Mi convinco sempre più che non è assolutamente facile essere consapevoli del proprio condizionamento, né tanto meno della rete di influenze in cui la maggior parte di noi resta impigliato. Tutto quanto avviene durante la nostra “plasmazione” appare a tutti noi quanto mai naturale, spontaneo, poiché avviene gradualmente, in un contesto che ne asseconda completamente la realizzazione. Ci si ritrova così ad essere paradossalmente prigionieri in quella stessa rete da noi tutti lentamente e pazientemente intessuta nell’arco dei millenni.
In ambiente religioso, solo per fare un esempio, questo aspetto — nonostante molti credenti rifiutino di accettarlo nel profondo di se stessi — si evidenzia con particolare nitidezza.
In quel preciso caso è l’insegnamento che produce il condizionamento, è lui il padre dell’inganno.
Il condizionamento si insinua lentamente, progressivamente seduce la mente, sino spesso a soggiogarla del tutto. Irrompono allora, nella stessa mente, espressioni tanto assolutistiche quanto suggestive, che divertono spaventosamente gli ignari adepti — trasformati in meri spettatori di se stessi — dalla realtà delle cose e dei fatti.
Proprio queste “espressioni” difatti, a mio avviso, sono all’origine di tutta quella marea di false e radicate convinzioni che riescono a trovare sostegno solo nelle comode ed imperscrutabili teorie del “mistero”. Il “mistero”, sì, proprio lui, il sotterfugio abilmente ingegnato, sotto il quale si seppelliscono comodamente tutti i quesiti che si vuole far rimanere senza risposta. Dove non si arriva con la mistificazione si ricorre al mistero: una vera comodità, non credete?
Dal condizionamento culturale all’incantesimo il passo è breve. L’incantesimo ne rappresenta difatti il grado successivo, la ratifica del plagio. Si veda difatti che a causa di questa specie di incantesimo, e a seconda del livello di suggestione, alcuni credenti riusciranno addirittura a percepire la raggiante figura di Maria — madre di Gesù — di un Santo, di altre magiche figure, o di un fiabesco Gesù (e questo, chiaramente, a danno della grande persona che egli davvero fu e del profondo messaggio che cercò di diffondere). Essi, in quanto credenti indotti, quando hanno queste visioni (entrate ormai, forse irrimediabilmente, nell’immaginario collettivo) credono davvero di avere a che fare con qualcosa di reale, autentico, unico, e non riescono più a rendersi conto che nel preciso momento in cui essi percepiscono quelle “presenze”, da una qualche altra parte del globo, ci sarà certamente un religioso nepalese che sta contemplando — anch’egli persuaso della veracità e dell’unicità di quella manifestazione divina — ad esempio, Tara Bianca, e poi un anziano Sioux che starà visualizzando Wakan, e un Irochese che venera la sua figura di Orenda, in Nuova Guinea saranno davanti a un Totem, al Cairo saranno rivolti verso la riproduzione mentale di stampo maomettano di Allah e così via…
Fatto sta che ad ognuno di essi è stata instillata la convinzione che ad essere in pieno errore sia sempre l’ altro, quello dall’altra parte del globo, non lui, perché lui ha in mano la religione autentica…..
La realtà è che nessuno di questi riesce ad essere Consapevole di quanto sia stato profondamente influenzato. Paradossalmente il credente indotto sente tutto, comprese le cose più inverosimili. L’unica cosa che questi cosiddetti “soggiogati” non riescono più a percepire, stranamente, è proprio la realtà – la realtà della loro illusione, del plagio a cui sono stati sottoposti, la realtà di quel quid fittizio che ha ormai affondato profonde radici in loro, utilizzando come mezzo proprio l’ordinaria formazione culturale, quella tipica del contesto sociale in cui sono stati “plasmati”.
Il cristiano cattolico cosiddetto “ispirato”, ad esempio, avverte limpidamente dentro di sé ciò che ha interiorizzato, cioè il proprio *Gesù divinizzato*, ma la stessa cosa accade anche ad ogni muslim ben disciplinato, a cui si mostra il “Dio” che Maometto ha stabilito per lui.
Cosa ancor più sorprendente è che entrambi ostentano la maggior grandezza dell’uno rispetto all’altro, tutto questo senza minimamente avvedersi dell’illusione che ha ammaliato la loro mente.
Il cristiano, diciamo così, “scolastico” è vessato dalla “sua” idea trinitaria proprio come lo è l’Indù per la “sua” Trimurti brahmanica, ma entrambi non se ne capacitano. Vi sembra possibile?
