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BIELLESE NEI LIBRI ANTICHI:
IL LAGO DELLA VECCHIA - 1879
Racconto
del IV secolo Nell'introduzione del libro, l'autore dice di aver appreso la storia da un racconto popolare. Una di quelle storie della montagna che vengono a volte inventate e quasi sempre modificate da chi le racconta. Ma a volte sono fatti storici realmente accaduti e tramandati per generazioni da padre in figlio. Ecco quindi il racconto in una discutibile riduzione fatta per Biellaclub.it, che non può riportare la bellezza delle sfumature e dei particolari del lungo testo originale. Si è cercato di mantenere a volte lo scritto originale, con il modo di scrivere del 1879, e altre volte si è fatto un forte compendio.
Era uno stupendo mattino d'autunno dell'anno 362 dell'era volgare, o, come dicevasi allora, del 1115 ad urbe condita; dalla maestosa catena di monti che cinge il Biellese, una fresca brezza scivolando giù dagli erti pendii delle due Mologne ricreava i polmoni dei Biellesi. Nell'attuale scalo ferroviario alla porta Vernato, M.S. Rufo curiale decemviro della città, uomo di sfrenata ambizione, dava a proprie spese spettacoli di caccie e lotte. Quasi al centro dello spianato, verso cui dirigeva la folla, sorgeva un vasto circo di legno. S'alza da ogni parte una selva di evviva, quindi tutti tacciono come per incanto, lo spettacolo è cominciato. Primi a scendere in campo furono una ventina di lupi da una parte e dieci bestiarii dall'altra, completamente ignudi ed armati di una breve lancia. Il combattimento è accanito. Sei uomini caddero dilaniati dai denti delle bestie ma in queste è pur finalmente penetrato il timore, sicché fuggono inseguite dai superstiti che tutte le uccidono. Alcuni schiavi, sgombrata l'arena dei cadaveri, hanno disseminato nuova sabbia sul sangue sparso pel terreno, e tutto è pronto per la seconda parte dello spettacolo. ... avanzano in mezzo al circo due uomini armati di targa e di daga. (pag 19) Terminato lo spettacolo del circo M.S. Rufo si apprestava a mostrare un'esecuzione di una sentenza capitale. La giovinetta condannata erasi avanzata con passo vacillante fin quasi in mezzo all'arena, e quivi, giunse le mani in atto di rassegnata confidenza nel volere di Dio. Dalla folla si levarono le più frenetiche risa che mai scrosciassero da bocca umana - a morte la cristiana - si urlava. Frattanto una pantera si era accostata a tergo, a pochi passi, e quivi immota stava adocchiando la condannata. Qualcuno lancia un oggetto lucente ai piedi della fanciulla che muovendosi fa scattare la pantera. Povera fanciulla! Sui pochi avanzi del tuo corpo verginale, sfuggiti alla voracità della pantera, verranno a lagrimare coloro, pei quali incontrasti imperterrita la morte. (pag 23) Torquato e Clelia, abbracciati, di notte, all'incerto lume di una fiaccola di pino, risalgono il torrente Cervo, lungo una delle più selvagge gole dei monti Biellesi, alla ricerca della capanna nascosta nel bosco di un'amica. Dopo lunga e faticosa ricerca arrivarono ad un cumulo di travi carbonizzate. Ciò che restava di quanto cercavano. Clelia svenne e Torquato per sorreggerla perse la fiaccola. Stettero immoti per lungo tempo, al buio, quando improvvisamente apparve in alto fra le cupe tenebre un lume. Nell'impossibilità di farsi sentire a causa del rumore prodotto da torrente, Torquato prese in braccio la sua amata e, al buio, s'incammino verso la speranza di quella luce. Un quarto d'ora gli parve un secolo; finalmente vide vicinissimo il lume. Già aperta la bocca, tremante per la gioia quando con stupore e spavento vide comparire la mostruosa figura di un enorme orso bruno che stringeva nelle sue branche una face accesa. Ma dietro all'animale stava una vecchia di alta statura, magra e dallo sguardo altero. -Non temere giovine – disse la vecchia che accostatasi a Clelia trasse disotto alle sue malconce vesti una fiala e versò poche gocce di un liquore verdognolo fra le pallide labbra di Clelia che prontamente si riprese. La vecchia, interrompendo bruscamente i reiterati ringraziamenti dei due giovani, disse loro che ad una mezzora di cammino aveva la sua dimora, - venite meco, essa sarà vostra finché avrete bisogno. (pag 32) Clelia e Torquato assentirono tosto con gratitudine. Giunsero
così sulle rive di un lago ed entrarono in una caverna. Era quella l'abitazione
della vecchia. Dormirono profondamente e al mattino Torquato, svegliatosi prima
di Clelia, uscì fuori dalla grotta trovandosi di fronte un laghetto alpino. Lettor
mio, non ti sei mai arrampicato fino al lago della vecchia? Si? Allora salta di
pie pari questo mio informe abbozzo di descrizione, perchè non s'abbia a sciupare
nell'animo tuo la grandiosa impressione che la tua vista ti avrà certamente lasciata
