QUASI UN SECOLO DI CURE GHIACCIATE

Nel Biellese si sviluppò una scuola idroterapica più dolce di quella tedesca, più articolata nell'uso della temperatura. Il declino dell'idroterapia avvenne lentamente quando l'indirizzo alberghiero prevalse su quello medico

di Gian Paolo Chiorino

Un albergo vicino ad Oropa con duecento letti, uno a Graglia con centocinquanta e due ad Andorno con altrettanti, cento letti a Cossila e cento a Biella Piazzo. Un sogno per il futuro del turismo nel Biellese? No, è la realtà di un secolo fa. Non erano posti letto qualsiasi, attrezzati alla buona come in una locanda di paese alla fine dell'800 o spartani come quelli per i pellegrini ad Oropa. Erano in alberghi eleganti, circondati da giardini, da laghetti e da passeggiate, con buoni ristoranti, con sale di lettura, da biliardo e da ballo e soprattutto con molte stanze di cura, all'avanguardia e di gran moda. Si tratta, è chiaro, degli 'stabilimenti idro-terapici' biellesi, nati nello spazio di trentanni dal 1850 al 1882. Una realtà che meraviglia un poco, che sembra stridere con il nostro carattere riservato e con la nostra scarsa propensione all'industria del turismo. Si stenta ad immaginare che nel luogo delle rovine misteriose e degradate di Oropa Bagni, cui noi biellesi del 2000 non riusciamo a dare decente sepoltura, vivessero duecento eleganti persone dal lieve e colto conversare, impeccabili nei loro vestiti di fine '800, attente ad osservare gli ospiti illustri degli "stabilimenti" (il Carducci, il Marconi, la Duse, i principi di Casa Savoia), liete di ammirare le montagne dalle finestre dell'albergo rivolte a nord e la pianura afosa ed opaca da quelle che guardavano a sud. Liete di godere del verde, della pace, di un bicchiere di latte fresco, delle cure un po' empiriche ed un po' scientifiche cui, abbastanza di buon grado, si sottoponevano. Come fecero i biellesi dell'800 a convogliare nelle nostre valli da maggio a settembre qualche migliaio di turisti che viaggiavano in treno ed in carrozza per un giorno almeno, ed a farli restare per alcune settimane a curare il corpo e lo spirito ed a vederli tornare puntuali l'anno successivo? Come nacque questo business, chi lo inventò, chi lo spinse, chi studiò queste cure, chi le sperimentò sui malati, chi le pubblicizzò così bene? E poi perché proprio nel Biellese? Quanto dipese da questi luoghi, quanto dalle acque, dal clima, dagli "stabilimenti", dai medici, dalla fiducia o dalla moda? Quale fu l'aspetto serio delle cure e quale quello mondano? Cosa ci resta: un semplice ricordo, un insegnamento, qualcosa che vale ancora oggi? A centocinquantanni dall'apertura del primo stabilimento idroterapico ad Oropa ed a sessanta dalla chiusura dell'ultimo a Graglia, è interessante tracciare un bilancio di questo particolare fenomeno durato quasi un secolo, riordinando criticamente le notizie che sull'argomento ci sono pervenute. Per organizzarlo meglio e renderlo più leggibile si può cercare di schematizzarlo, raggruppandolo in alcuni argomenti che facciano da filo conduttore per una più agevole lettura, lasciando a chi è interessato di approfondirlo attraverso la vasta bibliografia disponibile.


