Sonia Damiano

Il maestro ebanista che operò in San Sebastiano

Trasferitosi a Biella da Vespolate, prima del 1526 vi apre bottega. Sono opera sua gli stalli della basilica. Più che dall’intaglio, la qualità del prodotto è determinata dalla moderna tarsia


L’abside della basilica di San Sebastiano in Biella è percorso da un insieme di stalli opera del meistro Jeronimo de mellis de vespola, così come si legge negli accordi intercorsi tra questi e il padre don Egidio de santagata preposito di san sebastiano di Biela (1), risalenti al febbraio del 1546; erano trascorsi sei anni dalla consacrazione di tale edificio di culto, voluto da Sebastiano Ferrero (2).

Il leggio pertinente agli stalli di San Sebastiano venne esposto da Vittorio Viale, nel 1938, alla mostra Gotico e Rinascimento in Piemonte (3). In tale circostanza solo i dati di stile erano a disposizione degli studiosi, impegnati nel corretto inquadramento dell’arredo; si legge infatti nella scheda del Viale:

"Il leggio fa parte di quel mirabile complesso, che è il coro di San Sebastiano di Biella, costruito nel primo quarto del XVI secolo".

Ma nel 1947 (4) Pietro Torrione reperiva nell’archivio di Casa Lamarmora (5) l’originale del contratto stipulato tra il capitolo dei lateranensi di San Sebastiano ed il ‘mastro ebanista", così come lo si potrebbe definire secondo una felice terminologia di XVIII, piuttosto che non di XVI secolo. Il Torrione inseriva il Mellis tra i "maestri intagliatori piemontesi del Rinascimento", ma l’etichetta, a mio modo di vedere, non rende merito alla specificità professionale: non è tanto l’intaglio a determinare la qualità del prodotto che esce dalla bottega biellese del nostro, quanto la più moderna tarsia.

Lo stato delle notizie intorno a Gerolamo de Mellis da Vespolate resta fermo alla situazione delineata nel 1947. Vespolate si trova in provincia di Novara (6): già il Torrione proponeva per il maestro una formazione lombarda come ‘chiaramente lo dimostra il suo stile che è del migliore Rinascimento bramantesco". Trasferitosi a Biella prima del 1526, vi apre bottega. L’attività per il capitolo di Santo Stefano, per cui esegue un coro precedente a quello di San Sebastiano, e purtroppo disperso (7), si collocherebbe intorno al 1530: in un libro dei conti, alla data 22 aprile 1530, il Mellis è infatti pagato per l’esecuzione di una croce e di un riccio di pastorale in legno (la memoria non può che andare ai tramezzi a riccio di pastorale del coro di SantAntonio di Ranverso, ora in parte a San Giovanni di Saluzzo). Successivamente il registro dei conti dei Rettori di Biella (1557-1563) ricorda Gerolamo attivo per una giornata di lavoro alle fortificazioni di Gaglianico, al tempo dell’occupazione da parte delle truppe del Brissac. Inoltre, stando al medesimo registro, egli risulta aver ospitato, secondo le prescrizioni, un cavallo ed un soldato del conte Albrici (8). Sempre come riferito dal Torrione, i suoi discendenti mantennero la residenza in città, portando avanti l’attività dell’avo (9), ma nessuna delle loro opere ci è giunta o ci è nota a livello documentario.

Dunque si vada al documento siglato nel febbraio 1546, seguendo la trascrizione del Torrione. L’atto prende l’avvio dai pattj et promissione, intercorsi tra committente ed artefice, che si definisce habitator di biella. Il coro di San Sebastiano sarà a similitudine di quello realizzato per la chiesa di San Francesco, con alcune eccezioni. Innanzitutto i piedi saranno realizzati secondo il modello presentato ai Canonici, con rimpianto per il disegno perduto allegato al contratto. Dal sedile in zoso sarà liscio, senza decori, là dove nei casi di Alba e Vercelli i maestri intarsiatori si erano esibiti in mirabili vedute prospettiche e nature morte allusive. Il pannello tra lo schienale del sedile ed il poggiaschiena (brazale) sarà ligato (rilegato) con una cornice; sopra il piano della cornice comparirà una tarsia stretta. Tutt’attorno all’incavo del brazale una tarsia mezzana un altro intarsio sarà poi nel pede stallo che unisce il quadro al brazale. Il quadro grande che congiunge il poggiaschiena al cielo del baldacchino verrà delimitato da due cornici: una grande ed una piccola; tra le due cornici un decoro a tessere lignee. L’ordine che unisce il messoloto (?) al quadro sarà rilegato da due cornici, tra le due un ulteriore intarsio alla certosina. Il cielo dovrà essere un’ unzia più largo di quello di San Francesco, con un pannello per sedile, percorso da una tarsia lungo il perimetro. Nel fregio tra il corniso e larchitravo comparirà una decorazione intarsiata simile a quella del Sant’Andrea di Vercelli (10) (il contratto per quest’ultimo complesso, opera del cremonese Paolo Sacca risale al 6 settembre 1510; alla medesima bottega di famiglia si deve anche il coro della Certosa di Asti, risalente al 1496, non pervenutoci). Sopra il cornisono, per ogni scanno, doy scartozjet (che dovrebbero coincidere con il decoro a foglia d’acanto dall’andamento sinuoso, speculari rispetto ad un’anfora) e tra i due scartozi uno vasito tornito e bello. Cornicione ed architravi saranno entrambi di tre ordini, ad intaglio. I messoloti (?) saranno intagliati come quelli di San Francesco. Gli scartozi (poggiamano a voluta vegetale) sopra il brazale saranno eseguiti secondo il disegno fornito e posti in opera al rovescio di quelli di San Francesco. Nei seggi dell’ordine inferiore, infine, le tarsie andranno realizzate come in quelli dell’ordine superiore, dove li potrà andare.