( Torquato appena uscito dalla grotta restò più di un quarto d'ora assorto in estatica contemplazione. Nel frattempo Clelia, destatasi, lo raggiunse. E la vecchia di ritorno dalla sua escursione mattutina li invitò ad una frugale colazione, chiedendogli chi fossero. Clelia disse: noi siamo biellesi ed appartenenti entrambi di nobile famiglia. Mio padre ha orrore per il nome cristiano, ed io ebbi la follia di tentare di convertirlo scoprendomi cristiana. Una sera mi chiamò proponendomi per marito certo Caio Celsa. Rifiutai ed egli mi mandò nelle carceri della città. Un simulacro di processo era stato intentato su di me, e i giudici finsero di condannarmi ad essere venduta come schiava. La notte l'uscio della mia prigione si aperse pian piano e si avanzò verso di me la giovane figlia del carceriere, Cecilia, con cui ero legata da tenera amicizia, che mi fece scappare. Ai piedi delle mura mi aspettava il mio amato Torquato e con lui fuggii nella gola del torrente Cervo alla ricerca di un'amica. Il libro prosegue con la storia di Cecilia, la figlia del carceriere. La preoccupazione che a causa della fuga adesso ella si trovi in gravi difficoltà mette in tristezza l'animo di Torquato e Clelia, che si dicono pronti ad aiutarla in caso di necessità: - Ben detto! sclamò la vecchia; domani all'alba io partirò per Biella e fra due o tre giorni spero ritornare apportatrice di buone novelle. (pag. 52)
In casa di Rufo c'era festa, sdraiati sui lettucci si tracannavano enormi tazze di squisito Falerno mentre le schiave, mascherate, o meglio svestite da naiadi e da baccanti, servivano la mensa. Fu annunciata la visita di una donna vestita all'orientale, che chiedeva di poter allietare la brigata con mirabili giuochi eseguita da un orso sapiente. Entrò una vecchia alta e magra, riccamente vestita, seguita da un orso che stupì i presenti con salti, capriole e balli. Terminato con successo lo spettacolo Rufo fece accompagnare la vecchia da una sua schiava in un'altra stanza, che le fosse servita una succulenta refezione, a lei e al suo orso. Lo spettacolo della vecchia aveva suscitato fastidio in una persona, Celsa, che decise di controllarne le future mosse. Nella stanza dove era stata portata a rinfocillarsi, la vecchia trovò una schiave Orizza, che portava un minuscolo segno della croce. Le si avvicinò per confessargli il vero motivo della sua venuta e avere notizie di Cecilia. A tal nome, Orizza, diede sfogo a lacrime troppo lungamente trattenute: poveretta, essa vive, ma domani morirà, divorata dalle belve. (pag. 61) Intanto Celsa ascoltava quello che le due donne si dicevano. Il giorno dopo Cecilia muore divorata nel circo, fu la vecchia a gettargli un anello con la croce che portò alla condannata l'ultimo sorriso. Lasciato l'orrendo spettacolo del circo la vecchia si incamminò nella carreggiata che risaliva il corso del Cervo, seguita da uno schiavo di Celsa, vestito da taglialegna, con una scure in mano. Giunta a Cacciorna, borgo a quei giorni già di una certa importanza, le si presentarono due strade, la sua lungo il torrente, l'altra erta e difficile verso la bocchetta della Sessera. Per sfuggire all'inseguitore, scelse quest'ultima. Il sentiero correva allora fra foltissimi boschi ora quasi scomparsi; poche e rade capanne di pastori segnavano il luogo che doveva più tardi sorgere il ridente paesello di Tavigliano. Più in su la solitudine regnava, tranne che al monte Argentario, dove alcune centinaia di schiavi erano astretti al rude lavoro delle miniere. (pag 65) La vecchia continuò seguita dal finto taglialegna, che aveva avuto il compito di seguirla fino al rifugio di Clelia e Torquato. In quell'impervio cammino la vecchia chiamato l'orso gli si assise in groppa e via di corsa. A tal vista il bighellone restò con un palmo di naso impossibilitato a continuare il suo compito. La vecchia tornata alla grotta sul lago informò della triste storia accaduta a Biella. Frattanto si avvicinava l'inverno a grandi passi. A così grande altezza era cosa facilissima accadesse il coricarsi la sera con un cielo stellato che fosse una meraviglia per alzarsi al mattino con più palmi di neve. Venne fatto l'inventario di ogni cosa atta allo svernamento. Un po' più in alto, in un'ampia caverna, ruminava una dozzina di camozzi. Era questa la greggia della vecchia, greggia utilissima perché le forniva di latte e di piccoli camozzi in quantità più che sufficiente per lei. Vi era anche un pollaio con un vero stormo di fagiani di monte. Il libro prosegue con la vecchia che
mostra ai due giovani altre grotte con le sue scorte di cibo e di provviste per
l'inverno. Si constatò che le provviste potessero non bastare e la vecchia disse
che l'indomani ne avrebbe prese delle altre ma non a Biella: - A Biella non già,
né a Cacciorna, potrei essere spiata una seconda volta, andrò a Issime ed occorrendo
ad Ivrea.
