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Purchetaije

La tradizione della preparazione dei salumi

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PURCHETAIJ

Circ ‘ntorn l’Epifania
j’è, par tüta la famija,
düi, tre dì ‘d certo burdel
par la “festa” d’l purcel.
Grassie a la tecnologia
Par furtün-a l’è finija
L’agunia d’l purcel
Massacrà da ‘n- gross martell.
‘T lu sentij da luntan-
ch’al criava disperà
senssa pussibilità
d’evité la mort sicüra
e ‘l finija l’aventüra
cun- na gran- curtlà ‘n-t la gola,
furtünà s’l’era ün-a sola.
Dess cun- na rivultela
j piantu ‘n- ciou ‘n-t la scervela
e, ‘n-t’inatim, varda lì,
l’è già beli tüt finì.
Peu, cuglià sora ‘n- taulun-
inissia l’uperassiun-:
cun- la lama d’n- curtel
ras-ciu via tüt ‘l pel.
Dop ‘l ven- decapità
(‘s dev aveilo preparà
par feij la pulissia)
e ‘n- paranc e na pulija
j penssu a tirelo sü
ben- piassà a testa ‘n giü
‘n-t la pusissiun- miglior
par gaveij j’interior.
Quindi ‘s fa la selessiun-
dj toch bei e di toch bun-
che, ‘n ripos par na giurnà,
l’augnirà cunfessiunà.
Da la panssa na gran- fëta
la diventerà panscëta,
da na cossa cun- zampun-
‘s tira fora ‘n- bel giambun-.
Dai ritai, cui menu fin-,
‘s fa nassi j cutechin-,
tüt ‘l rest, gavà ‘l pü gram,
‘l finiss dinta ‘n- tj salam.
Ma l’è ‘n- cura nen- finì.
‘L purchët finiss nen- lì.
Varie j’ specialità
Ch’ augniran- peu ricavà.
Parluma ‘d sausiscëta,
‘d sanguinass, ‘d la palëta,
dj custin-i e dj bracioli.
J n’andrija dj paroli
Par di tüt que ch’s po fe,
que ch’s po cunfessiuné,
elenché t¨cc j’ ingredienti.
D’l purchët s’sgara gnenti.
Par da pü, m’ smija giüst,
ogni pais a j’ha j so güst
cun- j sùi specialità:
gnanca ‘l sangh ‘l va sgarà.
Penssa che anche cul pel
ras-cià via, ‘l sarà ‘n- penel.
Par tüt n’an ‘t fe nen- la fam
cun- sta quantità ‘d salam.


Angelo Mortarino
23/12/2013

FESTA DEL MAIALE

Intorno all’ Epifania
ci sono, per tutta la famiglia,
due o tre giorni di movimento
per la “festa” del maiale.
Grazie alla tecnologia,
per fortuna, è finita
l’agonia del maiale
massacrato da un grosso martello.
Lo sentivi già da lontano
che gridava disperato
senza possibilità
di evitare la morte sicura
e finiva la grande avventura
con una gran coltellata nella gola,
fortunato se era una sola.
Adesso con una rivoltella
gli piantano un chiodo nel cervello
e, in un attimo, guarda un po’,
è già belle che tutto finito.
Poi coricato sopra un tavolone
Inizia l’operazione:
con la lama di un coltello
raschiano via tutto il pelo.
Poi viene decapitato
(si deve averlo preparato
per fargli la pulizia)
e un paranco ed una puleggia
ci pensano a tirarlo su
ben messo a testa in giù
nella posizione migliore
per togliergli le interiore.
Quindi si fa la selezione
dei pezzi belli e dei pezzi buoni
che, in riposo per una giornata,
verranno confezionati.
Dalla pancia una grande fetta
diventerà pancetta,
da una coscia con lo zampone
si tira fuori un bel prosciutto.
Dai ritagli, quelli meno fini,
si fanno nascere i cotechini,
tutto il resto, tolto il più cattivo,
finisce nei salami.
Ma ancora non è finito.
Il maiale non finisce lì.
Varie le specialità
che verranno poi ricavate.
Parliamo di salsiccetta,
di sanguinacci, della paletta,
delle costine e delle braciole.
Ci vorrebbero tante parole
per dire tutto quello che si può fare.
quello che si può confezionare,
elencare tutti gli ingredienti.
Del maiale non si spreca niente.
Per di più, mi sembra giusto,
ogni paese ha i propri gusti
con le sue specialità:
neanche il sangue va sprecato.
Pensa che anche quel pelo
raschiato via, sarà un pennello.
Per tutto un anno non fai la fame
con questa quantità di salame.

