IL BIELLESE NEI LIBRI

Felice Ramella Bon

il pittore alpino

di Luigina Furlan
2012

Felice Ramella Bon
pag. 6

Un pittore Alpino

Con parole chiare e limpide ci racconta la disposizione innata ad amare la natura (e soprattutto quella dell'alpe, su cui è nato) da sempre: "Il mio oggetto di studio principale è la natura, in cui l'uomo si inserisce anche quando le condizioni climatiche non sembrerebbero permetterglielo". Da sempre l'ha osservata volgendo gli occhi verso il macrocosmo nelle differenti situazioni atmosferiche, nel ritornare a terra attraverso dorsali di monti, torrenti e brevi pianure, attraverso ogni possibile implicazione di luce (più o meno tersa) di maggiore e minore umidità dell'aria e delle dure zolle, dell'alternanza delle stagioni e dei cambi di veste di declivi, di boschi di prati e di sassaie. Egli afferma che la montagna vive ancora le quattro stagioni con quattro tavolozze differenti, mentre più in basso non sempre è così. Sotto (è la voce antica montanara che parla in lui) le coltivazioni cambiano il tessuto epiteliale della terra e le risaie, con le loro superfici specchianti, monopolizzano in largo la bassa. "Amo gli alpeggi e la gente ospitale che li abitava mi era amica". Parla al passato, il pittore (lui sì) "en plein air" che saliva arrancando prima con la fida Cinquecento e poi ancora in salita sino a 1500, 1800 m.s.l.m. con passo sicuro nonostante il peso della valigetta e del cavalletto. E si fermava ogni volta ammirato presso solide costruzioni rustiche ma antiche, a volte settecentesche, i cui costruttori avevano vinto la legge di gravità coi loro cantieri d'alta quota. Girava intorno all'"alpe" o alla baita o al riparo sotto roccia studiando" l'inquadratura più propizia al momento della giornata; gli capitava di alzarsi a notte fonda per cogliere un determinato effetto di luce e di visione in mattinata. La sua passione non disgiunta da costanza, fedeltà ed abnegazione gli permetteva di cercare e poi trovare le sue verità nonostante la fatica e l'aria rarefatta dell'alpe. Non stupisce affatto che, diventando pittore, egli abbia dimostrato il suo amore per le vette alpine, per lo spettacolo maestoso che offrono dal basso e per le vedute mozzafiato che elargiscono dall'alto. Lo ammette egli stesso, parlando con un plurale inconsueto, in lui segno di umiltà piuttosto che maestà: "Siamo fatti così. Non possiamo fare a meno di dedicarci a queste cose". Lo chiamavano "il Costa", allora; e lui firmò con questo nome tutti i suoi lavori grafici e pittorici sino al 1990.
pag. 55

