Fabbrica strumenti musicali con oggetti riciclati. «A scuola la materia che odiavo di più era musica poi un parente mi ha portato un flauto dalla Persia. Da allora non ho più smesso»
Di: Simone Fanti
Il tempo si è fermato nel ricetto di Candelo, in provincia di Biella: i vecchi magazzini medievali, quasi congelati nel tempo, sono rimasti immutati davanti alla storia e alle genti che si sono succedute nel collocarvi provviste e oggetti. Le poche botteghe accolgono ancora artigiani dai mestieri antichi, un’osteria, alcuni artisti e pittori. E poi c’è Guido Antoniotti, 64 anni, ex fotolitografo disoccupato, «in attesa della pensione». Davanti al suo laboratorio è quasi impossibile non fermarsi. Sulle mura di pietra, infatti, sono appesi strani strumenti musicali. Flauti realizzati con tubetti da irrigazione, una cetra ricavata da una vecchia parabola, una chitarra turca nata da un remo. Lui, Guido, esce subito dal «negozio» ad accogliere «i suoi ospiti», così chiama i turisti che fanno capolino in bottega. E le poche parole dal forte accento piemontese lasciano presto spazio ai suoni. Guido prende in mano in sequenza gli strumenti e li suona. Le note escono fluide da quegli oggetti riciclati. Musica e riciclo, due passioni che Guido ha coltivato nel tempo.
«A scuola la materia che odiavo di più era musica», racconta. «Poi un parente mi ha portato un flauto dalla Persia. Fu amore e da allora non ho più smesso». Non musica ma suoni, tiene a precisare l’artigiano. «Ho decine di strumenti provenienti da tutto il mondo, ma non so leggere uno spartito – confessa – e punti e aste sul foglio non mi dicono nulla, io suono a orecchio. Non conosco la matematica della musica, i diesis e i bemolle. Amo la musica tradizionale e la imito con questi oggetti rinati dopo essere stati gettati dall’uomo». Entrare nella sua bottega è come immergersi in un museo etnomusicale: organetti, zampogne, fiati di tutte le dimensioni e fogge, lire, chitarre, mandolini… alcuni dalle forme tradizionali altri che sembrano appena usciti dalla discarica.
«Gli amici a ogni viaggio mi hanno sempre portato qualche strumento così sono arrivati anche quelli dall’Africa ed erano per la maggior parte fatti con oggetti riciclati. Sono rimasto folgorato. Vent’anni fa ho iniziato anch’io a provare a fare musica pescando dalla pattumiera. E poi chi di noi da piccolo non ha preso una racchetta da tennis e ha sognato di suonarla. Bene io ho realizzato quel sogno». Prima creando oggetti semplici come vecchi tamburelli da tennis spiaggia, poi provando con quelli più complessi è diventato un professionista che suona con alcune band, tra cui la Quinta Rua che fa musica tradizionale francese (e piemontese). «Sono un suonatore non un musicista. Ma ho un dono: dalle cornamuse ai flauti, riesco ad accordare e a far suonare in maniera melodiosa qualunque oggetto». E se gli chiedete quale sia il suo preferito vi guarda perplesso: “Forse lo strumento a corda creato con una scatola di sigari. E su quello strumento, povero, che è nato il vero blues. Oppure lo scitar». Che cos’è? «È un apparecchio nato da un gioco di parole per indicare uno sci trasformato in un sitar, un oggetto musicale tradizionale dell’India settentrionale».