L'idroterapia come teoria medico-scientifica

Centocinquantanni fa i medici disponevano di un numero limitato di medicine, di origine naturale. I processi di sintesi, le ricerche di laboratorio, la sperimentazione scientifica su vasta scala non esistevano. Mancavano ad esempio gli psicofarmaci, per cui le possibilità curative delle malattie psicosomatiche erano scarse. La vita era scandita da ritmi più tranquilli di oggi e questo male era meno diffuso, ma rappresentava già un problema, pur rimanendo coperto da una natu-rale riservatezza, da mancanza di conoscenza e di cure possibili. Analogamente non esistevano medicine per molte malattie infettive, per molti attacchi febbrili, per le nevrosi e le nevralgie. Alcuni medici iniziarono ad interessarsi del problema, utilizzando empiricamente le poche cure di cui potevano disporre. Si formo così in alcune nazioni europee un gruppo eterogeneo di praticoni e di studiosi che cercarono soluzioni diverse dalle medicine alle malattie psicosoniatiche (dette allora "nervo-sanguinee") ed alle altre malattie sopra citate: chi con rigore scientifico, chi con intuizione, chi scopiazzando le altrui ricerche, chi per puro spirito commerciale. Nacquero associazioni, gruppi di studio, pubblicazioni scientifiche. Tra i primi ad emergere fu una singolare figura di praticone, Vincenzo Priessnitz, che operò in Slesia nella prima metà del secolo scorso, definito dal biellese dottor Mazzuchetti "contadino fanatico e perseverante che aprì un nuovo orizzonte all'idroterapia". Perché proprio nella cura con l'acqua i medici dell'800 cercarono una possibile soluzione a vari tipi di malattia, specie a quelle difficilmente curabili con le medicine allora disponibili. Essi non partirono da zero, ma si rifecero all'antichità (gli Sciti, i Medi, gli Egizi) quando l'acqua fredda era impiegata per fortificare il corpo, poi ai Greci e soprattutto ai Romani, i veri precursori e cultori delle cure idroterapiche, che trasformarono il bagno da strumento di igiene ad una serie di operazioni che procuravano al bagnante una gradita e piacevole sensazione di benessere. L'attesa nell'atrio e nei portici, l'ingresso nello spogliatoio, poi nel frigidario, nel tepidario, nel calidario, l'immersione in piscina, l'asciugamento con la sindone, l'ingresso nell'untuario, i massaggi con le essenze odorose, il riposo sul letto in una stanza profumata degustando bevande aromatiche: era tutto un percorso finalizzato al benessere fisico e psichico.


L'idroterapia nell'800

Priessnitz, da bravo slesiano, colse nel percorso delle terme romane essenzialmente il frigidario e mise a punto una cura di docce gelate rinforzate da energici e rudi trattamenti di spugnatura sul corpo, eseguiti in stanze sparta ne ed un poco lugubri, le "cameracce di tortura" come le definì Vinaj, direttore di Andorno Bagni, e come mostrano alcune fotografie pervenuteci. I risultati comunque ci furono: nel suo stabilimento idroterapico di Graeffemberg, il primo in Europa ed autorizzato dal governo austriaco, furono curate dal 1829 al 1835 più di dodicimila persone affette da vari tipi di malattie fisiche e psicosomaticbe. I medici osteggiavano l'empirismo di Priessnitz ma i pazienti, che sono la cartina al tornasole della validità delle cure, ritornavano da Graeffemberg soddisfatti. Del resto l'empirismo non è sinonimo di ignoranza: Priessnitz era un acuto osservatore, un contadino che aveva iniziato a curare con l'idroterapia i suoi animali, poi se stesso dai postumi di una caduta da cavallo, infine i suoi parenti ed amici, così che il cerchio dei suoi estimatori si allargò. Col tempo perfezionò le sue cure con esercizi muscolari, eseguiti con una scure ed una sega, da bravo contadino, e con il controllo della dieta dei pazienti. Priessnitz fu il padre dellidroterapia in Europa nell'800 e dalla sua scuola vennero tra i primi il dottor Baldou in Francia e il dottor Guelpa in Italia, curato e guarito a Graeffemberg da una malattia intestinale: egli, entusiasta dei risultati avuti da queste cure, aprì nel 1850 ad Oropa il primo stabilimento idroterapico del Biellese.


L'idroterapia nel Biellese

Lo spirito latino non tardò ad addolcire le energiche cure di Priessnitz: iniziò così il lento cammino che in un secolo portò dallo stabilimento idroterapico puro allo stabilimento con albergo ed infine all'albergo con annesse cure idroterapiche; dall'aspetto puramente medico a quello ambientale, turistico e commerciale. Si cominciò a considerare che l'acqua gelata aveva dato buoni risultati al Priessnitz e pure al Guelpa suo allievo, ma che anche quella tiepida e quella calda ("da 8° a 500° graduabile" come recita la pubblicità dello stabilimento idroterapico di Biella Piazzo) avevano le loro virtù e meglio si adattavano alla tolleranza del malato; che le spugnature troppo rudi potevano trasformarsi in massaggi più delicati. Si sviluppò in Francia, in Italia, nel Biellese in particolare, una scuola di idroterapia più dolce di quella tedesca, ma non meno efficace, anzi più articolata nell'uso della temperatura, dell'intensità del getto, delle docce alternate ai bagni totali e parziali, al nuoto in piccole piscine, agli impacchi e alle frizioni; nella cura dell'alimentazione e nelle altre cure di supporto (elettrica, massoterapica, pneumoterapica, elioterapica, inalatoria); nel bere l'acqua delle nostre montagne ed il latte delle mucche di Oropa (la "cura lattea"). Gli studi condotti dai medici biellesi stabilirono che l'acqua fredda tonifica la muscolatura, ne aumenta la resistenza alla fatica, rallenta le pulsazioni, aumenta il tono cardiaco, la pressione sanguigna, la vasocostrizione periferica, la viscosità del sangue, il numero delle piastrine e delle emazie, l'anicitosi ed infine modifica la formula leucocitaria. L'acqua calda aumenta l'eliminazione dell'azoto e dell'acido urico, diminuisce gli scambi respiratori, determina vasodilatazione periferica, ipotonia cardiaca, accelerazione delle pulsazioni, abbassamento della pressione sanguigna... Forse questo elenco di positivi effetti fu un poco enfatizzato per attirare clienti. Resta il fatto che ciascuno di noi può constatare personalmente come la diversa temperatura di un bagno agisca sul suo tono fisico e psichico, stimolandolo o calmandolo. O, per dirla come il dottor Vinaj, "l'idroterapia ritempra la fibra umana disfatta nella tormentosa battaglia dell'esistenza. È la natura che porta forza e calma, dove le artificiosità esaurienti del godimento, gli sforzi sproporzionati e gli strapazzi della mente hanno creato debolezza e ipereccitabilità".