Quell’indubitabile presentimento, che in alcuni aderenti al cattolicesimo o all’ebraismo situa il Creatore biblico al di sopra di ogni altra entità divina, è il medesimo che all’Algonchino fa collocare Manitù, e che ad alcuni indiani dell’India fa mettere Vishnu, Lakshmi o chissà chi.
Credo che perseverare in questi convincimenti senza accorgersi di quanto il contesto in cui ci si è “formati” abbia influito ed “inquinato” la nostra essenza originaria, rende inguaribilmente schiavi all’interno della propria ristretta cornice, rimuovendo totalmente ogni facoltà di vedere oltre.
Se non comprendiamo questo millenario abbaglio, resteremo arenati all’idea che di Zeus avevano nel pantheon greco, similmente non riusciremo a discostarci molto dalla considerazione che avevano gli antichi egizi per il loro Faraone, e avalleremo implicitamente gli approcci dell’ufomane odierno nei confronti del suo Rael, o dello spiritista per il suo medium, o dello scettico-empirico per l’ateismo, o del negazionista per il Nichilismo, o del razionalista per lo scientismo, o del positivista per l’agnosticismo, o ancora del possidente per il capitalismo, e del proletario per il collettivismo, o dei cultori del male per il satanismo, ecc… ecc… ecc… e resteremo sempre tutti estremamente lontani dalla “percezione di realtà”.
Spesso inoltre — e la storia ne è testimone — si eccede davvero troppo, e si degenera pericolosamente, ed alcune “correnti di pensiero” si ritrovano paradossalmente a mistificare e a mitizzare, perniciosamente, ciò che essi stessi si sono auto-imposti di credere; le graduali persuasioni si trasformano così in una vere e proprie allucinazioni collettive, in una sorta di potente droga (da qui le statuette sanguinanti, i suicidi di massa, le crociate, i riti satanici, le jihad islamiche e via via a peggiorare).
In nome della “ubi unus dominus, ibi una religio” si è sparso davvero troppo, troppo sangue!
Credo che — se davvero abbiamo intenzione di migliorare la società — sia giunta l’ora di dare un taglio netto! L’uomo è rimasto per troppo tempo incatenato ad un tipo di spiritualità arcaica, ed essa, figlia di una “religiosità istituzionalizzata”, è la stessa che non gli ha mai permesso di liberarsi dell’idea del mito, così, ancora oggi, ci vediamo costretti ad osservare impotenti un uomo che resta irrimediabilmente nascosto a se stesso…
Pur tuttavia, ognuno ha il diritto/dovere di proseguire nel proprio “sincero cammino d’amore” (se è davvero così che lo avverte), poiché non sempre la Consapevolezza dei propri veli e delle proprie deviazioni conduce alla vera Com-passione per il prossimo o a comprendere le complessissime forme d’interdipendenza…
Chiedo scusa se fin qui, sono stato eccessivamente duro e forse contraddittorio ma (come al solito) ho scritto di getto senza troppo badare allo stile o alla diplomazia; se qualcuno si è sentito ferito dalle mie parole spero ne vorrà cogliere esclusivamente occasione per un profondo spunto di riflessione e non per sterili polemiche. Ma procediamo oltre….
Gesù disse:«…Il Regno di Dio è dentro di voi…
… colui che conosce tutto, ma ignora se stesso, è privo di ogni cosa.»
Perché Gesù fece questa esortazione? Gesù ci ha chiaramente invitato a ricercare intensamente la Verità in noi stessi. Voleva rivelarci che l’ultima realtà siamo noi stessi, l’ultima verità siamo noi stessi, la *Persona Suprema* siamo noi stessi.
Gesù disse: «Colui che cerca non desista dal cercare, fino a quando non avrà trovato; quando avrà trovato sarà commosso e si stupirà, allora farà meraviglie, contemplerà e regnerà sul Tutto»
Solo centrando il nostro essere potremo comprendere nell’essenza il significato dell’invito di Gesù.
Gesù disse: «Chiunque trova la spiegazione di queste parole non gusterà la morte»
È altrettanto vero che solo nello stato di *non-mente* possiamo arrivare a conoscere ciò che è Divino, e ognuno di noi può raggiungere questo stato tramite la propria realtà superiore, non inquinata.
Non è possibile conoscere ciò che è eterno tramite il semplice pensiero o la mera riflessione.