Perché l'uomo ed il mandriano furono
così solleciti per la vecchia? La storia ci dice che ella arrivò al lago 15 anni
prima che cominciasse il nostro racconto. Correvano a quell'epoca fra i pastori
dei monti biellesi le più strane novelle sul conto della donna del lago. Incontrarla
era ritenuto presagio di sventura. La vecchia,
vista da vicino, non aveva alcunché di strano o di spaventevole, per il che il
lebbroso si presentò chiedendole aiuto. La donna del lago meravigliata da quella
inspettata visita fece spogliare il vecchio e lo fece immergere nelle freddissime
acque del lago. Fece poi un fuoco dove bruciò gli abiti del vecchio. Andò a prendere
nuovi vestiti e fece uscire il lebbroso dal lago e lo fece sedere vicino al fuoco,
vestito di abiti puliti. Per il vecchio il calore del fuoco e gli abiti puliti
gli diedero una sensazione di benessere. In quel tempo la donna trovò un piccolo di orso con una coscia rotta, ai piedi di una frana, con la sua mamma morta li vicino. Prese in grembo la bestiola. Lo portò al lago e lo curò, ed essendosi questo affezionato alla sua padrona ed essa a lui seco lo ritenne, e lo ammaestrò ai più svariati servigi.
Ma torniamo al racconto... al ritorno da Issime, la vecchia è accompagnata dal mandriano e durante la salita al lago si imbattono nel cattivo Caio Celsa accompagnato dai suoi soldati e con due prigionieri. Caio Celsa, dopo la beffa dello spione taglialegna, era alla ricerca dei fuggitivi e della vecchia con l'orso. L'inaspettato incontro portò alla cattura della donna e del mandriano. Per stratagemma, venne deciso di condurre prigioniera solo la vecchia e di lasciar libero il mandriano, in modo che, seguito da uno spione, facesse scoprire il rifugio di Torquato e Clelia. Caio
Celsa e i soldati, attesero il ritorno della spia nella vicina case del Gufo.
La vecchia e i due prigionieri furono sistemati in un piccolo stanzino. (pag 106)
Con fatica raggiunsero la casa da
cui erano partiti ad Issime, nella quale trovarono anche il mandriano che raccontava
all'uomo la disavventura capitata. (pag 114).
La vecchia, Torquato, Clelia e l'altra
coppia di giovani amanti, passarono l'inverno nei pressi del lago, con qualche
pericolo corso per le valanghe e per gli animali pericolosi quali lupi, linci
ed orsi che infestavano la zona. Al suo giungervi trovò la città sottosopra.
La via principale formicolava di bordaglia che gridava: A morte i Cristiani! A
morte i nemici degli Dei e della Patria! Quindi era un irrompere della folla in
qualche casa, un estrarne di alcun disgraziato pallido e tremante, che fra quelle
mani in un batter di ciglio era ridotto a sfigurato cadavere. La
vecchia proseguì verso la casa di Clelia, ma quando vi giunse non trovò che rovine
fumanti. Il padre di Clelia, S.M. Rufo, era stato impiccato nella notte. Al cospetto
di tanta sciagura comprese che non poteva tornarsene al lago colla dolorosa novella
senza prima aver concertato con Cornelio, il fratello di Clelia, il da farsi.
Lo
spazio, facile adesso, ma aspro e malagevole allora, che separa Biella dal lago,
fu valicato in meno di sei ore. (pag 144) Ecco quindi la conclusione della storia con la vecchia che si scopre essere una regina, che muore raccontando del suo tesoro, nascosto in una vicina grotta. Verrà calata anche lei in fondo al lago, che da allora prende il nome di "Lago della Vecchia". |
Curiosità da libri biellesi antichi colpevole della riduzione dal testo originale e degli eventuali errori/orrori prodotti: Roberto Moretto 16 gennaio 2006 |