Gli "stabilimenti" biellesi

Il termine "stabilimento" non parrebbe così indicato ad attirare un turismo qualificato e richiama più le fabbriche di pannilana che non la pace dei luoghi ove gli stabilimenti idroterapici sorsero. Altrove, ma non da noi, si chiamavano "terme" ed evocavano i piaceri di quelle romane. I biellesi vollero forse sottolineare il lavoro che ruotava attorno alle cure idroterapiche: tra medici, aiuti, bagnini, facchini, fuochisti, camerieri, cuochi, amministrativi e tecnici, molti nostri concittadini trovarono impiego, seppur stagionale, e guadagno. Alla fine, per brevità, gli stabilimenti si chiamarono "Bagni": molti biellesi ricordano le fermate dei tram di Cossila Bagni, Oropa Bagni e Andorno Bagni. Ognuno degli stabilimenti idroterapici ha avuto una sua storia diversa, dalla data di nascita (Oropa per primo nel 1850 e Graglia per ultimo nel 1882) a quella della definitiva chiusura. Ognuno ha avuto il suo fondatore, i suoi direttori medici ed amministrativi, le sue alterne fortune, i suoi clienti affezionati e le loro singole storie di cure e di vacanze. Ognuno merita un racconto a parte, una raccolta più completa della documentazione rimasta, una testimonianza postuma di chi vi aveva lavorato e di chi vi era vissuto come ospite-paziente, una ricerca, una pubblicazione e forse una mostra negli edifici che ancora oggi esistono. Fortunatamente questa ricerca storica è già iniziata, specie ad Andorno (dott.sa Maria Teresa Baietto) e a Graglia (arch. Marco Astrua). È una testimonianza dovuta dai biellesi di oggi a quelli di ieri.