Il pensiero è confinato nei suoi limiti e non può penetrare né comprendere la sfera superiore del nostro essere. Nessuna religione, nessuna filosofia, nessun sistema di pensiero può rivelare con parole ciò che è divino, immutabile ed eterno.
Anche fra i più grandi ed apprezzati personaggi noti a tutti noi (scienziati, filosofi, teologi, psicologi), dotati di genio e grande acume intellettuale, sicuramente ben pochi sono riusciti a penetrare l’essenza più intima e segreta dell’essere, e quasi tutti hanno lasciato il corpo ancora ciechi, senza aver mai offerto veramente a se stessi la possibilità di *conoscere*.
A tal proposito mi torna alla mente un commento di Sogyal Rinpoche al suo primo incontro con la cultura occidentale: «Quasi tutti muoiono impreparati a morire così come hanno vissuto impreparati a vivere».
Dobbiamo ammettere che è vero, nell’attuale contesto culturale sin dalla nascita ci convinciamo, abituandoci poco a poco all’idea, che la parte di noi da conservare e curare e sulla quale dirigere la totalità delle nostre attenzioni, sia quella *esterna* e difatti anche la medicina, come tutti possiamo vedere, ha proceduto sinora perlopiù in tal senso.
Per contro nella realtà quotidiana, ognuno di noi può constatare che solo curando l’interno di se stesso riuscirà ad ottenere risultati veramente duraturi ed apprezzabili. Ciò insegna che ogni malattia che emerge a livello del fisico rappresenta in realtà soltanto il mero riflesso di un *male* interiore.
Al giorno d’oggi possiamo comunque affermare, con un certo margine di sicurezza, che anche la medicina cosiddetta *ufficiale*, nella branca della psicosomatica, inizia a riconoscere che ogni malattia fisica è in realtà mera manifestazione visibile di un disagio profondo, spesso inconscio.
Questo male dell’intimo viene riflesso dallo *specchio interiore* e approda in superficie rendendosi visibile.
La scienza medica non ha più molti dubbi a riguardo, lo ha finalmente ammesso: era inevitabile che prima o poi ciò accadesse.
Ogni male fisico visibile all’*esterno* è evidentemente un’eco che rivela sofferenze interiori, che palesa malesseri più sottili e remoti, difficilmente identificabili nella loro vera origine, malesseri che sfuggono, nella loro natura, anche ad accuratissime visite mediche (lo so per averlo sperimentato personalmente) incapaci di comprendere l’intimo del nostro essere.
Baghwan Rajneesh afferma: «…le malattie sono alla periferia: dove tu esisti veramente, non esistono malattie».
Questo è senza dubbio vero, dove noi esistiamo veramente non esistono malattie.
Quando realizziamo consapevolmente chi siamo veramente, diveniamo omnicomprensivi e si aprono dinanzi a noi, uno dopo l’altro, luminosi spiragli. In quel momento iniziamo finalmente a vedere il nostro essere con tutto ciò che lo circonda, nella globalità, ed otteniamo così una visione d’insieme, scorgendo in ogni cosa l’essenza e la luce che gli è propria.
Quando “realizziamo con consapevolezza” iniziamo a comprendere l’essenza di ogni cosa, ci liberiamo poco a poco dalle illusioni e troviamo finalmente il nostro posto nell’armonia del tutto, iniziando così ad inserirci gradualmente in esso e trovando sublime conforto.
In questo nuovo stato di consapevolezza, il senso di ogni patologia viene compreso e di conseguenza il male si attenua sino spesso a svanire del tutto, i suoi effetti dapprima si riducono divenendo più sopportabili, e successivamente, esaurito il proprio scopo, abbandonano definitivamente il nostro essere.
Da ciò si evince che alcune malattie nascono in noi perché eludiamo la conoscenza di noi stessi. Esse si rivelano quindi per avvertirci che siamo fuori rotta e tentano di riportarci in traiettoria.
Molti mali fisici potrebbero essere visti pertanto come campanelli d’allarme, come intimi richiami che iniziano a “suonare” quando divergiamo troppo dal nostro sentiero karmico.
Quanti di noi però sono in grado di riconoscere questi allarmi?
Quanti riescono a scoprire il senso dei loro mali?
Troppo spesso ci rifiutiamo di dare ascolto a questo inequivocabile segnale, allo stesso modo in cui ci rifiutiamo di guardare in noi stessi ed evitiamo così l’incontro fondamentale della nostra esistenza.
