Pietro Micca nacque ad Andorno (Cantone Sagliano) il 5 marzo 1677. Il padre, Giacomo, era di antica famiglia della Valle d'Andorno, presente in paese fin dal 1540. La mamma era Anna fu Fabiano Martinazzo di Riabella, ed era stata sposata dal padre in seconde nozze. Seguendo le tradizioni della famiglia materna, Pietro imparò giovanissimo a lavorare la pietra e divenne scalpellino e minatore.
Gli tocco in sorte sorte di morire per Torino quando aveva solo aveva 29 anni e non era un soldato di professione. Sposato da meno di due anni, e con un figlio che di lì a quattro settimane avrebbe compiuto un anno, fino a due anni prima aveva fatto il minatore nella valle di Andorno.
Nel luglio del 1703 il re sabaudo Vittorio Amedeo II, rimasto senza esercito, lo aveva reclutato di gran fretta assieme ad altri 20 mila giovani piemontesi. Le sue truppe, infatti, erano state disarmate nella piana di San Benedetto Po dall'armata del duca di Vendôme, su ordine del sovrano francese Luigi XIV e ad Amedeo servivano uomini per poter dichiarare guerra a Francia e Spagna; sapeva anche che avrebbe avuto bisogno di minatori bravi a scavare cunicoli perché la battaglia si sarebbe condotta sicuramente vicino alla Cittadella. Per questo, fra i 20 mila nuovi soldati, aveva scelto cinquanta minatori e, tra essi, Pietro Micca. In quanto minatore, aveva maturato al suo paese l’abitudine a lavorare sottoterra, e per questo fu destinato alle truppe addette alla difesa delle gallerie sotterranee della fortezza torinese, che i francesi tentarono più volte di violare durante i mesi dell’assedio. Nel registro di arruolamento, accanto al suo cognome era stato messo il suo soprannome: Passepertutt. Più che un'usanza, in quell'epoca, aggiungere il soprannome era una necessità pratica: nelle valli da cui veniva Pietro Micca, infatti, i cognomi erano quasi tutti uguali.
I francesi avanzano, espugnano una dopo l'altra tutte le fortezze fedeli ai Savoia, e nell'agosto del 1705 arrivano alle porte di Torino. La conquista della città è fondamentale per poter poi dominare tutta l'Italia settentrionale fino all'Adige, sulle cui sponde è schierato l'esercito imperiale al comando del maresciallo Eugenio di Savoia. Arrivate però in vista della città, le truppe francesi interrompono l'avanzata: le perdite subite durante i vari assedi sono state ingenti e il morale dei soldati superstiti è a terra. Così, non disponendo di artiglieria d'assedio di grosso calibro, nel mese di ottobre decidono di ritirarsi e di rimandare tutto all'anno successivo: potranno riprendersi e colmare i vuoti.
Verso la metà del maggio 1706, i francesi di La Feuillade, forti ora di un'armata di 44 mila uomini e di un valido parco di artiglieria, ripartono all'attacco, ma commettono subito una serie di errori: il più grave è quello di non avere tenuto conto degli avvertimenti del maresciallo Vaubun che scriveva: «Il groviglio delle mine vi porterà sino alla fine del mondo e non vi servirà ad altro che a sotterrare vivo quello che avete di meglio fra le vostre truppe». Nei mesi invernali in cui i francesi si erano ritirati, Vittorio Amedeo II aveva infatti provveduto a far rinforzare le difese esterne delle mura della Cittadella con un complesso sistema di gallerie scavate da provetti minatori: la lunghezza complessiva dei cunicoli davanti alla Cittadella aveva raggiunto la bellezza di 14 chilometri, mentre quella davanti alle mura della città 7 chilometri e mezzo.
La battaglia comincia subito con combattimenti durissimi, con continui cannoneggiamenti e l’incessante guerra di mina e contromina. Le gallerie della Cittadella, che i francesi tentano invano di allargare, danno una buona prova di resistenza.
Verso la mezzanotte del 29 agosto, però, quattro granatieri francesi si calano in un fossato e raggiungono la porta attraverso la quale si entra nella galleria che conduce all'interno della piazzaforte. Vengono uccisi dai sabaudi di guardia, ma riescono ad aprire la strada ai loro commilitoni che hanno la meglio sul manipolo dei soldati sabaudi. Entrano così nel primo tratto della galleria; ma qui devono scendere una rampa di scale e trovano una porta sbarrata: è stato Pietro Micca, che era di guardia a quel settore, a chiuderla e a preparare un fornello da mina per far crollare la rampa nel caso il nemico ci si infilasse. Sentendo sfondare la porta, Micca spinge un suo compagno a innescare la miccia, ma vedendolo in difficoltà gli dice: «Alzati di là, sei più lungo di un giorno senza pane, lascia fare a me e scappa a salvarti». E innesca una miccia corta, cercando subito dopo di mettersi in salvo. Non ci riesce. L'esplosione quasi immediata fa crollare la volta della scala e travolge i francesi. Lo scoppio uccide anche il coraggioso minatore, raggiunto dall'onda d'urto dell'esplosione e scaraventato a quaranta passi di distanza lungo la galleria bassa. Le scale e la galleria superiore crollano seppellendo gli invasori. L'assedio si concluderà con la sconfitta dei francesi pochi giorni dopo, il 7 settembre 1706.
Grazie al sacrificio di Pietro Micca la città è salva, i Savoia pure. Vittorio Amedeo II farà corrispondere alla vedova del minatore, Maria Pasqual Bonino, un vitalizio di due pani al giorno.
A Sagliano Micca è ancora oggi possibile vedere la casa natale di Pietro Micca. Il muro di cinta del cortile e quello della casa sono tappezzati di lapidi a ricordo dell'eroico gesto.
I cunicoli tuttora visitabili della Cittadella di Torino |
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particolare del monumento nella piazza di Sagliano Micca |
interno della casa di Pietro Micca a Sagliano |
04 novembre 2002
pagina realiazzata da Stefania Nardi
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