Il Museo Laboratorio dell’Oro e della Pietra ha sede in un edificio storico (sec. XVIII) nel centro di Salussola Monte. Non è un museo vetrina, ma un laboratorio di informazione, formazione, ricerca e sperimentazione, favorendo lo sviluppo di un turismo culturale ordinato e rispettoso dell’identità dei luoghi e delle popolazioni che vi risiedono. Le poliedriche attività svolte raggruppano diversi argomenti: vi sono sale dedicate a personaggi storici di Salussola (Beato Pietro Levita e Don Cabrio), un erbario, una sala a ricordo dell'eccidio del 9 Marzo 1945, una sala archeologica, la prigione della strega e il laboratorio dell'oro. Uno spazio è dedicato alla collezione di antiche bilance e stadere. Non tutte le stanze sono attualmente visitabili. Il museo aderisce al progetto "Rete Museale AMI" che prevede una valorizzazione e promozione del patrimonio museale dell'Anfiteatro Morenico d'Ivrea.
Nelle sale Laboratorio dell'Oro si mostra l'arte della lavorazione a sbalzo e cesello. Un percorso storico nel mondo dell'oro. La nascita, la storia, la sua diffusione e i suoi interessanti metodi di lavorazione. Un viaggio nella storia per scoprire i suoi variegati utilizzi: gioielli, monete, utensili e mobilia. La stanza dedicata alla Resistenza porta la testimonianza dell'eccidio di Salussola avvenuto il 9 marzo 1945, dove persero la vita 20 partigiani. Nelle foto di questa pagina potete vedere anche "la prigione della strega". Il processo dell’Inquisizione si svolse a Salussola. Giovanna de Monduro fu accusata di essere una strega, torturata, condannata al rogo e giustiziata nel suo comune d’origine, Miagliano, il 17 agosto 1471. Le vicende di questa donna sono segnate dalle accuse delle sue vicine di casa e dalle sue parenti strette, che l’additavano come portatrice di disgrazie e di morte. Gli inquisitori in un crescendo di accuse, infliggono alla povera Giovanna efferate torture. La donna, stremata dagli eventi, confessa di essere una strega, ma alla richiesta degli inquisitori di denunciare altre donne e condannarle così alla sua stessa pena, Giovanna fa nomi solo di donne defunte. Sotto tortura Giovanna si autoaccusa: di aver ucciso adulti e bambini, di essersi trasformata in lepre per far morire due cacciatori e di aver ucciso il parroco. Giovanna non fa altro che ammettere tutto ciò che i suoi accusatori vogliono farle confessare.
fotografie Moretto/Rossi
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