IL BIELLESE NEI LIBRI. Brani tratti da:

Storia di Gifflenga

Una comunità e la sua terra nei secoli

a cura di Gabriele Ardizio. 2007 Lineadaria Editore

Storia di Gifflenga stemma comunale pozzo artesiano
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Lo stemma del Comune

Lo stemma, in uso dall'anno 2006, vuole, con le sue partizioni e figure, ricordare la storia e le principali attività economiche del territorio. Per quanto riguarda la memoria storica, nel "primo" si ricordano alcuni feudatari del luogo, gli Avogadro della Motta ed i Parella di San Martino. Nel "secondo" è ricordato San Martino, titolare della importante pieve medievale di Gifflenga, attuale chiesa parrocchiale; l'episodio del santo che divide il suo mantello con il povero è richiamato dalla rappresentazione grafica del drappo rosso tagliato dalla daga romana. Nel "terzo" si riprendono gli elementi economici e le attività agricole del territorio, con tre piante di riso (che simboleggiano i tre cantoni nei quali è suddiviso il Comune) e la gemella ondata, a simboleggiare le acque del torrente Cervo.
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L'enigma della presenza longobarda

Difficile è capire a che epoca possa risalire la prima comparsa dell'insediamento, certamente anteriore al X secolo se nel 926 — come tra poco vedremo più nel dettaglio — esso compariva già come centro di una certa importanza. L'ipotesi di una presenza longobarda — quindi tra VI e VIII secolo - è suggestiva e per certi versi plausibile: la presenza di ampi spazi incolti adatti all'allevamento di porci e cavalli ed alla caccia, la posizione accanto ad un guado e su una importante via di comunicazione frequentata fin dall'età romana sono infatti caratteristiche generiche che bene si attagliano alle scelte di insediamento dei primi nuclei longobardi che a partire dal 568 scendono in Italia32. Favorevole a questa ipotesi è la teoria formulata dallo studioso vercellese Giuseppe Ferraris, che in un suo denso contributo del 1987 prendeva in considerazione, oltre al toponimo, la dedica della pieve a S. Martino, figura particolarmente cara alla devozione longobarda, ipotizzando la fondazione dell'originario luogo di culto in un contesto "d'ispirazione e di espressione longobarda e cronologicamente appartenente all' VIII secolo"". In realtà gravi incertezze pesano su questa ipotesi: lo storico novarese Giuseppe Balosso ha notato che nelle zone in cui sappiamo con certezza ci sia stato un radicato insediamento longobardo manchino del tutto i toponimi in —engo, la cui validità come indicatori viene così a rivelarsi fallace'. E' quindi chiaro come sulla base del solo toponimo, quand'anche supportato da un esile e malsicuro dato agiografico qual è la dedica a Martino della pieve", non si possa parlare con certezza di presenza longobarda a Gifflenga. A livello più generale, si nota come i toponimi siano realmente significativi solo quando vi sia un concorso di più prove indiziarie, specialmente dal punto di vista archeologico; nel nostro caso non abbiamo requisiti di tal genere, né disponiamo di documenti o attestazioni storiche significative. Ciò che invece si può affermare con una certa sicurezza è che l'insediamento di Gifflenga nasce e si sviluppa in un clima socioculturale che, comunque, molto risente della eredità linguistica germanica e, forse, longobarda: cosa non sorprendente in un luogo sito in una zona di strada com'era quella lungo il Cervo.
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Il villaggio e la sua pieve

Sovente la documentazione più antica della quale si dispone per lo studio dei primi secoli del medioevo è strettamente legata alle fondazioni ecclesiastiche e monastiche: in una parola, alla storia dell'organizzazione religiosa del territorio. In questi secoli chiesa e impero sono infatti i due principali enti che erogano documenti scritti, gli stessi documenti scritti che a distanza di secoli ci permettono di ricostruire le origini delle nostre comunità e ritrovare le nostre radici. Così è anche per Gifflenga: la sua pieve – che ora meglio conosciamo come chiesa parrocchiale di S. Martino - costituisce infatti un buon punto d'osservazione per le vicende altomedievali di questo territorio, essendo le sue vicende intimamente legate a quelle del gruppo umano che ad essa si recava per pregare e per ricevere i sacramenti. Pieve: il termine deriva dal latino plebs, popolo, ed a partire dal IX secolo compare nella documentazione per indicare quelle chiese, soggette al vescovo, nelle quali vengono amministrati i sacramenti – in primo luogo battesimo e cresima – , viene celebrata la messa festiva, e presso le quali risiede un sacerdote al quale è affidata anche la cura pastorale delle cappelle dipendenti. [...] Ai tempi di Eusebio il cristianesimo vive una dimensione quasi esclusivamente cittadina; le campagne sono ancora largamente pagane, e va detto che in esse forti resistenze all'evangelizzazione si riscontrano ancora in pieno X secolo, a denunciare quanto lungo e tormentato fu il cammino delle comunità cristiane rurali nel medioevo vercellese.
pag. 92