I medici, le cure ed i pazienti negli stabilimenti biellesi

Molti scritti, studi, divulgazioni, articoli sull'idroterapia furono pubblicati in Italia tra la seconda metà dell'800 e gli anni '20, soprattutto dai medici che diressero gli stabilimenti biellesi. Il citato Vinaj, Guelpa, Mazzuchetti, Rovasenda, Sormano, Burgonzio, Debernardi, Pavesio, Corte, Toso, Gilardino, Sisto, Vinea furono gli autori di questi studi e delle pubblicazioni che apparvero su riviste mediche e spesso anche su la Rivista Biellese. Si tratta in genere di articoli brevi, riassuntivi e talvolta un po' ripetitivi. I libri sull'argomento furono invece pochi: nel 1858 l'Idroterapia del Guelpa, nel 1873 l'Idroterapia scientalca del Corte, nel 1881 la Guida pratica all'idroterapia del De-bernardi, nel 1889 la Tecnica del bagno del Burgonzio e nel 1916 Le acque minerali egli stabilimenti termali idropinici e idroterapici d'Italia del Vinaj, i primi tre stampati a Biella, uno da Ardizzone e due da Amosso, gli altri a Torino da Casanova e a Milano da Grioni. I nomi dei cinque medici sono ben noti: Guelpa fondò Oropa Bagni e poi Graglia con Sormano e Burgonzio, Corte fondò Andorno, che Vinaj potenziò, e Debernardi il Piazzo. Un libro poco noto, e stranamente mai citato nelle relazioni degli anni successivi, fu il "Compendio di idroterapia teorico-pratica, ovvero guida all'uso curativo dell'acqua specialmente fredda ed applicata nelle malattie croniche" del Dottore Emilio Coda, assistente alla direzione medica dello Stabilimento Idroterapico di Oropa del Cav. Dott. G. Mazzuchetti Direttore-Proprietario, stampato in Biella da Amosso nel 1892. Non è un libro da poco: sono 250 pagine scritte con cura con precisione scientifica, con amore per la propria terra e per la valle nativa, quella di Oropa, in cui sorgevano gli stabilimenti di Cossila e di Oropa, ove il dottor Coda operava. Un libro così completo merita uno studio a parte, che esula dai limiti di questo intervento sull'idroterapia nel Biellese. Lo merita perché già dall'indice si ha un'idea della completezza di questo trattato: comincia con un "sunto storico", prosegue con "gli agenti idroterapici, calore e freddo", poi con "l'azione fisiologica degli agenti sull'organismo", le "tecniche idroterapeutiche", i " mezzi sussidiari dell'idroterapia" e gli stabilimenti idroterapici biellesi". Segue un lungo capitolo su quello di Oropa con la storia completa, dall'inizio del dottor Guelpa in una casa di montagna, detta Reja dai valligiani, fino ai successivi grandiosi ampliamenti del dottor Mazzuchetti: prima l'ala di levante con cucine, forno, pasticceria e gbiacciaia, con la table d'hòte", le camere nuove ed i quartierini per le famiglie; poi l'ala di ponente con il loggiato, il grande terrazzo ed i nuovi apparecchi idroterapici; infine lo scalone monumentale in sienite, il giardino inglese, la latteria, la strada di accesso dalla cappella di S. Fermo, la sua prosecuzione come passeggiata ombreggiata, i sentieri verso la montagna, il rimboschimento con pini ed abeti. Il libro del Coda termina con un capitolo sui mezzi idroterapici ed uno sulla scelta della cura e la sua durata. Stranamente un trattato così completo non viene neppure citato in un importante intervento di G. Scipione Vinaj, "L'idroterapia nel Biellese", apparso sul libro Il Biellese edito dal Club Alpino Italiano nel 1898. Per comprendere questo silenzio sarebbe interessante esplorare più a fondo le figure dei medici prima ricordate ed i loro rapporti personali, scientifici e concorrenziali.


Un esame critico a posteriori

In sintesi, che significato ebbe l'idroterapia nella medicina di fine '800, quale fu la sua validità scientifica, quanto fu utile ai pazienti, quanto preparati furono i medici che la praticarono, cosa rappresentò per il Biellese e la sua gente?

  • La validità scientifica. Discreta, con una enfatizzazione eccessiva dei risultati ed un'alta componente psicologica di autoconvincimento del paziente. Bisogna tenere conto che la medicina ufficiale non aveva molto di meglio da proporre in quegli anni e che oggi si è sempre più convinti che la fiducia dell'ammalato nel medico, nella cura ed in se stesso sia alla base di molte guarigioni.
  • Gli effetti sui pazienti. Buoni, risultati dalla combinazione di cure semplici ed efficaci, di ambiente sereno di medici attenti e convincenti, di distacco dalle quotidiane preoccupazioni, di relax, di cibo curato, di positive comunicazioni interpersonali facilitate dalle malattie e cure comuni e dai comuni problemi.
  • La preparazione dei medici. Più che buona, con un eccessivo entusiasmo sulla validità delle loro cure. Di certo a favore dei medici, specie dei biellesi, va riconosciuto un impegno totale a fare bene il loro mestiere, che permise loro di ottenere un risultato notevole, in relazione alla povertà dei mezzi che l'idroterapia metteva a loro disposizione, nelle sue semplici variabili di temperatura, pressione e parte del corpo cui essere applicata.
  • L'impegno dei direttori degli stabilimenti, dei proprietari e degli amministratori. Totale, frutto combinato di interessi commerciali e turistici, di successo insperato da consolidare, di talento orientato al marketing, delle cose fatte bene, tipico dei biellesi, di oculatezza nell'amministrare un ambiente naturale notevole, ricco di acque pure ed alla giusta distanza dalle grandi città. Un viaggio da Torino ad Oropa era allora una piccola avventura che durava un giorno, che giustificava due settimane di permanenza e di cure che creava un vero distacco dal lavoro e dalle tribolazioni quotidiane.
  • I risultati per il Biellese. Un'alternativa ad un'agricoltura di sussistenza, ad una pastorizia montana e faticosa, ad un'industria in trasformazione, una notevole occupazione diretta ed indotta, pur se stagionale, creata dai circa settecento ospiti degli stabilimenti idroterapici.

