Palazzo di Villa Pallavicini a Roma. Dalì usciva da un cubo metafisico, tenendo un discorso in latino. Sul cubo erano presenti le magiche iscrizioni di Raimondo Llullo (1235-1314/5), alchimista per eccellenza. La ricerca di Raimondo Llullo prevedeva l’uso e la combinazione di simboli alfabetici inseriti nell’arte mnemonica, utilizzata nel Medioevo, e soggetta a una profonda condanna, per via dei numerosi collegamenti analogici e magici a cui poteva dar luogo. Molte simbologie esoteriche sono presenti nelle opere di Salvador Dalì, come per esempio nel Tavolo Solare appare un paesaggio onirico, ove il deserto impera attraverso una luce accecante, e l’alto si confonde col basso. Appare poi un cammello che rappresenta l’animale impuro, in rapporto con la morte, quasi come se il contatto col mondo onirico e le sfere sottili della percezione portassero ad una sorta di oblio, molto vicina alla morte. Nella parte destra del dipinto troviamo due barche, simbolo del viaggio, della traversata compiuta dai vivi e dai morti. In questo modo sia il cammello che la barca sono mezzi attraverso i quali percorrere una zona e comprenderne il significato. La figura umana di un ragazzino in controluce, appare sagomata, quasi fosse un buco nero nell’intera opera, e si trova vicino a dei reperti antichi, ovvero le testimonianze del mondo antico. Nel centro del dipinto, ecco il tavolo solare. Il cerchio è la sua forma, ed evoca il cielo, quindi la perfezione. Non a caso appare solarizzato e quindi permeato di un’energia attiva e propositiva che è quella che genera ogni forma di vita. Sopra di esso vi sono tre bicchieri, numero magico e perfetto per eccellenza, che indicano il triangolo, ovvero la fiamma che si estende verso l’alto. Il tavolino ha quattro piedi, così come questo numero viene ripetuto nella pavimentazione composta da quadrati. Questi rappresentano la terra e la materialità. Quindi, partendo dalla forma materiale e terrena (quadrato), si sviluppa l’esaltazione del mondo superiore (cerchio), sul quale si esprime la fiamma generatrice di ogni tipo di vita (triangolo numero tre). L’intera opera pare quindi una sorta di tessitura che evoca il principio della creazione fino a giungere al disfacimento, non prima però di aver effettuato il grande viaggio attraverso la vita e le sue forme. (Marina Paltronieri)