Perché questa paura nell’affrontare se stessi?
Perché rimuoviamo così decisamente questa naturale inclinazione?
La società ha grandissime responsabilità in questo senso.
Tutti possiamo amaramente osservare una società che punta all’avere piuttosto che all’essere.
La maggior parte degli uomini preferisce puntare il mirino fuori dal bersaglio e si perde nell’insensatezza.
Tutti possiamo vedere un uomo che ha ormai il potere di distruggere l’intero pianeta ma non ha ancora minimamente penetrato il senso della sua esistenza.
Ricordate quando eravate bambini?
Quanti di voi riescono a ricordare le proprie percezioni infantili?
Questa è una società che ripudia la naturalezza del bambino.
In questa società quando il bambino nasce non viene accettato per quello che è, l’adulto vuole cambiarlo, disciplinarlo con forzature e punizioni di ogni tipo.
Nella realtà il cucciolo d’uomo ha moltissime qualità che noi abbiamo invece irrimediabilmente perduto, e il primo a ricordarcelo è stato proprio Gesù, il bambino ha ancora insite in sé le qualità divine: purezza, sincerità, sensibilità, dolcezza, tenerezza, premurosità, schiettezza e amorevolezza, sono solo alcune di esse.
L’ignaro ed inconsapevole genitore, ormai profondamente condizionato dal proprio contesto sociale, non è in grado di ricordare, non sa più riconoscere quelle qualità come essenziali e, pensando di far bene, non accetta che si manifestino nel bambino, adoperandosi così in uno scrupoloso lavoro di repressione, negazione e rimozione forzata di quei doni di Dio.
Se proviamo per un attimo ad identificarci nel *frugoletto* lo scopriremo costretto ad escogitare soluzioni, vedremo un bambino obbligato a negare molte parti di sé, parti alle quali non viene concesso il permesso di manifestarsi.
Noteremo un bambino impegnato in un penoso compito: negare la sua natura, negarla fino al punto da diventarne inconsapevole.
Questo è il patetico processo repressivo che si insinua nel tessuto sociale.
Un processo coercitivo che padroneggia nella cultura di massa creando struggenti e sistematiche ripercussioni, suscitando gli evidenti, disumani danni, che noi tutti quotidianamente possiamo osservare.
Questo è il meccanismo su cui si fonda l’intera società: la repressione.
Le qualità umane vengono sin dall’inizio represse e relegate in un angolo buio, ma esse vogliono affermarsi naturalmente e cercano di ribellarsi, di reagire, vogliono venire alla luce e ci spingono così ad una incessante lotta interiore contro quel soffocante condizionamento legato inscindibilmente ad un’errata formazione culturale che tenta di reprimere le nostre sane e naturali inclinazioni.
Ma cosa succede, viene da chiedersi, a quella parte di noi stessi che abbiamo represso?
Perché la sentiamo così spesso riemergere?
E perché è così grande in molti la paura d’incontrarla?
Queste sono, a mio avviso, le domande prioritarie che ogni serio ed onesto ricercatore spirituale deve necessariamente porre a se stesso.
Chi è fermamente deciso a riscoprire il senso dell’esistenza e vuole con determinazione mostrare la totalità di se stesso a se stesso, dovrà anzitutto abbandonare il suo ego; solo così potrà trovare risposte sincere a quelle domande.
Quelle risposte rappresenteranno, nel cammino, il superamento di un primo gradino, ma chi ha deciso di conquistare la vetta dovrà trascendere completamente il suo ego ed avrà bisogno di una guida fedele ed autentica che apra il suo occhio… quella guida ha un solo nome: consapevolezza.
Chi invece non si sente pronto o pensa che non sia importante penetrare il senso di questa misteriosa esistenza, non si preoccupi di ricercarlo, non è evidentemente chiamato a questo compito. Resti pure nel suo confortevole bozzolo illusorio, se lo desidera, ma non cerchi di convincere altri a seguire il suo esempio.
Concludo ribadendo un concetto a me caro: a mio avviso nessuno dovrebbe concentrare la propria attenzione su ciò che ad egli appare come giusto o sbagliato, ma piuttosto cercare di comprendere la vera origine di ogni evento, la composizione intrinseca. Il nostro giudizio non è in grado di modificare le cose, né può renderle migliori. Quando avremo Consapevolezza della natura di ogni evento realizzeremo che nulla può essere considerato giusto o sbagliato, ma solo compreso nel suo moto di totale interdipendenza.