Il declino e la chiusura

Ogni ciclo storico ha un inizio ed una fine non dovuti al caso. Nella storia dell'idroterapia biellese, l'inizio fu un insieme di circostanze fortunate, cui si è fatto cenno, unito ad un forte impegno di alcuni medici-direttori di spiccata personalità. La fine non avvenne di colpo, ma maturò un poco alla volta durante quasi un secolo, un periodo già lungo anche in un contesto lento nei cambiamenti. Le circostanze fortunate dell'inizio si modificarono un poco alla volta: un segno del cambiamento fu il rendere sempre più dolce l'energica cura che il Guelpa portò da Graeffemberg, quasi uno sconto nei riguardi degli ospiti per i quali l'idroterapia all'inizio fu una cura e basta, poi divenne un accessorio un po' noioso di un piacevole soggiorno in albergo. È significativo quanto scrisse nel 1932 sulla Rivista Biellese il prof. Rovasenda, direttore di Graglia: Bisogna rinnovarsi o morire... cure che si possono fare in soggiorni piacevoli (la clientela è scelta ed omogenea, senza malati gravi od impressionanti): ad esse vanno volentieri anche persone e famiglie per una pura cura climatica". Il segno del cambiamento fu dunque il graduale passaggio dallo stabilimento idroterapico con stanze per gli ospiti, all'albergo con le cure annesse. La direzione alberghiera, svolta da persone che seguivano anche alberghi in Liguria, prevalse su quella medica. Segno dei tempi, del mutare delle richieste dei clienti, delle loro possibilità economiche, di un'offerta turistica che in Italia si stava evolvendo. Paradossalmente, la disponibilità ad adattarsi alle richieste degli ospiti fu l'inizio della fine. Altre località al mare, sui laghi e sui monti offrivano attrattive più stimolanti ed erano ormai raggiungibili in tempi ragionevoli. L'attrattiva biellese della tranquillità, del verde, del latte e... dei temporali estivi scemò col tempo. Fino a che gli stabilimenti cominciarono a chiudere, quello del Piazzo nei primi del '900, gli altri negli anni '20 e '30, ultimo quello di Graglia qualche anno prima dell'ultima guerra. Continuò l'attività nel dopoguerra, solo come albergo. Oggi Oropa Bagni è in tristi condizioni, al Piazzo ci sono associazioni ed alloggi privati, ad Andorno ci sono la Domus Laetitiae, il municipio e le scuole, a Graglia un residence a Cossila, chiusa anche la clinica del dottor Guarnieri, il singolare edificio neo-gotico è deserto.


Oggi: è solo storia?

Trascurate totalmente negli ultimi cinquantanni, vissuti sull'onda di sempre nuove medicine specialistiche, che curano ogni parte del nostro corpo ma talvolta dimenticano il tutto, le cure naturali stanno ritornando oggi di attualità. I bagni di fieno, i massaggi, le diete, le erbe, gli idromassaggi, le cure omeopatiche si affiancano oggi alle uniche cure naturali che hanno conservato nel tempo il loro richiamo: quelle termali ed oligominerali. Quanti alberghi in Italia e all'estero si trasformano in "centri di benessere"! C'è spazio ancora per il Biellese in un campo che le disponibilità economiche e di tempo libero, la vita più lunga, la cura per il proprio corpo, un certo rifiuto per le medicine, la ricerca di un equilibrio fisico e psichico, le necessarie pause dallo stress, rendono molto interessante per il futuro? Per dare una risposta, è necessario confrontare gli elementi positivi (il verde, le passeggiate, l'acqua, alcuni cibi genuini, la tranquillità, le oasi di spiritualità) con quelli negativi che il nostro territorio presenta (i limiti del turismo, il clima estivo umido, la mancanza di richiami forti quali il mare o le alte vette, la carenza di grosse manifestazioni culturali e di divertimento). Poi fare un bilancio, tenendo presente che non sempre è indispensabile disporre di un ambiente ad alto richiamo per iniziare un'attività di questo tipo. Un esemipio tra tanti: i bagni di fieno per curare i reumatismi a Garniga Terme, un paesino del Trentino sulle pendici del Bondone, praticati per secoli dai contadini che ne avevano scoperto per caso l'efficacia; poi abbandonati a lungo e ora riaperti da un'iniziativa del comune di Trento in collaborazione con il Centro di Ecologia Alpina e l'Università, che ne controllano e certificano la validità terapeutica. La storia di ieri che oggi ritorna cli attualità. Potrebbe succedere anche nel nostro Biellese?

 

articolo pubblicato su RIVISTA BIELLESE - Anno 3 numero 4 - Ottobre 1999 - Periodico trimestrale

su www.biellaclub.it per gentile concessione dell'autore e dell'editore