Te
lo do io il Brasile. Non ce l'ha dato Beppe Grillo, ma Enrico Ferrero,
che con uno scambio dell'ultima ora ha portato a Biella José dos
Anjos da Silva, detto Ronny, primo brasileiro della storia del calcio
laniero. Biella e gli stranieri: non sono stati sicuramente molti, ma
dietro ognuno di loro c'è una storia che vale la pena di raccontare.
Il primo fu un certo Karl August Schmuziger, era svizzero di
Aarau e - con ogni probabilità - nel 1907 era calato in Italia dalla
Patria di Guglielmo Tell - per lavorare nella stazione ferroviaria.
Quello che è certo, è che fu l'unico "foresto" della progenitrice della
Biellese, la Veloces. Morì in Brasile, a fine anni '30, dopo aver aperto
una fabbrica di calze da donna.
Un balzo negli anni '20 per parlare degli austriaci: in sequenza, dalla
Vienna degli asburgo, arrivarono Rudolf Soutschek (nella foto) ,
Josef Liebhart e Ferdinand Schachinger. Il primo si innamorò a tal
punto dell'Italia che decise di mettervi radici. Nella Biellese giocò
solo un pugno di gare, poi prese due case, una a Trieste, terra della
moglie, l'altra nel Monferrato, dove si dilettava a produrre del buon
vino. Ebbe una buona carriera da allenatore: tra le sue esperienze più
prestigiose quelle con Triestina, Fiorentina e Casale, ma si sedette
anche sulla panchina della Cossatese, dove lo ricordano per uno strano
accento alla Boskov. Liebhart (finalmente abbiamo appurato che la "d"
prima della "t" finale non ci vuole) fu allenatore nella Biellese che
disputo l'ultima A prima del girine unico nel 1928-29. Mezzala raffinata,
tornato a casa guidò il Rapid Vienna al titolo nazionale.
Ancora più curiosa la storia di Schachinger, detto "testina d'oro":
comprato come centromediano, si rivelò invece bomber di razza. Di professione
faceva il pompiere ed infatti la sua ultima squadra è stata la Feuerwarth
(una sorta di dopolavopro aziendale dei Vigili del Fuoco) di Vienna.
Sia lui che Liebhart sono morti negli anni '80. Soutschek nel 1960.
Altro balzo in avanti fino agli anni '50, quando la Biellese ebbe l'onore
di due tecnici della grande scuola magiara. Il primo, Elemer Berkessy,
origini romene, guidò addirittura il Barcellona, sì, avete capito bene,
proprio i blaugrana, mentre il secondo, Robert Winkler, si stabilì
a Como. Suo figlio vinse un oro olimpico nel canottaggio, ovviamente
per i colori azzurri.
Ma negli anni '50 arrivarono anche due giocatori ungheresi: la mezzala
Josef Samu (origini romene), dopo l'esperienza a Biella, andò
a giocare in Colombia, poi di nuovo in Europa, a Montpellier e Saragozza.
Si fece un nome nell'industria siderurgica. Non si hanno più notizie
su di lui, ma c'è un illusionista (il mago Samu) proprio di Saragozza
che porta il suo nome. Non sono parenti.
L'ala Istvan Szobel, andò ad allenare il Locarno, poi fu in Turchia,
ma sembra che si sia definitivamente stabilito in Belgio. Quindi c'è
Sebahudin detto "Dino" Biçaku, albanese, che non arrivò
col gommone, ma anzi era cugino del Re Zog. Quando giocava nel Voghera
un avversario - non era il nonno di Materazzi - lo colpì con un diretto
al volto facendogli perdere un occhio.
L'ultimo in ordine di tempo è Héctor Francisco Petrasso, argentino
dal passo di tango e dal gol facile. Arrivò a Biella nel momento sbagliato,
nel 1993 e la dirigenza bianconera gli fornì un alloggio privo di riscaldamento
in piazza Molise. Da qualche tempo è rinato diventando una stella del
beach soccer, il calcio da spiaggia.. Ci credo, con tutto il freddo
che ha preso...
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