Le alte terre biellesi

[...] Le Alpi godono di una notevole varietà di territori; le nostre Prealpi e le aree delle quattro vallate principali che si abbarbicano alle loro propaggini più alte, hanno caratteri abbastanza simili tra loro, a parità di altitudine. Alto invece è il grado di umidità delle fasce medio-basse, dove perciò fu favorita la lavorazione della lana. Naturalmente si distinguono passaggi abbastanza netti di paesaggio in relazione all'altimetria. Le Vallate sino percorse dai torrenti di maggior portata: il Sessera ad Est, il Cervo e l'Oropa in centro, l'Elvo ad Ovest. La Val Cervo (l'antico Sarv) viene denominata anche Bursch. La più aperta e popolata nel secolo scorso risultava essere quella dell'Elvo (in antico Elf). La relativa giovinezza dei monti giustifica la presenza di numerose pittoresche cascatelle. Per loro natura le alte montagne impongono all'uomo condizioni di esistenza più difficili che in altre zone del pianeta. Sono problemi di pendenza, di altitudine e di clima prima di tutto. L'abate Chanoux al convento del Piccolo S. Bernardo annotava in un anno 9 mesi di freddo e tre di gelo. L'occupazione umana del territorio alpino è avvenuta in tre fasi: prima attraverso visite saltuarie di cacciatori o di curiosi, poi di genti del paleolitico e mesolitico che davano la caccia a cervi e stambecchi che vivevano numerosi al margine delle foreste su terreni liberati daí ghiacci, infine dal 6000 a.C. iniziò la colonizzazione vera, con edificazione di residenze atte e con attività silvopastorali. Di epoca più tarda (intorno al Mille a.C.), abbiamo segni d'insediamento di certi villaggi palafitticoli, per esempio a Viverone: essi furono l'inizio presumibile di quella che sarà chiamata "civiltà alpina". Il paesaggio naturale è andato sparendo man mano che l'uomo si portava, dal fondovalle, su versanti sempre più alti, trasformando foreste in boschi coltivati ed i terreni alti in pascoli, quelli bassi in frutteti e campi, aprendo radure e stabilendo costruzioni. I grandi ghiacciai della piccola glaciazione, che un tempo solcavano e riempivano le vallate, continuano a sciogliersi, ora rapidamente. Come ha dimostrato qualche dipinto di Felice, nei laghetti alpini biellesi stanno sparendo le ultime tracce di neve solidificata che erano solite permanere anche d'estate, complice la zona in ombra. La nostra figurazione tradizionale dall' 800 riassume l'idea che la montagna alpina, altissima e ricca di asperità, con canaloni e crepacci, costoloni di roccia viva e vette "impossibili", sia vera palestra di forza fisica per i giovani e meno giovani che, sfidandola, imparano i propri limiti e crescono dentro, in quel sano rapporto con la natura che implica innanzitutto rispetto reciproco. Ed instilla anche il sospetto che aiuti anche a sviluppare capacità di interiorizzazione profonda, nonché la forse opposta capacità di interagire con gli altri che vi salgono e la amano. [...]
pag. 141

La Burcina, un parco a dimensione familiare

[...] il volume maggiore del suo contributo al pittoresco, oltre che a certe baite ricche di fascino antico che lui sa far rivivere, è dato dai dipinti che ritraggono angoli e scorci della Burcina. È un colle molto speciale, non troppo alto ma tale da non potersi ritenere mera collina (827 m. slm); è tondeggiante in alto, dove nel 1959 fu scoperto un tesoretto archeologico (uno schnabelkanne in bronzo, armi varie, embrici...) studiato dalla Dr. Mario-la Ciocchetti. Ben conosciuto come "il bric" (colle) esso è appoggiato alle pendici del Mombarone e fa da displuvio tra le vallate del Torrente Oropa e del Torrente Elvo. È oggi sorprendente e panoramica riserva naturale ricca di vivaci colori soprattutto nei mesi di fioritura più eclatante di kalmie, rododendri ed azalee prima, di ortensie poi (tra Maggio ed Agosto) ma stupenda anche nella tavolozza dei bruni, dei rossi e dei gialli in Autunno; le nevi poi disegnano arabeschi e trasformano il mondo vegetale in un mondo soffice e fantastico. Infatti la metà anteriore del colle brullo fu piantumata con amore ed attenzione per le novità da Giovanni Piacenza, industriale laniero del paese che vi giace ai piedi e di lato (Pollone) a partire dal 1849. Furono allora posate rare wellingtonie ed essenze diverse, ciliegi giapponesi, cedri, oltre a pini ed abeti e faggi, alberi questi che, a detta degli studiosi, costituivano il maggior contributo naturale all'antica primigenia foresta biellese. Felice Piacenza proseguì l'opera popolando le pendici sud con arbusti che daranno al luogo la denominazione appropriata di "vallone dei rododendri", mentre per la parte opposta sulla strada potrebbe essere indicata la denominazione di "muro delle azalee". Enzo Piacenza assecondò la crescita del parco come giardino informale, così come fa ora la Regione. [...]
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Lo scopo di queste pagine è di mostrare (attraverso i libri) le caratteristiche storiche, turistiche, sociali ed economiche del Biellese. Qualche fotografia e un po' di testo, senza pretesa di fare un lavoro perfetto, creando un archivio che cresce e migliora nel tempo. IL BIELLESE NEI LIBRI è a disposizione di tutti gli editori/autori che vogliano fare conoscere le opere riguardanti il territorio. La pubblicazione avviene in forma gratuita.

un grazie particolare all'Autore per la disponibilità ed il supporto al progetto Biellaclub.



13 ottobre 2012