IL BIELLESE NEI LIBRI

l'an-cà da fé - la casa del fuoco

Tavo Burat e Giorgio Lozia

1989 - Giancarlo de Alessi Editore

l'an-cà da fé - la casa del fuoco

L'an-cà da fé è il nome del primitivo locale adibito a cucina nella Bürsch.
Estratti dalla sezione del libro an taula... in tavola!
antiche ricette

risporchin o rispalie, riccio

Occorreva prima di tutto immergerlo nell'acqua bollente per togliergli le bòsciole (spine), quindi pelarlo, sventrarlo e cuocerlo arrosto con burro, rosmarino, sale e pepe. (E.M.)
Il riccio è un animale spinoso e molto grasso; per ucciderlo si getti un momento nell'acqua bollente; levate le spine, raschiatelo bianco come si fa per il maiale; sventrato, ben nettato, tagliategli le gambe e la testa e lasciatelo 2 ore circa nell'acqua con aceto. Tritate 3 cipolle, un po' di prezzemolo, 1 ettogramma di capperi, 3 buone acciughe salate, una foglia di salvia, metteteli in tegame con un po' di burro, fate friggere un poco, gettatevi entro il riccio tagliato a pezzi; fritto un po' mettetevi un cucchiaio di farina, tramenatela un po' e versatevi sopra un bicchiere di vino bianco, un po' d'aceto ed un po' d'acqua, sale, pepe e spezie, e fatelo cuocere adagio con fuoco sotto e sopra; cotto tenero a salsa ridotta, sgrassatelo e servitelo caldo con sopra la sua salsa. (G.V.)
antiche ricette

porchetin d'india, porcellino d'india, arrosto o stufato

Questo animale è eccellente, ma appena ucciso va sventrato, atteso l'odore che comunica i suoi interiori; reso bianco sbollentandolo e nettatolo dai peli, tagliate via le gambe, fatelo cuocere stufato come si è detto sopra del riccio; si fa arrosto cotto con butirro, un po d'aglio, rosmarino e sale; si fa a pezzi e friggesi in padella con burro e cipolle tagliate, e cotto di color biondo con sale, pepe e un po' d'aceto; Oppurei quando è cotto, sì scola il grasso e si mischia un po' di mostarda d'uva cotta, e servitelo caldo. (G.V.)
antiche ricette

Cafugio


Preparare il caffè alla maniera tradizionale, cioè facendo bollire in una casseruola il caffè, macinato, nell'acqua. Dopo averlo lasciato depositare, filtrarlo e servirlo caldo e zuccherato, aggiungendo una "punta" di burro crudo e, a piacere, branda (grappa). È una specie di rustico irish coffee che, curiosamente, richiama la comune civiltà celtica degli Irlandesi e delle nostre popolazioni alpine, benché il caffè sia giunto in Europa nel XVII secolo.
antico racconto