Dopo la firma del Mellis segue quella del preposito Egidio da Santhià, preceduta da un’annotazione: i lateranensi pagheranno 38 fiorini di Savoia per sedia, intendendo con sedia singola sia il seggio superiore che quello corrispondente dell’ordine inferiore non viene indicato il numero complessivo di stalli da portare a termine. L’atto verrà registrato dal notaio biellese Andreas de Villanis il 29 aprile di quello stesso anno, nel chiostro del monastero di San Sebastiano alla presenza di un famulo e del carpentiario Augustino Rantiso de Caneto. Ipotizzo che quest’ultimo personaggio altri non fosse che uno dei carpentatores formarum collaboranti con il meistro Mellis in una bottega professionalmente strutturata per competenze specifiche: il carpentiario, come dice il termine stesso, si occupava della carpenteria lignea del complesso, che, non dimentichiamolo, era un’architettura autoportante, con le conseguenti problematiche di staticità da risolvere in piena perizia tecnica da quella parte dell’équipe cui non spettava l’incarico di decorare per intarsi e tarsie.

L’insieme ci è giunto composto di ventitré elementi dell’ordine superiore e di altrettanti di quello inferiore, unitamente ad un leggio monumentale: in origine doveva essere costituito per lo meno di ventiquattro seggi, divisi in due schieramenti contrapposti, dunque almeno due posti a sedere (uno superiore ed uno inferiore) vennero sacrificati al momento della collocazione a ridosso dell’abside, come da adeguamento alle normative post-tridentine. Già il Torrione segnalava la presenza dei medaglioni in rame e smalto, riconoscendoli come non coevi alle parti lignee, avvicinandoli per confronto a quelli dell’urna di Guala Bicchieri ed ipotizzando la famiglia Ferrero come responsabile dell’arrivo a Biella del preziosissimo corredo, apposto ai dossali. Secondo Simonetta Castronovo (11), che ha studiato tali medaglioni (ritenuti recentemente copie ottocentesche degli originali, forse venduti), per volere di Egidio da Santhià lo stesso Mellis avrebbe realizzato, sui dossali del coro, la sede per le preziose placchette, nonostante il contratto parli esplicitamente di dossali lisci.

La ricerca di termini di confronto ante quem ci porta necessariamente ai cori intarsiati di Sant’Andrea a Vercelli, del 1511, e del Duomo di Alba, quest’ultimo realizzato tra il 1512 ed il 1517 da Bernardino Fossati di Codogno, studiato da Giovanni Romano (12). Nel complesso albese, precedente di circa un trentennio il caso biellese, già compare la tarsia del pannello frontale di baldacchino a mura turrite e merlate secondo una visione prospettica (13); analogo è l’intarsio lungo i poggiaschiena, analoghi i tramezzi sia dell’ordine inferiore che di quello superiore (ricompaiono le stesse scanalature in verticale, più distanziate le une dalle altre nel coro di San Sebastiano), simili i poggia-mano originali, evoluzione della foglia a gattone di medioevale memoria. Furono probabilmente queste evidenti analogie con arredi di alcuni decenni precedenti a spingere il Viale, non al corrente dell’esistenza del contratto del ‘46, verso una datazione di primo quarto di Cinquecento, attribuendo al complesso un immediato aggiornamento sulla base delle novità in circolazione in territori limitrofi.

Ma il coro realizzato alcuni anni addietro per la chiesa di San Francesco non fu l’unico arredo locale ad influenzare il progetto e l’esecuzione del Mellis: spicca il confronto con gli stalli di San Girolamo (1523), per le analogie tra le lesene scanalate a basso rilievo e ricco capitello tra un dossale e l’altro; in entrambi i casi poi, a reggere il cielo di baldacchino, compare un importante modiglione arricchito da racemi.