Dall'Ottocento ad oggi

Fu durante l'Ottocento che vennero attuate le più rilevanti migliorie irrigue, determinate dalla volontà di rendere maggiormente redditizi i terreni, passando da un'economia ancora molto legata all'allevamento ed alla produzione di sussistenza a colture intensive, ed in particolare alla risicoltura. Le principali aste irrigue, però, appartenevano quasi totalmente a casate nobiliari che ancora ne detenevano l'uso, come nel caso dei diritti d'acque posseduti a Mottalciata nel 1862 dalla marchesa Giulia Colbert di Barolo. In tale anno il sindaco di Giffienga Martino Pomina, unitamente al consiglio comunale, evidenziando la necessità di impiantare prati e risaie sul territorio del comune per risollevarne le sorti economiche, stabilì di inoltrare supplica alla nobildonna per ottenere l'uso delle sue acque. Venne pertanto incaricato l'avvocato di Gattinara Giuseppe Fumo, particolarmente esperto in materia, di istruire le pratiche necessarie, che, tuttavia, incontrarono esito negativo26. Poco tempo dopo il comune, considerata la possibilità di ottenere vantaggi a livello di concessioni irrigue, partecipò all'impresa della costruzione del Canale Cavour, acquistando alcuni buoni azionari emessi dalla compagnia appaltatrice dei lavori. La realizzazione del canale, iniziata nel 1863 e terminata nel 1866 superando difficoltà tecniche enormi, non portò in realtà benefici immediati a questa zona, posta troppo a settentrione rispetto al bacino servito dalla nuova grande opera irrigua. Fu finalmente nel 1926 che si iniziarono i primi interventi di un certo peso: il parroco di S. Silvestro, don Angelo Livorno, fece perforare infatti alcuni pozzi artesiani per irrigare i terreni del suo beneficio, dimostrando le enormi potenzialità di questo sistema, che consentiva di avere acque copiose e limpide in tutti i periodi dell'anno. Scrivono P. Torrione e V. Crovella: "l'esempio, visti gli effetti benefici, fu tosto imitato specialmente nel vicino paese di Giffienga. Terreni baraggivi, brughiere fino ad allora occupate da sterpi e da cespugli, si mutarono in risaie, in prati, in campi ricchi di abbondanti raccolti". Di quella stagione felice restano a documentazione alcune stupende fotografie, che forniscono interessanti dati tecnici riguardanti i metodi di perforazione.
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Vivere a Gifflenga nel Settecento

Leggendo gli atti dei quali ci siamo serviti per tracciare un profilo del paesaggio agrario nel corso del XVIII secolo è difficile farsi un'idea di come, in concreto, fosse la vita in paese in quel periodo. Le case, le stalle e i fabbricati rustici, le strade, gli orti ed i canepali costituivano lo scenario sul quale gli abitanti conducevano un'esistenza nella maggior parte dei casi veramente faticosa, della quale le linee più nitide ci sfuggono, solo a stento si intravedono tra le righe dei documenti. Le case, innanzitutto, frequentemente definite negli scritti come "case da fuoco", cioè destinate all'abitazione di una famiglia (il fuoco, appunto)": quasi tutte a due piani e coperte con tetti in paglia o — di rado, per chi poteva permetterselo — in coppi, erano costruite con ciottoli del torrente, talvolta irrobustiti con corsi di mattoni. Scale esterne permettevano di accedere ai balconi — le lobie — in legno, che funzionavano allo stesso tempo da collegamento tra le varie stanze e da essiccatoio per la meliga e la canapa, mentre l'organizzazione degli spazi interni era estremamente semplice. Al piano terra, accanto alla stalla, c'era la cucina, con il suo camino in muratura: l'arredamento era minimo, limitato ad un tavolo con panche o sgabelli ed un cassone per riporre le suppellettili domestiche, il cui numero e la cui qualità variava a seconda della disponibilità finanziaria del padrone di casa". Al primo piano erano generalmente collocate la camera da letto, con pagliericci in piuma o in foglie di granoturco, e il magazzino-fienile, quest'ultimo di frequente posto sopra la stalla. In alcuni casi, attigua alla cucina, c'era anche la "crotta", cioè la cantina, dove si conservavano "botalli, tini e vaselli da vino. Molto più articolato, soprattutto per le "cassine da massaro" appartenenti a padroni facoltosi, come nel caso della massaria dei Gromo di Ternengo, era il panorama dei fabbricati rustici e produttivi: se la stalla quasi sempre faceva corpo unico con la casa da fuoco, porcili e pollai invece erano sovente staccati e tra loro attigui, secondo un modello costruttivo ancora largamente praticato all'inizio dello scorso secolo.
interno libro



Lo scopo di queste pagine è di mostrare (attraverso i libri) le caratteristiche storiche, turistiche, sociali ed economiche del Biellese. Qualche fotografia e un po' di testo, senza pretesa di fare un lavoro perfetto, creando un archivio che cresce e migliora nel tempo. IL BIELLESE NEI LIBRI è a disposizione di tutti gli editori/autori che vogliano fare conoscere le opere riguardanti il territorio. La pubblicazione avviene in forma gratuita.

ricerca di Giorgio Gulmini
realizzazione Roberto Moretto
un grazie particolare all'Autore e all'Editore per la disponibilità ed il supporto al progetto Biellaclub.

 



12 gennaio 2012