decotto di vipere

[...] Ginin accusò un gran male alle reni e non se la sentì più di portare la gerla. Giovanni provò a scherzarci sopra, dandole della poltrona, poi dovette convincersi che, senza gerla, il male persisteva. Le mise sulla schiena un mattone caldo, che servì ottimamente ad arrossarle la pelle ed a provocare la formazione di piccole vesciche. Di quel male strano se ne parlò tra le comari; ciascuna di esse credette opportuno ricordarsi e gloriarsi di un male simile, sofferto magari mezzo secolo prima; la più vecchia sentenziò che Ginin doveva essere vicina al parto, essendo giunta al settimo mese. Aggiunse che ciò poteva essere una fortuna, perché i "settimini" di solito predicono l'avvenire e, se sono mancini azzeccano sovente i numeri del lotto, quasi sempre l'ambo, qualche volta il terno secco. Tutte storie; di serio non v'era che il mal di reni, che non accennava a scomparire. Ginin propose timidamente di farsi vedere dal medico ed allora Giovanni si arrabbiò. Non credeva nella medicina e ricordava che, sul Carso, un giorno che aveva "marcato visita" il tenente medico gli aveva dato tre pastiglie bianche, perfettamente uguali a quelle propinate ad un suo compagno che soffriva di mal di denti. Rintuzzò tenacemente le ultime obiezioni di Ginin, dando ai medici dei nomignoli di animali da cortile e andò a consultare una vecchia che abitava più su e che l'anno precedente l'aveva guarito da una slogatura, "segnandolo" nel momento preciso in cui si faceva la luna. La vecchia si interessò al caso, che trovò comunissimo e facilmente guaribile. Volle però due lire anticipate, prima di svelare la ricetta. Giovanni se ne andò, fregandosi le mani, sicuro del fatto suo e contento di aver speso poco. Verso sera calzò gli stivali e si munì di una bacchetta leggera e flessibile, dicendo alla moglie che sarebbe andato a cercare funghi. S'inoltrò infatti in un boschetto, battendo le macchie con la bacchetta. Presso il tronco di un vecchio castagno vide fuggire dei topi campagnuolì ed allora si fermò, accoccolandosi in attesa. In quel frangente Giovanni pensava che un accidente viene sempre senza farsi troppo attendere, mentre invece... Comunque, dopo qualche minuto vide qualcosa di grigiastro fra il verde e picchiò ripetutamente a terra con la bacchetta. Sei vipere, che egli giudicò bellissime, giacevano ai suoi piedi. Era quanto gli occorreva, come qualità e come quantità. Le portò subito a "quella vecchia", la quale le scuoiò con una perizia degna delle ranaiuoìe vercellesi, quando pelano i piccoli batraci col gesto rapido di chi si toglie un guanto diventato largo. La lessatura dei rettili diede una brodaglia schiumosa che la vecchia filtrò attraverso una pezzuola Ginin bevve il decotto un po', come si dice, contro cuore, e disse che era agro e molto salato. Voleva anzi inzuccherarlo, ma Giovanni glielo impedì, temendo di alterarne la composizione chimica... Ora, senza criticare Ippocrate o Galeno è doveroso affermare che dopo due o tre giorni il dolor di schiena di Ginir sparì completamente. Due lire spese bene, pensò Giovanni. Fatto sta ed è che dopo due mesi nacque un maschietto sano e sodo come una mela e Giovanni prese una sbornia solenne il giorno del battesimo. E siccome il tempo è passato anche per lui, il neonato è attualmente sotto le armi e scrive alla moròsa certe lettere piene d'affetto e di strafalcioni. E quando viene in licenza con la penna "fuori d'ordinanza", la sera, nelle baite, si parla di lui, di quando era ragazzo. Perché occorre sapere questo: che il figlio di Ginin, nei suoi primi anni, non giuocava con i cavallucci di legno o con la trottola; la sua passione era l'andar pei boschi in cerca di vipere... E pare vi fosse grande dimestichezza, per non dire amicizia, fra lui ed i piccoli rettili, come è d'abitudine fra i serpari della Sila e gli incantatori di serpenti del Pundjab. Si dice che il ragazzo si coricasse sull'erba e che le piccole vipere gli inghirlandassero la fronte come si fa al Dio Shiva Maadewa lsvaia sul monte Kailas, quando Parvati gli offre la bevanda dell'Immortalità e che il bambino si divertisse ad intrecciare i piccoli rettili a guisa di nodo Savoia... Ma non bisogna parlare a Giovanni di questa storia perché picchia volentieri. Egli teme che la storia si propaghi e che giunga alle orecchie di Ginin, la quale, pur ricordando talvolta il gusto agro e salato del decotto risanatore, è tuttora persuasa di aver bevuto la più innocua tisana di erbe alpine.
ERNESTO BOSI (Illustrazione Biellese, n. 9/10, 1942)

Note:
L'uso di mangiare, oppure di consumare ad uso terapeutico, la miràuda (il biacco) ed anche la vipera nellarco alpino era più diffuso di quanto non si creda. La motivazione ci sembra da ricercarsi in due ordini diversi: nella difficoltà di reperire carne in aree molto povere ed avare, ed in probabili sopravvivenze rituali pagane; infatti il serpente, come il gatto, attiene ad un mondo magico confinato dal cristianesimo nella demonologia e quindi nella stregoneria. La commestibilità di questi rettili si deduce da una relativamente vasta anedottica di serpenti mangiati "inavvertiumente". Si racconta, ad esempio nella Bursch, che na valetta (una valligiana) avesse cucinato al marito e ad un amico una minestra d'erbe particolarmente saporita: il "segreto" era ignoto anche alla padron-a, la quale soltanto dopo aver distribuito tutta la minestra si accorse che sul fondo del paiolo erano i resti cotti di una bòja (vipera) cadutavi dentro. Tenne la ricetta per sé ed ebbe poi le sue difficoltà a mantenere la fama di quella sua "specialità". Dal racconto emblematico traspare come una gena (imbarazzo) di riconoscere l'usanza - residuo di una cultura ormai rifiutata - di mangiare la vipera e di apprezzarne le carni. (n.d.aa.







Lo scopo di queste pagine è di mostrare (attraverso i libri) le caratteristiche storiche, turistiche, sociali ed economiche del Biellese. Qualche fotografia e un po' di testo, senza pretesa di fare un lavoro perfetto, creando un archivio che cresce e migliora nel tempo. IL BIELLESE NEI LIBRI è a disposizione di tutti gli editori/autori che vogliano fare conoscere le opere riguardanti il territorio. La pubblicazione avviene in forma gratuita.



pagina realizzata il 15 aprile 2000 - aggiornamento grafico: 03 agosto 2014