Ci si domanda infine quali generi di oggetti uscissero dalla bottega del maestro di Vespolate, essendoci nota la produzione di cori ed arredi liturgici ad intaglio di piccole dimensioni; inevitabile ipotizzarne un’attività di corniciaio (14), magari per imponenti polittici, così come paiono suggerire tante parti del coro e del leggio in particolare. Per chi realizzasse poi le ipotetiche cornici non èdato sapere, ma certo il cantiere di San Sebastiano dovette metterlo in contatto con i più altisonanti nomi della produzione figurativa dell’epoca, a partire da Bernardino Lanino, autore, nel 1543, della pala dell’Assunta.

Note

(1) Secondo l’elenco dei preposti fornito dal Lebole, Egidio di Santhià detenne tale carica solo nel 1545; glisuccedette dal 1546 al 1548 il biellese Simone Fecia; cfr. D. Lebole, La chiesa biellese nella storia e nell’arte, voi. I, Biella 1962, p. 168.
(2) Ibidem, pp. 87 e 165-168.

(3) v. viale, Gotico e Rinascimento in Piemonte, catalogo della mostra, Torino 1939, p. 104 e tav. 320. In tale sede espositiva i confronti immediati erano con i cori di Staffarda, San Giovanni di Saluzzo (già in SantAnronio di Ranverso), Asti, San Girolamo a Biella.

(4) P. Torrione. Gerolamo da Vespolate autore del coro di San Sebastiano, in Rivista Bicilese", anno I, n. 2, 1947, pp. 21-27; idcm, la basilica di San Sebastiano in Biella. Biella 1949, pp. 122-123.

(5) Archivio Lamarmora, Atti intervenuti tra terzi.

(6) Questi non è l’unico novarese alle prese con la decorazione di San Sebastiano: si ricordi ai riguardo Ilieronymus de Torniellis novariensis, autore della decorazione a grottesche affrescate della navata centrale, attivo a partire dai 1540.

(7) Ricordo che la pieve di Santo Stefano venne abbattuta nel 1872: forse in quella circostanza avvenne la dispersione deliarredo.

(8) Archivio comunale di Biella, conti e Rendiconti, cart. 269, o. 5976, secondo la segnatura fornita dal Torrione.

(9) Archivio comunale di Biella, Esrimi e catasti, cart. 307, n. 7090.

(10) G. c. Sciolia, Il Biellese dal Medioevo all’Ottocento. Artisti - Com mittenti - Cantieri, Torino 1980, p. 112 e p. 160, note 32-33. Per il coro di vercelli si vedano A. M. Brizio, catalogo delle cose d’arte e di antichitd d’italia. Vercelli, Roma 1935, pp. 24-26 e U. chierici, L’abbazia di Sant Andrea in Vercelli, vercelli 1968, p. 21.

(11) 5. castronovo, I medaglioni di San Sebastiano, in Rivista Biellese’, anno 3, numero 3, luglio 1999, pp.46-54.

(12) G. Romano, lì coro di San Lorenzo, Alba 1969.Per un aggiornamento sullo stato degli studi, 5. Balocco, Materiali per un ‘indagine sulle chiese astigiane tra Quattro e Cinquecento, in G. Romano (a cura di), Candolfino da Roreto e il Rinascimento nel Piemonte meridionale, Torino 1998, pp. 168-170..

(13) G. Romano, 1969, p. 22 e p. 32 nota 33. Già io studioso aveva rilevato l’analogia delle tarsie del pannello di baldacchino tra il caso albese e quello bieliese: Il pio tipico prodotto architettonico locale, il castello, si intravede come motivo decorativo .9, ma è vittima di un processo di sempl~/icazione (.1."

(14) Già Romano, nei suo studio del ‘69, sottolineava lartivirà di corniclaio per gli Spanzorti del Bernardinus (‘i’idonius autore dei coro rii San Lorenzo a Biella, così come il cremasco Agostino de Marchi era stato corniciaio di Francesco dei Cossa, mentre Gandoifino da Roreto incaricava per la cornice di una sua opera la bottega dei Sacca (5. Baiocco, 1998, p. 170).

Schede OA 01 0003 7247, n. di neg. SBAS TO 72330,72337, 72338, 72339, 01/00037250, n. di neg. SBAS TO 72372 di Patrizia Pivotto, funzionario responsahile Paola Astrua 1990.


Biellaclub ringrazia l'autrice Sonia Damiano per la gentile disponibilità a consentire la pubblicazione di questo testo. Si ringrazia anche il Sig. Lampo e Rivista Biellese dove questo scritto è stato pubblicato nel Luglio 2000