di Maurizia Palestro
articolo tratto da "l'impegno", giugno 2003.
È sufficiente sfogliare l’elenco telefonico per accorgersi di quanti cognomi veneti oggi compaiano tra gli abbonati residenti nei comuni biellesi, dove nei decenni passati le opportunità lavorative hanno attirato gente dal Nord-Est, oltre che dal Meridione. Sono facilmente riconoscibili quelli terminanti in consonante, come Galvan o Predebon, così come quelli derivanti da toponimi, quali Vicentini e Visentin.
Trivero ha molte famiglie con cognomi veneti: tra gli altri 14 Bonato, 3 Bordignon, 10 Boscardin, 5 Caldana, 4 Cantele, 18 Colpo, 5 Corradin, 7 Covolo, 14 Crestani, 17 Dalle Nogare, 5 Furlan, 20 Pizzato, 9 Rodighiero, 19 Ronzani, 7 Scalcon, 8 Zampese. Scendendo a Coggiola troviamo invece: 3 Cantele, 1 Colpo, 3 Covolo, 4 Crestani, 1 Facchin, 3 Galvan, 2 Nichele.
A Pray, paese confinante, la situazione è simile: 2 Bonato, 3 Caberlon, 1 Cantele, 3 Cogo, 4 Crestani, 3 Dalle Nogare, 2 Galvan, 3 Merlin, 1 Pezzin, 1 Pizzato, 3 Rodighiero, 1 Ronzani e 8 Zanello.
Anche spostandosi di qualche chilometro la presenza dei veneti emerge, ad esempio a Valle Mosso, altro comune interessato dall’immigrazione: 1 Boscardin, 16 Crestani, 4 Cortese, 4 Mason, 3 Pezzin, 13 Pizzato e 2 Rodighiero. In realtà la presenza dei veneti è diffusa nel mondo, non solo nel Biellese, in quanto la loro regione fu interessata dall’emigrazione. In anni lontani la gente veneta dovette abbandonare la propria casa e recarsi altrove, all’estero inizialmente e poi verso il triangolo industriale del Nord-Ovest ...
...un posto in azienda garantiva ottime opportunità, uno stipendio tutto l’anno e un lavoro meno massacrante di quello nei campi. Si può quindi dire che gli abitanti del Biellese svuotarono letteralmente le campagne. Ciao Baragia ’nduma a travajè a Biela è il verso di una canzone popolare che ben fa capire la situazione di allora. Fu proprio in relazione a queste carenze che la manodopera femminile proveniente dal Veneto si rivelò un serbatoio fondamentale per l’economia locale. Le giovani immigrate si accontentavano di paghe irrisorie. Quelle delle mondine erano pari a un terzo del salario dei braccianti biellesi e venivano accompagnate da un “regalo” in natura, cioè dieci chilogrammi di riso a fine stagione. Vennero a lavorare nelle risaie convogli interi di giovani prosperose, sane e belle, da Rovigo, Vicenza e Padova, alloggiate in grandi capannoni dove dormivano su materassi a terra, una accanto all’altra. Venivano nutrite con pranzi sobri nei campi e minestroni di riso alla sera, per poi andare a coricarsi ed essere pronte alle nove ore di lavoro del giorno dopo, con le schiene piegate e l’acqua fino al ginocchio. Ma nel Biellese giunsero anche gli uomini, impiegati in diversi settori: fecero gli stagionali per gli impresari edili o andarono a lavorare nelle aziende tessili. Alcuni lasciarono il Veneto a causa delle due guerre mondiali, che là ebbero conseguenze molto pesanti. Qualunque fosse la spinta o il percorso seguito, le vicende degli emigranti veneti nel Biellese si inseriscono in un contesto molto ampio: la grande emigrazione del Novecento, che coinvolse tutta l’Europa, con spostamenti all’interno degli stati, fra gli stati e fra un continente e l’altro. Veneti e piemontesi migrarono anche al di là dell’oceano ...
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Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia
13019 Varallo - via D'Adda, 6
www.storia900bivc.it
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26 giugno 2015
Testi e immagini forniti da Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia.
Un ringraziamento particolare a Raffaella Franzosi e all'autore dell'articolo proposto, Maurizia Palestro.
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