Angelo Mortarino
23/12/2013


Ascolta il testo in dialetto
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Una tradizione quasi completamente scomparsa, la macellazione viene eseguita in mattatoi controllati ed attrezzati.
Fino al secondo dopoguerra, ogni famiglia di contadini allevava il maiale e lo macellava per fare i salumi. L’alimentazione durante l’allevamento consisteva nel miglior recupero degli scarti della famiglia, che in genere era numerosa. Anche la sciacquatura dei piatti, la “culubia” (non si usavano detersivi!) era utilizzata con aggiunta di crusca, farine di mais e grano, e, soprattutto “patate dal purcheut”. All’epoca della raccolta dei tuberi queste patate erano appartate durante la cernita: erano piccole, alcune con tagli accidentali o con difetti che le rendevano difficilmente utilizzabili. Abitualmente venivano bollite ed aggiunte con gli altri ingredienti con gli eventuali (pochi!) avanzi dei pasti.
Per i “purchetaije” ogni famiglia era aiutata dai vicini e il rito della preparazione dei salami durava molto tempo, perchè le famiglie aiutandosi a vicenda si occupavano del loro maiale e anche, in date diverse, di quello dei vicini. Così “i purchetaije” si protraevano anche per più di un mese.

Le fasi erano le seguenti:
- Uccisione del maiale (con metodi primitivi che oggi non sarebbero più accettabili);
- Pulizia esterna dell’animale morto: su un tavolaccio, raschiatura del pelo con acqua bollente ed un coltellaccio affilatissimo. Erano presenti i due calzolai del rione che sceglievano le setole migliori, utilizzate per una più agile introduzione del filo di cucitura (la “tra”) nei fori della lesina per la riparazione delle scarpe.
- Dissezione, dopo averlo sollevato in verticale (con carrucola e paranco), si procedeva all’asportazione delle interiora e dei vari organi: il sangue (che veniva addizionato di parmigiano e poi cotto per la cena o tenuto per preparare, con addizione di patate lesse, i salami “sanguinacci”); gli intestini (che ben lavati diventavano la pelle dei salami); la lingua, i reni, la milza, il fegato ed il cuore cotti per la cena; il peritoneo (la “reisella” serviva da involucro di frittelle (“frëusse) ripiene di carne trita e foglie di cavolo, sempre per la cena. Una parte di cotica, quella più morbida veniva impiegata per l’impasto dei cotechini (“sausìsse”). Un pezzo di cotica veniva conservato per lenire eventuali ematomi e dolori durante l’anno (sunsgia); pezzi di “sunsgia” servivano anche per ungere le lame delle seghe e, soprattutto degli “strabicùn” (la sega con due manici per segare tronchi). Lo spallotto andava a finire intiero in un insaccato speciale (la “palëuta). Anche la vescica “psia” dopo perfetta pulizia serviva da involucro per un salame voluminoso.
- Le costole (“custin-e”) si mangiavano alla cena. Le ossa dopo la spolpatura venivano rosicchiate alla cena dopo averle bollite.
- La carne veniva selezionata e separata dal molto lardo; questo in parte si conservava salato e speziato, mentre una parte veniva fuso per la conservazione dei salami sotto grasso ("salam ‘d l’ula").
- Dalla fusione del lardo si recuperava, con una schiumarola, il carniccio: i ciccioli ("sunsgin-").

Il primo giorno di lavoro si arrivava alla selezione dei pezzi. Il secondo giorno si terminava la preparazione dei salumi: tritatura, aggiunta dei prodotti (sale, pepe, tracce di nitrito di sodio per la conservazione). Si procedeva quindi alla insaccatura e legatura. I salami venivano leggermente bucherellati con un arnese a più punte, e quindi appesi in un ambiente con temperatura e umidità costanti. Per alcuni giorni scendevano a terra gocce di grasso fino a completa asciugatura. La conservazione poteva avvenire all’aria, sotto grasso, sotto olio, ecc.
La cena era una delle massime possibilità per sperimentare il vero significato di comunità ed aggregazione e contribuiva a tenere ben salde le relazioni che erano soprattutto di aiuto reciproco anche per tutte le altre attività, come la vendemmia e la torchiatura, la mietitura del grano, la raccolta del granoturco e la sgranatura. Alla cena potevano essere presenti anche persone importanti come il medico, il parroco e amici scelti.

Testo e foto di Piero Bider, poesia di Angelo Mortarino.



biellaclub

15 marzo 2014

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